Un cesto di cozze ha bloccato l’ampliamento del porto di Livorno

Il progetto stava per partire, ma nei molluschi usati per gli studi ambientali è stata trovata una sostanza inquinante

Il progetto della Darsena Europa aggiornato al 17 luglio 2017 (Toscana Notizie)
Il progetto della Darsena Europa aggiornato al 17 luglio 2017 (Toscana Notizie)

Il porto di Livorno è il terzo in Italia per tonnellate di merci transitate annualmente, ma non può accogliere le navi portacontainer più grandi che si usano oggi: la profondità massima delle sue acque è di 12 metri, meno dei pescaggi di tante imbarcazioni cargo (quello della Ever Given, la nave che si era incagliata nel Canale di Suez, è di 14,5 metri per dire), e anche i suoi canali d’accesso non sono sufficientemente larghi. Per questo da più di cinque anni si discute di espandere il porto e costruire una nuova darsena, più ampia e profonda: la Darsena Europa.

Ad agosto il ministero delle Infrastrutture aveva stanziato 200 milioni di euro per la realizzazione del progetto, che si erano aggiunti ai precedenti 250 milioni di finanziamenti pubblici già accordati: così era stata raggiunta la somma di partenza richiesta per cominciare i lavori.

Ora però tutto potrebbe essere ritardato per un cesto di cozze. O meglio, per le sostanze inquinanti che ha rilevato.

Per costruire un porto o ampliarne uno esistente bisogna fare grossi lavori: prima di tutto dragare (cioè scavare) i fondali, spostare da qualche parte i detriti ottenuti e costruire delle banchine. Sono poi necessarie alcune demolizioni e la realizzazione di dighe. Nel caso della Darsena Europa, inoltre, sono previsti dei lavori per collegare maggiormente la rete ferroviaria al porto e favorire così il trasporto delle merci.

Prima di realizzare opere tanto imponenti bisogna fare degli studi ambientali in modo da prevedere il loro impatto sugli ecosistemi marini e altre possibili conseguenze. A Livorno le cose sono complicate dal fatto che l’area portuale della città è dal 2003 un sito di interesse nazionale (SIN), cioè una zona contaminata da sostanze inquinanti che lo stato considera pericolose e che deve perciò essere bonificata.

Un passaggio fondamentale per avviare i lavori di costruzione della Darsena Europa è l’uscita dal SIN (in gergo tecnico deperimetrazione) delle aree dove si dovranno costruire le nuove banchine: per arrivarci servono delle analisi tecnico-scientifiche che certifichino che l’acqua e i fondali non contengono troppe sostanze inquinanti. Solo quando la deperimetrazione sarà avvenuta si potrà procedere con la pubblicazione dei bandi per appaltare i lavori per la darsena, perché il progetto di ampliamento del porto prevede il riutilizzo di parte dei sedimenti di dragaggio in un’altra zona costiera: forse li si utilizzerà per riempire i fondali di Marina di Pisa, una quindicina di chilometri più a nord, che hanno dei problemi di erosione, oppure per sanare fondali più al largo.

Per capire di cosa stiamo parlando: si tratta di circa 15 milioni di metri cubi di sedimenti, quindi di sabbia, melma e rocce (l’equivalente di 20 volte la Basilica di San Pietro). Una buona parte verrà messa all’interno delle vasche di colmata del porto, ma non ci possono stare tutti.

Un precedente progetto per la Darsena Europa prevedeva di riutilizzare i sedimenti in loco, rimanendo all’interno del SIN, e dunque non aveva bisogno di una deperimetrazione. Era un progetto molto più grande, che prevedeva un’espansione del porto superiore alle necessità di Livorno: era stato pensato così per trovare il modo di riutilizzare tutti i sedimenti, ma per le sue dimensioni era anche molto costoso, troppo per trovare i finanziamenti necessari. Per questo era stato ridimensionato.

L’attuale progetto della Darsena Europa in un video dell’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno settentrionale:


Oggi però anche il nuovo progetto potrebbe avere dei problemi perché l’uscita dal SIN è a rischio: in uno dei cesti di cozze che sono stati usati come sensori dell’inquinamento dell’acqua del porto sono stati trovati alti livelli di benzopirene, una sostanza cancerogena prodotta dalla combustione di molti prodotti, dalle sigarette ai rifiuti indifferenziati, oltre che di combustibili come il cherosene.

Il nome tecnico di questi cesti di cozze è “bioaccumulatori”: per alimentarsi, i molluschi come le cozze filtrano l’acqua e per questo nel loro corpo finiscono per accumularsi varie sostanze particolarmente presenti nell’ambiente in cui vivono. Permettono di tenere monitorato l’inquinamento in modo più affidabile rispetto al prelievo di campioni d’acqua: un campione è come una fotografia istantanea, dice cosa c’era nell’acqua in un dato momento, mentre i bioaccumulatori sono come dei filmati, perché l’accumulo avviene nel tempo, e inoltre mostrano gli effetti di una sostanza su esseri viventi. Se una sostanza è presente oltre una certa soglia, quindi, significa che è stata presente per un certo periodo.

I cesti in totale erano sei e il problema riguarda uno solo, ma i valori rilevati sono stati sufficienti a spingere l’Istituto superiore di sanità (ISS) a bloccare le procedure per arrivare alla deperimetrazione.

Ora dovranno essere effettuate nuove analisi per verificare il dato sul benzopirene. Il compito è stato affidato all’Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana (ARPAT) e all’Università di Ancona: analizzeranno nuovi bioaccumulatori, che saranno messi in mare in numero superiore ai precedenti. Ci vorrà circa un mese e mezzo prima che le nuove analisi siano pronte.

Il 17 marzo Luciano Guerrieri, appena nominato presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno settentrionale, ha parlato delle nuove analisi necessarie senza mostrarsi troppo preoccupato: «I valori registrati sono sempre stati al di sotto della soglia di pericolosità. Ora è capitato che solo due valori siano risultati di poco superiori ai limiti della soglia. Dobbiamo pensare, quindi, all’ipotesi di un caso di inquinamento esterno temporaneo: le cozze rimangono in mare per quattro settimane, potrebbe essere accaduto di tutto».

Intervistato dal Tirreno, Guerrieri ha anche detto che se la deperimetrazione non dovesse essere possibile «c’è anche la possibilità di una “deperimetrazione” parziale».

L’ultimo ampliamento del porto di Livorno risale al 1981. Le più recenti stime sull’inizio dei lavori per la realizzazione della Darsena Europa – precedenti al problema con le cozze – dicono che potrebbero cominciare all’inizio del 2022 e finire nel 2024, ma ora tutto il processo potrebbe allungarsi. Se alla fine le cose dovessero andare secondo i piani, il porto potrebbe passare dal gestire in un anno 700-800mila TEU, l’unità corrispondente a un container di 6,1 x 2,4 x 2,6 metri considerata lo standard nel trasporto marittimo, a 1 milione e mezzo di TEU.