Cosa ha fatto Coco Chanel

La stilista francese, morta cinquant'anni fa, rivoluzionò il modo in cui si vestivano le donne, liberandole da corsetti e crinoline: e si fece notare per mille altre cose

Coco Chanel nel 1962
(Evening Standard/Hulton Archive/Getty Images)
Coco Chanel nel 1962 (Evening Standard/Hulton Archive/Getty Images)

«Di Chanel ce n’è una sola» disse una volta di se stessa la stilista francese Gabrielle Bonheur Chanel, famosa come Coco Chanel in tutto il mondo, anche da chi non ne sa niente di moda, e ancora a cinquant’anni dalla morte, avvenuta a Parigi il 10 gennaio del 1971.

Chanel ebbe un’infanzia di miseria di cui si vergognava e da cui uscì frequentando nobili, facoltosi e artisti che la introdussero alle élite sociali e intellettuali del suo tempo; passò da un amante all’altro – aristocratici inglesi, musicisti russi, designer; fu vicina ai servizi segreti nazisti durante la Seconda guerra mondiale; fu accusata di essere tirannica, avida, omofoba e antisemita, ma fu raccontata anche come generosa, leale e brillante.

Tra tutto questo viene e verrà ricordata per aver rivoluzionato – lei che non sapeva disegnare bozzetti e odiava cucire – la moda femminile e per aver contribuito a liberare il corpo delle donne, spingendole ad abbandonare crinoline, corsetti, fronzoli, piumaggi e tinte pastello in favore di abiti comodi e pragmatici, in bianco e nero: giacche, gonne corte, pantaloni comodi, sobri abitini neri e cappellini, da accompagnare a capelli corti, tacchi bassi, giri di perle – finte e per tutte – e borsette da portare a tracolla, con le mani libere. Tra le tante cose che ha fatto, queste sono solo alcune delle più importanti.

Prima di diventare Coco Chanel
Era nata a Saumur, nella valle della Loira, il 19 agosto del 1883; era la secondogenita di una sarta, la 19enne Eugénie Jeanne Devolle, e di un venditore ambulante, Albert Chanel, che si sposarono solo dopo la sua nascita. Il padre mancava spesso da casa e la famiglia, che si allargò per un totale di 5 figli, lo seguiva spostandosi in appartamenti fatiscenti. Era assente anche quando venne registrata all’anagrafe, dopo essere nata in un ospizio per indigenti, e per questo – raccontò poi lei – il suo cognome fu scritto male, Chasnel: e così venne anche registrata alla morte.

Non andò mai a scuola, quando aveva 11 anni sua madre morì e il padre inviò le tre figlie in un orfanotrofio gestito da un convento a Aubazine, dove la vita era frugale e severa; fu qui, però, che imparò a cucire, e sviluppò il gusto per l’austerità e per il bianco e il nero. Da grande raccontò di aver perso la madre quando aveva sei anni e che il padre era andato in America in cerca di fortuna, mandandola da due zie; sosteneva anche di essere nata nel 1893, per apparire di dieci anni più giovane. Come ha scritto Janet Flanner sul New Yorker, «la chiave del suo genio peculiare e delle sue conseguenze sartoriali possono dipendere dal fatto che Chanel, la stilista più parigina e costosa della sua epoca, nacque povera e in campagna».

A 18 anni andò a vivere in una pensione per ragazze cattoliche a Moulins, nella Francia centrale. Si manteneva lavorando come sarta e cantando alla Rotonde, un cafe-concert – i locali dove si poteva bere e assistere agli spettacoli nella Belle Époque – frequentato da militari. Sembra che il soprannome Coco venisse da qui, perché cantava spesso la canzone Qui qu’a vu Coco dans l’Trocadéro?. Più tardi altri dissero che il nomignolo derivava da favolose feste a base di cocaina nella sua casa a Parigi – dagli anni Trenta Chanel fece uso quotidiano di morfina e forse anche altre droghe – ma lei ripeteva che era stato il padre a darglielo.

