Cos’è questa storia di Oxford e Mozart

Un dibattito interno sull'inclusività del programma di storia della musica è stato ricostruito male da alcuni media: l'università non vuole “cancellare” il compositore austriaco

Una statua di Mozart a Vienna. (Sean Gallup/Getty Images)
Una statua di Mozart a Vienna. (Sean Gallup/Getty Images)

Un dibattito interno all’università britannica di Oxford sulla necessità di modificare e integrare il programma di insegnamenti sulla storia della musica in modo da renderlo più inclusivo verso la produzione di provenienze diverse rispetto a quella europea e occidentale è stato male interpretato da alcuni media, anche italiani, secondo i quali le intenzioni dell’ateneo sarebbero di “cancellare Mozart”. In realtà, la questione è più complessa di così: una discussione in corso è stata presentata come una decisione presa, e alcune opinioni espresse da singoli docenti sono state descritte come le posizioni dell’ateneo.

La stessa Università di Oxford ha smentito che sia stata presa in considerazione l’idea di eliminare o ridurre gli insegnamenti sulla musica europea. La vicenda, presentata con toni polemici e divisivi, racconta in realtà una più ampia discussione sull’opportunità di adattare i corsi di studi universitari in modo che prendano atto delle rinnovate sensibilità – provenienti principalmente dai paesi anglosassoni – sulle culture e arti non bianche, introducendo o dedicando maggiore attenzione ad argomenti come, per esempio, la storia della musica africana e asiatica.

La storia di Mozart e dell’università di Oxford è iniziata con un articolo del quotidiano britannico Telegraph che, avendo visto alcuni documenti riservati, ha scritto che un professore dell’ateneo aveva sostenuto che gli attuali programmi di storia della musica fossero troppo concentrati sulla «musica bianca europea del periodo schiavista». In particolare, un professore che ha competenze sulla scelta degli insegnamenti a Oxford ha proposto di ripensare l’attenzione dedicata al sistema di notazione musicale – cioè la modalità con cui la musica è messa per iscritto – occidentale, giudicandolo «un sistema di rappresentazione colonialista» che potrebbe infastidire alcuni studenti, implicitamente riferendosi a quelli che hanno origini non europee. Questo tipo di critica fa riferimento al fatto che il sistema di notazione musicale insegnato e comunemente utilizzato in Occidente non è lo stesso di altre tradizioni musicali del mondo che utilizzano tempi, armonizzazioni e strumenti che richiedono altri tipi di notazione, e che non sono compatibili con quella occidentale.

I documenti citati dal Telegraph riguardano una discussione tra gli accademici di Oxford, e non presentano decisioni prese dall’università. Altre opinioni emerse nel dibattito e citate dal quotidiano parlano della possibilità di rendere facoltativo lo studio del pianoforte e della direzione orchestrale, per gli stessi motivi di sganciare gli insegnamenti dalla tradizione musicale europea. «Prendendo ispirazione dalle manifestazioni internazionali per Black Lives Matter, il comitato di facoltà ha proposto alcuni cambiamenti per aumentare la diversità del programma universitario» dice il documento secondo il Telegraph.

La proposta di alcuni docenti, che in certi casi accolgono evidentemente richieste provenienti dagli studenti, è insomma di far sì che certi elementi dei corsi non siano più obbligatori, che altri siano ripensati, e che in generale siano affiancati da più insegnamenti sulle tradizioni e produzioni musicali non europee. Alcuni dei corsi proposti sarebbero per esempio “Musica africana e della diaspora africana”, “Musica globale” e “Musica pop”.

Ma come dice lo stesso Telegraph, alcuni docenti non sono stati d’accordo con le argomentazioni dei colleghi, obiettando per esempio all’idea che l’espressione “musica classica” vada sostituita con “musica occidentale”, e protestando con le accuse implicite di razzismo verso i professori che si dedicano alla musica precedente al Novecento.

L’università, una volta emersi i documenti, ha smentito che siano stati decisi cambiamenti nel programma per eliminare alcuni compositori della tradizione musicale europea. Un rappresentante dell’ateneo ha detto al sito specializzato Classic FM:

Fermo restando che manterremo (e non diminuiremo in nessun modo) la nostra tradizionale eccellenza nell’analisi critica, nella storia e nell’esecuzione della grande varietà della musica occidentale, stiamo studiando dei modi per dare ai nostri studenti la possibilità di studiare una gamma più ampia di musica non occidentale e pop da tutto il mondo, rispetto all’attuale offerta, e lo stesso vale per la composizione musicale, la psicologia e la sociologia della musica, l’educazione musicale, la direzione orchestrale e così via.

Sempre un portavoce di Oxford ha detto al quotidiano americano Washington Examiner che «non c’è nessuna verità nella storia della “notazione musicale” e i resoconti a riguardo si sono basati soltanto su un professore».

L’articolo del Telegraph mescola proposte concrete, opinioni condivise apparentemente da più docenti e critiche che appaiono invece di singoli membri dell’ateneo, in alcuni passaggi con poca chiarezza espositiva. La confusione è di fatto aumentata quando altri media, britannici e internazionali, hanno ripreso l’articolo dando particolare risalto alle argomentazioni più radicali e intransigenti, e apparentemente più isolate, come quella che accusa la notazione musicale occidentale di essere colonialista e l’attuale programma di Oxford di essere «complice del suprematismo bianco».

Da diversi anni gruppi e movimenti di studenti universitari, soprattutto americani, stanno mettendo in discussione i programmi di insegnamento di molte facoltà, individuando e criticando approcci ed elementi considerati problematici, superati oppure offensivi nei confronti delle minoranze etniche, culturali, di genere o di orientamento sessuale. È una manifestazione del grande dibattito contemporaneo sulla necessità di cambiare alcuni aspetti della società e della cultura che risultano discriminatori verso determinate categorie di persone che nel tempo hanno subìto ingiustizie. A seconda del caso specifico, si può trattare di donne, afroamericani, persone transgender e molte altre.

La storia dell’università di Oxford è particolarmente rappresentativa, perché simile ad altre di cui si parla periodicamente sui social network e sui giornali. Una discussione complessa, che perlopiù in questo caso si era sviluppata internamente e non pubblicamente, è stata semplificata e polarizzata da ricostruzioni parziali o poco accurate, col risultato di generare estese indignazioni e una generale confusione su un tema che per moltissime persone è relativamente recente, e perciò per certi aspetti ancora difficile da inquadrare e valutare.

Il meccanismo che ha spostato l’attenzione dal dibattito più generale alle singole posizioni particolarmente intransigenti, giudicate da molti pretestuose o quantomeno discutibili, ha velocemente esasperato i toni e le modalità della discussione in particolare sui social network. Questo ha reso più difficile il confronto tra chi aveva opinioni diverse in una discussione che, di suo, richiedeva probabilmente maggiore attenzione per le sfumature e il contesto.