Le note a margine di Vasco Brondi
In cui racconta cos'è e come è nato il suo disco nuovo, "Paesaggio dopo la battaglia"
Il nuovo disco di Vasco Brondi, cantautore ferrarese già noto col nome di Le luci della centrale elettrica, si chiama Paesaggio dopo la battaglia ed è stato pubblicato anche in una versione con un breve libro rilegato intitolato Note a margine e macerie, in cui Brondi racconta la produzione del disco in forma di diario misto a riflessioni personali ed esperienze e aneddoti. Questo è l’inizio.
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Il cielo bianco uniforme irradia la stessa luce da tutto il giorno come un grande neon. Dal mio studio che affaccia sui tetti di Ferrara ascoltiamo quello che ho registrato fino a oggi. Alcune canzoni hanno quasi due anni, altre poche settimane, altre le devo ancora finire. Comincio solo ora a capire qualcosa di quello che sto facendo. Sono finite una lunga fase di scrittura e un’altra lunga fase attraversata con Fede Dragogna, che è quella di preproduzione in cui gli ho fatto sentire i pezzi e ci abbiamo lavorato assieme, li abbiamo scomposti, scartati, rivestiti, spogliati, arrangiati. Fede ha prodotto i miei due album precedenti ma per questo disco ci eravamo detti di provare soluzioni diverse e di coinvolgere anche altre persone, così adesso sono qui con Taketo e Niccolò, il suo assistente. Taketo ha lavorato a molti dischi che ho amato, tra cui tutti gli ultimi di Vinicio Capossela. Ci conosciamo e incrociamo in giro da anni, forse proprio dai miei inizi. Avevamo già pensato di collaborare per il mio secondo o forse terzo album e alla fine eccoci qui, a lavorare al mio quinto di inediti.
Mi scorrono davanti queste quattordici canzoni piene di suoni possibili e in cerca di un suono che sia il loro, canzoni in cerca di un’identità. Cominciamo ad aprire le sessioni e a chiudere molte tracce, resta quasi solo la mia voce con archi e synth che avvolgono le parole, le illuminano. Viene fuori sempre più chiaramente questa atmosfera da paesaggio dopo la battaglia, Chiara mi ha scritto che ascoltando le canzoni in lavorazione si è immaginata quegli affreschi che compaiono improvvisi quando dalle chiese tirano giù gli strati di intonaco dei secoli che vi si sono accumulati. Forse dopo la battaglia resta qualcosa di più reale, solo l’essenziale.
Dopo la battaglia c’è sempre un qualche tipo di pace, a prescindere da cosa sia successo prima. C’è questa pace, incerta o piena di sollievo o piena di ferite, ma la battaglia è finita. Non puoi fare altro che accettare quello che c’è. Mi piace l’idea che quello che rimane è un paesaggio di cenere e macerie di ciò che c’era prima, ma che è anche qualcosa di completamente nuovo. Questa idea del paesaggio dopo la battaglia è dentro una delle canzoni e capisco all’improvviso che può essere un titolo che racchiude tutto. Mi stupisce sempre come i titoli dei dischi si manifestino da soli, e ogni volta succede più tardi, questa volta quando ho scritto praticamente tutto.
Il mio studio ha ancora l’atmosfera paziente e insofferente dei mesi che ci ho passato dentro senza uscire. La maggior parte delle cose le ho scritte nel corso di due o tre anni, alcune durante i periodi trascorsi da solo alle Canarie. Ogni anno ci passo un mese durante il quale mi dedico alle canzoni e a camminare sull’oceano, meditare e fare yoga. Dalle Canarie quest’anno sono tornato appena in tempo per vedere chiudere le frontiere e l’Italia tutta, così mi sono ritrovato ancora da solo, ma questa volta a Ferrara. A lavorare giorno e notte, letteralmente, a quello che avevo scritto. Tra le ansie circostanti, T che non potevamo raggiungerci ed era sola a Milano. Avevo in mente di utilizzare anche le musiche di altri musicisti, me ne avevano spedite di bellissime, ma poi sono partito dal silenzio circostante e ci ho scritto sopra con la chitarra. Ho ritrovato una solitudine di composizione che non rivivevo dal mio primo disco.
Faccio un lungo giro in bici sull’argine riascoltando le canzoni ancora incasinate. Era da tanto tempo che non dormivo sempre da solo. Ricordo che l’ultima volta hai detto nel sonno qualcosa che non ho capito. I campi arati perfetti e impassibili sono dalla mia parte. Il campanile di Francolino invece è un tipo taciturno. La chiesa è ancora chiusa, dal terremoto del 2012 celebrano le messe in un tendone vicino, un giorno sono passato da lì mentre facevano la benedizione degli animali. E ti ripenso, e sei come una principessa seduta su una sedia normalissima.
Durante il lockdown mi sono riavvicinato alle ragioni della musica. In Ci abbracciamo c’è l’idea delle canzoni come richiami per esseri umani. È sempre stato così per me, un richiamo forte, e in questi mesi è ritornato a essere il mio modo di affrontare la vita, canticchiando. Chi l’avrebbe mai detto che l’apocalisse avrebbe avuto questo tono domestico.