Nel 1906 andò a lavorare in un impianto termale di Vichy, una località turistica piena di sale da concerto, teatri, caffè: era molto affascinante ma non aveva una gran voce e tornò a Moulins con la consapevolezza che non avrebbe fatto carriera. E così diventò l’amante di Étienne Balsan, un danaroso ex ufficiale di cavalleria. Per 3 anni visse nel suo castello condividendo con lui una vita agiata: lui le insegnò ad apprezzare diamanti, vestiti e perle e la introdusse alla buona società. La introdusse anche al suo successivo amante, nonché l’uomo della sua vita, il capitano Arthur Edward Capel, detto Boy, un ricco esponente dell’alta società inglese. Probabilmente Balsan fu anche il padre del suo unico figlio: la biografa Justine Picardie sostiene infatti che André Palasse, ufficialmente il figlio di una sua sorella, sarebbe nato dalla relazione tra Chanel e Balsan.

Andò a vivere nell’appartamento di Capel a Parigi: facevano la bella vita e andavano in villeggiatura nella rinomata Deauville. La storia finì nove anni dopo, quando Capel sposò una donna aristocratica ma non chiuse mai del tutto con Chanel. Morì in un incidente d’auto nel 1919, 25 anni dopo lei ancora lo ricordava, confessando all’amico Paul Morand che «quando persi Capel persi tutto. Devo dire che poi la mia vita non fu felice».

Al di là del coinvolgimento sentimentale, sia Balsan che Capel furono importanti anche per la sua vita professionale: le fecero conoscere il mondo del lusso e la buona società, aprendole i suoi gusti e i suoi luoghi. Chanel iniziò a confezionare cappelli, la sua prima attività, quando ancora stava con Balsan, e ricevette un grosso prestito da Capel per aprire una boutique nella località turistica di Biarritz: gli affari andarono così bene che lo ripagò già nel primo anno.

Gli inizi, tra cappelli e righe
I cappelli che aveva iniziato confezionando per sé erano richiesti dalle amiche e dalle signore del circolo di Balsan e così ebbe l’idea di farli diventare un affare. Nel 1910 ottenne la licenza da modista e aprì un negozio, Chanel Modes, al numero 21 di rue Cambon, una via molto elegante e centrale di Parigi che in pochi anni divenne il suo quartier generale. La consacrazione arrivò quando l’attrice teatrale Gabrielle Dorziat, una delle più famose del tempo, li indossò nell’opera Bel Ami di Fernand Nozière, nel 1912. I suoi cappelli, di paglia e con nastri o con eleganti piumaggi, erano molto meno artificiosi di quelli in voga fino a quel momento e vennero presto considerati più freschi e moderni. Sempre Flanner ha raccontato sul New Yorker che le abilità sartoriali di Chanel non andavano molto oltre: «quando i suoi collaboratori le chiesero perché non vendesse anche vestiti, scoppiò a piangere dicendo che non ne avrebbe mai potuti fare, erano troppo complicati».

Evidentemente cambiò presto idea e nel 1913 aprì un negozio di abbigliamento con una linea sportiva nel corso centrale di Deauville e nel 1915 una boutique a Biarritz, davanti al casino. Entrambe erano località di villeggiatura frequentate dalla buona società francese e internazionale e le boutique si fecero subito notare: già nel 1915, la rivista di moda Harper’s Bazaar scriveva che «chi non ha almeno un capo Chanel è decisamente fuori moda». Il suo stile era già rivoluzionario. Aveva iniziato scrollando via corpetti e crinoline senza costringere il corpo della donna dentro una silhouette prestabilita: i suoi abiti erano fluidi e drappeggiati, tutt’al più accompagnati da una cintura o da un cordoncino sui fianchi.

