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  • Martedì 14 settembre 2021

È iniziato il processo a Patrick Zaki

Dopo 19 mesi di detenzione preventiva, con accuse più leggere rispetto a quanto si temeva: la prima udienza è durata pochi minuti, se ne riparla il 28 settembre

(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)
(ANSA/RICCARDO ANTIMIANI)

Dopo 19 mesi di custodia preventiva, martedì è cominciato nella città di Mansura, circa 130 chilometri dal Cairo, il processo a Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’università di Bologna detenuto in Egitto dal febbraio del 2020 con motivazioni politiche. Zaki è stato accusato di “diffusione di notizie false dentro e fuori il paese” e, se condannato, rischia una pena fino a cinque anni di carcere. Nel pomeriggio ANSA ha scritto che la prima udienza è durata poco più di cinque minuti e che il processo è stato aggiornato al prossimo 28 settembre: Zaki resterà in carcere almeno fino a quella data.

L’annuncio dell’inizio del processo è stato fatto lunedì da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, e da altre ONG, compresa l’Egyptian Initiative for Personal Rights, un gruppo egiziano per la difesa dei diritti umani, con cui Zaki aveva collaborato. Secondo queste ONG, l’accusa contro Zaki riguarda un articolo pubblicato nel 2019 sul giornale Daraj, in cui Zaki criticava il governo egiziano per il trattamento riservato alla comunità cristiana copta (anche Zaki appartiene a una famiglia copta).

Sempre secondo le ONG, la Procura suprema per la sicurezza dello stato, una sezione speciale della magistratura egiziana che si occupa dei reati contro la sicurezza nazionale, avrebbe fatto cadere le accuse più gravi, come quelle per “istigazione a commettere atti di violenza e terrorismo” e “appello al rovesciamento dello stato”, per le quali Zaki rischiava una condanna fino a 25 anni. A questo proposito, ANSA ha scritto che durante l’udienza di martedì Zaki si è lamentato di essere stato detenuto per un periodo superiore a quello previsto dalla legge per i reati di cui è accusato adesso.

Al contrario delle udienze tenute finora, che si svolgevano al tribunale del Cairo e in cui il giudice si limitava a prolungare la detenzione preventiva di Zaki, il processo si tiene a Mansura, la città della famiglia di Zaki, e si svolge presso un tribunale che si occupa di reati minori. Si tratta comunque di un tribunale “di emergenza” le cui sentenze, ha detto Noury, non sono appellabili.

Patrick Zaki stava frequentando un master in Studi di Genere e delle Donne presso l’Università di Bologna quando, nel febbraio del 2020, fu arrestato in aeroporto al suo arrivo in Egitto, dove contava di trascorrere un breve periodo di vacanza con la sua famiglia. Immediatamente dopo il suo arresto, come disse il suo avvocato, fu torturato. Dopo essere stato bendato, fu portato a Mansura, la sua città natale, dove fu picchiato, spogliato, sottoposto a scosse elettriche sulla schiena e sull’addome, oltre che abusato verbalmente e minacciato di stupro.

Nei mesi successivi, fu trasferito dal carcere di Mansura alla prigione di Tora, al Cairo, nota per ospitare i prigionieri politici, e fu detenuto in condizioni dure e degradanti. Per molti mesi gli fu negata la possibilità di comunicare con l’esterno e di ricevere visite dalla sua famiglia (ufficialmente a causa dell’emergenza coronavirus) e ci furono gravi polemiche sul fatto che le autorità egiziane gli stessero negando le necessarie cure mediche (Zaki soffre di asma).

Zaki è rimasto in custodia preventiva per 19 mesi, senza che le accuse contro di lui fossero formalizzate: il suo arresto veniva convalidato tramite udienza in tribunale grazie a una legge che consente di prolungare la durata della detenzione per almeno due anni, dapprima con proroghe consecutive di 15 giorni, poi di 45 giorni, che sono continuate fino all’inizio del processo, martedì.

Tra la fine di agosto e l’inizio di settembre, sempre secondo Noury di Amnesty, Zaki era stato sottoposto ad alcuni interrogatori, segno che la procura stava «preparando le “carte” (false) per il processo».

Il fatto che le accuse più gravi contro Zaki siano state lasciate cadere è uno sviluppo apparentemente positivo, ma che, sempre secondo Noury, non deve creare troppe aspettative: sotto il regime dittatoriale del presidente Abdel Fattah al Sisi, la gestione della giustizia in Egitto è in gran parte arbitraria.

Secondo i media locali, inizialmente le accuse avrebbero dovuto riguardare diversi post di Facebook critici nei confronti del governo. Invece, la procura egiziana si sarebbe concentrata su un solo articolo pubblicato su Daraj (e tradotto in italiano da Repubblica), in cui Zaki denunciava le condizioni di persecuzione della comunità cristiana copta partendo dal caso di un membro copto delle forze di sicurezza, che non aveva ricevuto nessuna commemorazione ufficiale benché fosse stato ucciso in un attentato terroristico.

Non è chiaro se le accuse più leggere rivolte contro Zaki siano anche frutto delle pressioni diplomatiche dell’Italia e di altri paesi che si sono mobilitati a suo favore. Proprio in questi giorni, e in concomitanza con un incontro con il presidente americano Joe Biden, il governo egiziano ha avviato una nuova iniziativa a favore dei diritti umani, che la maggior parte delle ONG ha definito come ipocrita, considerate le violazioni sistematiche compiute nel paese.

Benché Zaki non sia cittadino italiano, l’Italia è stata coinvolta strettamente nella vicenda del suo arresto, sia perché Zaki è comunque studente di un’università italiana sia perché la politica, i media e l’opinione pubblica, al momento dell’arresto, erano ancora molto scossi dall’uccisione di Giulio Regeni. Nell’ultimo anno e mezzo, in Italia sono state organizzate numerose campagne a favore di Zaki, compresa una per dargli la cittadinanza italiana: sia la Camera sia il Senato hanno approvato mozioni al riguardo, ma finora il governo non ha preso una decisione.

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