Coco Chanel a Parigi nel 1929
(Sasha/Hulton

A Deauville e a Biarritz divennero ancora più liberatori, anche perché portavano nella vita di tutti i giorni la comodità dei capi e dei tessuti usati per il tempo libero e l’attività sportiva, come giocare a tennis, andare a cavallo, nuotare: pantaloni larghi, maglioni a girocollo, le espadrillas indossate da pescatori e marinai, e la marinière, detta anche tricot a righe. Era una maglietta a maniche lunghe in cotone con sottili righe orizzontali, solitamente bianche e blu, ispirata allo stile dei marinai. Molti dei suoi abiti erano ispirati a quelli da uomo e si racconta che lei stessa indossasse quelli dei suoi compagni perché li riteneva più comodi. Questi capi divennero presto l’uniforme della nuova eleganza anche a Parigi.

Nel 1918 comprò l’edificio al 31 di rue Cambon e aprì la sua prima boutique a Parigi, con vestiti, cappelli, accessori, e poi gioielli e profumi. Gli affari andarono così bene che nel 1927 si era allargata fino a possedere 5 edifici a rue Cambon, dal numero 23 al 31. Nel 1924, intanto, aveva registrato sia la scritta del marchio in maiuscolo sia il logo, le due C intrecciate.

L’innovativo jersey
Prima di Chanel il jersey era una stoffa pesante a maglia rasata portata dai pescatori dell’omonima isola inglese; non era utilizzato nell’alta moda perché considerata ordinaria e difficile da strutturare ed era impiegata solo per l’intimo da uomo e gli indumenti sportivi. Chanel raccontò che l’idea le venne quando indossò un vecchio abito in jersey perché a Deauville si gelava. Con lei il jersey divenne la stoffa alla moda, morbida ed elastica, che permetteva abiti fluidi e movimenti leggeri. Chanel, che lo comprava dall’azienda Rodier, realizzava la stoffa in lana o in angora e la rese protagonista del suo primo completo: una giacca in jersey con gonna pieghettata e camicia in seta, da indossare con i tacchi bassi. Il jersey ebbe successo anche grazie ai tempi: durante la Prima guerra mondiale, mentre scarseggiavano gli altri tessuti e la situazione economica era complicata, permetteva alle donne di vestirsi da sole senza ricorrere alle domestiche e garantiva loro libertà di movimento, proprio quando ne avevano più bisogno dovendo sostituire al lavoro gli uomini andati al fronte.

Il completo Chanel
Venne introdotto nel 1923 e diventò subito una delle sue creazioni più iconiche, rivisitata ma ancora attuale. È composto da una giacca senza colletto e senza spalline e da una gonna corta e aderente, anche se l’aspetto più innovativo fu la scelta del tessuto: il tweed, un tessuto di lana fabbricato in Scozia, considerato poco elegante e utilizzato per gli abiti da uomo, soprattutto sportivi. Chanel lo rese femminile, utilizzando nuovi materiali e colori, e costringendo anche gli altri stilisti a introdurlo nelle loro collezioni.

Chanel non aggiungeva pince (piccole pieghe sul tessuto per modellare gli abiti) alle giacche, come si usava, e le dotava invece di tasche funzionali. Erano fatte su misura e, prima di confezionarle, le clienti erano invitate a passeggiare, chinarsi, salire le scale, così da essere certe che non scoprissero troppo alcune parti del corpo né che risultassero scomode o strette per alcuni movimenti.

Una delle più appassionate indossatrici di completi Chanel fu la first Lady Jackie Kennedy: ne indossava uno rosa acceso anche il giorno in cui il marito, il presidente John F. Kennedy, fu assassinato in Texas, nel 1963. Il completo faceva parte della collezione di alta moda di Chanel per l’autunno/inverno del 1961.

Il tubino e il nero
Forse il più impensabile successo di Chanel è stato trasformare un semplice e modesto abitino nero – colore fino ad allora associato al lutto – nell’abito elegante e di buon gusto per antonomasia. Lo chiamò, quasi modestamente, la petite robe noire, il vestitino nero, tradotto in italiano come tubino e in inglese come little black dress, sinteticamente LBD. Doveva essere adatto a ogni occasione, comodo, sobrio e raffinato, da ravvivare con gli accessori: una borsetta, una camelia (il fiore preferito di Chanel) o molteplici fili di perle finte, che lei stessa sdoganò. Come le perle, anche il tubino voleva essere buono per tutte le tasche e Chanel stessa disse che avrebbe permesso alle donne comuni di vestirsi come le milionarie.

Tra il 1912 e il 1913 l’attrice Suzanne Orlandi fu una delle prime donne a indossarne uno, in velluto nero con colletto bianco. Nel 1926 l’edizione americana di Vogue pubblicò un tubino di Chanel dritto e lungo fino al polpaccio; lo chiamò il Chanel’s Ford perché come il modello di auto T di Ford era semplice e alla portata di tutti; sempre Vogue scrisse che era diventato «una specie di uniforme per tutte le donne di buon gusto». Il modello funzionò anche grazie alla Grande Depressione degli anni Trenta, con la necessità di tagliare sui costi e il diffondersi di un gusto più sobrio, e contribuì ad associare il nero all’idea di raffinatezza e non di disgrazia. Chanel amava vestirsi di nero e mescolarlo con il bianco per un forte contrasto. Una volta disse: «Io ho imposto il nero e oggi va ancora di moda perché il nero cancella tutto quello che c’è attorno».

La IT bag
Chanel fu anche la prima stilista a intuire l’importanza delle borse, che a oggi sono tuttora il punto di forza di un’azienda di moda: per tenersi in piedi, anche economicamente, bisogna sfornare almeno una IT bag, una borsa di successo. La prima di Chanel fu la 2.55, introdotta nel 1955 ma ispirata a una versione degli anni Venti: grazie a una catenina a tracolla permetteva di avere le mani libere; la trapunta ricordava le giacche dei fantini.

Hollywood, Jean Cocteau e i Ballet Russes
Nel 1931 Chanel incontrò a Monte Carlo il produttore cinematografico Samuel Goldwyn, che le offrì di disegnare i costumi di alcuni suoi film di Hollywood. Chanel andò così negli Stati Uniti, disegnò abiti di scena per Gloria Swanson e Ina Claire e si conquistò Greta Garbo e Marlene Dietrich come clienti personali. Hollywood però non le piaceva: la considerava volgare, la capitale del cattivo gusto, non ne apprezzava neanche i film che riteneva puerili. Hollywood a sua volta non apprezzò la sua eleganza e il rapporto finì presto; il New Yorker scrisse «i suoi abiti non erano abbastanza sensazionali: fa sembrare una signora una signora, mentre Hollywood vuole che una signora appaia come fossero due». Lavorò allora per il cinema francese, soprattutto con il regista Jean Renoir.

Chanel disegnò anche alcuni costumi dei Balletti russi, dopo averne conosciuto il produttore Sergej Diaghilev. In particolare sono famosi quelli per il balletto Train Bleau, con tutine intere in jersey, avveniristici pantaloncini corti e canottiere, maglioni a righe. Diaghilev le fece conoscere anche il compositore russo Igor Stravinskji, che lei ospitò a lungo nella sua casa a Bel Respiro, nei dintorni di Parigi.

Ballerini del balletto russo Le Train Bleu, Parigi, 1924 (Sasha/Hulton Archive/Getty Images)

Chanel No 5
Probabilmente il profumo più famoso al mondo, anche grazie a Marilyn Monroe che disse di dormire nuda, con solo due gocce di Chanel No 5; è in vendita dal 1921. La formula fu messa a punto dal chimico franco-russo Ernest Beaux, uno dei più grandi inventori di fragranze del Novecento; il nome probabilmente indica che era il quinto tentativo che presentava a Chanel, ma il 5 era anche uno dei numeri preferiti della stilista.

L’essenza è una combinazione di gelsomino di Grasse e altri profumi di fiori, più accattivante di quelle allora sul mercato, generalmente composte da un’unica profumazione. Alla fortuna del profumo contribuì anche il flacone, che Chanel voleva minimalista per far risaltare la fragranza. Si racconta che fosse ispirata alle linee rettangolari delle boccette dell’acqua profumata di Charvet, un negozio di Parigi, usate dal suo amante Boy Capel, mentre il tappo, tagliato come un diamante, ricordava Place Vendôme. Coco Chanel ne fu la prima testimonial, in una pubblicità apparsa nel 1937, e da allora è nata una tradizione che continua anche oggi.

Il profumo ha una storia interessante anche per la battaglia legale sui suoi diritti, che andò avanti per anni. Nel 1924 Chanel firmò un accordo con Théophile Bader, fondatore delle Gallerie Lafayette, e con l’imprenditore Pierre Wertheimer: quest’ultimo avrebbe fondato la Parfums Chanel che avrebbe provveduto alla produzione, alla pubblicità e alla distribuzione del profumo in cambio del 70 per cento dei profitti; Bader ne avrebbe ricevuto il 20 e Chanel stessa il 10.

Chanel era la prima grande stilista a commercializzare un profumo ed evidentemente non si aspettava un tale successo: per i successivi 20 anni cercò di riprendere il controllo di Parfums Chanel, sostenendo di essere stata imbrogliata. Ci andò vicina nel 1941, durante l’occupazione nazista di Parigi. Wertheimer era ebreo e i nazisti avevano sequestrato beni e negozi agli ebrei francesi; così Chanel scrisse al funzionario tedesco che si occupava dei sequestri facendo leva sul suo essere ariana e sostenendo «un indiscutibile diritto alla priorità» di riottenere l’azienda. Nel 1940 Wertheimer, temendo l’arrivo dei nazisti, aveva però intestato l’azienda all’imprenditore francese e cristiano Félix Amiot che, finita la guerra, gliela restituì. Nel 1947 si trovò comunque un nuovo accordo: Chanel ricevette i profitti delle vendite del profumo in tempo di guerra, pari a 9 milioni di dollari dell’epoca, e avrebbe avuto il 2 per cento delle vendite in tutto il mondo, pari circa a 25 milioni all’anno, diventando una delle donne più ricche al mondo.

Chanel, spia nazista
Coco Chanel collaborò attivamente con i servizi segreti tedeschi durante l’occupazione della Francia. Aveva idee conservatrici, era omofoba e aveva un intenso odio per gli ebrei, rafforzato durante dieci anni di relazione con il ricco e nobile Duca di Westminster, dal 1923 al 1933. Quando iniziò la guerra, nel 1939, chiuse tutti suoi negozi tranne quello al numero 31 di rue Cambon, dove vendeva gioielli e profumi, e si asserragliò nel suo appartamento al piano di sopra, lasciando i suoi 4.000 dipendenti senza lavoro. Alcuni dissero che l’aveva fatto per punirli di uno sciopero in cui chiedevano di lavorare meno ed essere pagati di più.

Con l’invasione nazista si trasferì all’Hotel Ritz, quartier generale degli alti militari e dei diplomatici tedeschi, tra cui il barone Hans Günther von Dincklage, con cui ebbe una relazione. Finita l’occupazione, nel 1944 scappò in Svizzera anche per evitare ritorsioni e accuse di collaborazionismo; venne interrogata da Malcolm Muggeridge, funzionario dell’intelligence britannica, a proposito del suo rapporto con Dincklage ma l’intervento del primo ministro Winston Churchill, di cui era amica dagli anni Venti, fermò ogni incriminazione.

Nel 2011 uscì un’importante biografia, Sleeping With the Enemy, scritta dallo storico Hal Vaughan dopo che alcuni documenti francesi, precedentemente riservati, furono resi pubblici. Venne fuori che Dincklage aveva presentato Chanel al barone Baron Louis de Vaufreland, un agente tedesco, che in cambio dei suoi servizi le aveva promesso la liberazione del nipote, imprigionato in Germania dal 1940. Venne registrata con il nome in codice Westminster e inviata in missione a Madrid, in Spagna. Poi verso la fine del 1943 fu assoldata dal generale Walter Schellenberg, capo dei servizi segreti tedeschi, per una poco chiara operazione Modellhut: avrebbe dovuto avvicinare Churchill e riferirgli le intenzioni di alcuni importanti esponenti delle SS di arrendersi o collaborare. Dopo la guerra Schellenberg fu processato a Norimberga e condannato a sei anni di carcere ma venne rilasciato nel 1951 per motivi di salute; Chanel gli pagò le spese mediche, il vitalizio e poi il funerale.

Il ritorno
Nel secondo dopoguerra, dopo anni di privazione, la moda tornò a essere sfarzosa e ricercata e si impose il New Look di Christian Dior: una silhouette a clessidra, stretta in vita e con gonne larghe. Era il contrario dello stile longilineo, comodo, sobrio e pragmatico di Chanel che lo accusava di non vestire le donne ma di tappezzarle: «come sono ridicole queste donne, che indossano abiti fatti da un uomo che non conosce le donne, non ne ha mai avuta una e sogna invece di esserlo».

A 15 anni dalla chiusura dell’azienda decise di rimettersi in gioco: era il 1954 e aveva 71 anni. Presentò una nuova collezione: la stampa francese, memore del suo collaborazionismo in guerra, fu tiepida ma negli Stati Uniti e in Regno Unito le reazioni furono entusiaste. Fatta di cardigan, scolli a V, camicette con fiocchi al collo, pantaloni a zampa di elefante e i consueti giri di perle, venne definita elegante e disinvolta, giovane e nuova.

Gli ultimi anni
Col tempo Chanel era diventata sempre più dispotica e solitaria. Una sera andò a letto presto sentendosi poco bene e disse alla sua cameriera «Vedi, è così che si muore». Morì il giorno dopo, domenica 10 gennaio 1971, all’hotel Ritz, doveva viveva da 30 anni. I funerali si tennero nella chiesa de la Madeleine, in prima fila c’erano le sue modelle preferite, tra il pubblico Salvador Dalí e Yves Saint Laurent; molte indossavano un suo completo in tweed. Coco Chanel è sepolta nel cimitero di Bois-de-Vaux di Losanna, in Svizzera. Il suo patrimonio è stato ereditato dal nipote André Palasse e dalle sue due figlie. Chanel continuò a disegnare abiti fino alla morte, assistita all’epoca da Pierre Cardin, che sarebbe diventato a sua volta un grande stilista. A qualche anno dalla morte, l’azienda venne acquistata dall’imprenditore Jacques Wertheimer e si trova ancora nelle mani della famiglia. Nel 1982 venne scelto come direttore creativo lo stilista tedesco Karl Lagerfeld, che modernizzò e rilanciò Chanel in tutto il mondo.

Il funerale di Coco Chanel a Parigi, 13 gennaio 1971
(Keystone/Getty Images)

La sua vita è stata raccontata in tantissimi libri, film e spettacoli. Uno dei primi e più famosi è il musical Coco, del 1969, dov’è interpretata da Katharine Hepburn, con costumi di Cecil Beaton e musica di Andre Prévin. Tra gli altri film famosi ci sono Coco Chanel con Shirley MacLaine, uscito per la tv nel 2008, e Coco Before Chanel – L’amore prima del mito con Audrey Tautou, sempre del 2008, mentre nel 2009 uscì Coco Chanel & Igor Stravinsky, che racconta la sua storia con il musicista e fu presentato al festival di Cannes.