Perché si riparla di Ustica

C'è un dossier secretato che secondo alcuni conterrebbe informazioni utili sulla strage, ma il governo ha stabilito che resti ancora coperto da segreto di Stato

Il relitto dell'aereo di linea DC9 della compagnia aerea italiana Itavia precipitato vicino all'isola di Ustica il 27 giugno del 1980 e ricostruito nell'hangar di Pratica Di Mare, Roma, 15 dicembre 2003 (ANSA)
Il relitto dell'aereo di linea DC9 della compagnia aerea italiana Itavia precipitato vicino all'isola di Ustica il 27 giugno del 1980 e ricostruito nell'hangar di Pratica Di Mare, Roma, 15 dicembre 2003 (ANSA)

Da qualche giorno sui giornali italiani si è tornati a parlare di Ustica e del disastro aereo che il 27 giugno del 1980 causò la morte di 81 persone. Al centro delle ultime notizie ci sono alcuni documenti spesso indicati come “carte di Beirut” o “carte di Giovannone”, dal nome del colonnello Stefano Giovannone, responsabile del SISMI – l’ex servizio segreto militare italiano – in Libano dal 1973 al 1982. Quei dossier, secondo alcuni, contengono elementi utili per scoprire la verità sull’accaduto, ma non tutti sono d’accordo. Il governo italiano si è comunque rifiutato di renderli pubblici.

Alle 20.59 del 27 giugno 1980 un aereo DC-9 della compagnia ITAVIA in volo da Bologna a Palermo con 81 persone a bordo precipitò in mare non lontano dall’isola di Ustica, a nord di Palermo. Dopo decenni di indagini e di processi, tra reticenze e depistaggi, la tesi più accreditata è che l’aereo sia stato abbattuto per errore durante una battaglia tra aerei della NATO, americani o francesi, e aerei libici. La Libia, all’epoca, aveva relazioni particolarmente tese con gli Stati Uniti e tra i due paesi, in quegli anni, avvennero diversi incidenti armati. Ma a 40 anni dalla morte degli 81 passeggeri e membri dell’equipaggio del volo ITAVIA, le dinamiche dell’incidente e i suoi responsabili rimangono ancora in gran parte sconosciuti.

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Lo scorso 2 luglio, in occasione dei quarant’anni dal disastro aereo, il Consiglio di presidenza del Senato aveva autorizzato la desecretazione degli atti delle commissioni parlamentari d’inchiesta che si erano tenute fino al 2001. Erano atti sulla strage di Bologna, sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e sulla strage di Ustica. Poche settimane prima il presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir) Raffaele Volpi aveva proposto al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, di rendere disponibili («pur con i limiti imposti dalla tutela dei rapporti con gli apparati di informazione di altri Paesi») anche gli atti dal 1978 al 1980 coperti dal segreto di Stato, con l’obiettivo di chiarire il contesto internazionale di quegli stessi episodi.

Il deputato Enrico Borghi, componente del Copasir, ha detto che l’archivio completo e ancora segreto di quegli anni potrebbe essere utile alla magistratura, spiegando che si tratta dei cosiddetti «residuali», cioè dei «documenti che per la permanenza del segreto non sono stati versati all’Archivio di Stato neppure dopo la cosiddetta legge Renzi del 22 aprile 2014 e che non sono noti agli inquirenti». Nel 2014, infatti, Renzi aveva disposto che, con procedura straordinaria, tutte le amministrazioni dello Stato depositassero all’Archivio centrale la documentazione di cui erano in possesso e relativa agli eventi che andavano da Piazza Fontana alla strage della stazione di Bologna e a quella di Ustica.

Di particolare interesse per il disastro aereo di Ustica sarebbe il dossier del colonnello Stefano Giovannone, responsabile del SISMI in Libano dal 1973 al 1982, che nei giorni precedenti al disastro di Ustica avrebbe avvertito da Beirut a più riprese di alcuni pericoli imminenti sull’Italia. La Stampa cita per esempio un cablogramma arrivato a Roma il 27 giugno 1980, proprio il giorno in cui sarebbe precipitato il DC-9, nel quale il colonnello del SISMI avrebbe avvisato che il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina gestito dai libici dichiarava superato il cosiddetto “Lodo Moro”, l’accordo stipulato sei o sette anni prima (segreto e mai confermato ufficialmente) con il quale l’Italia si sarebbe impegnata a favorire i palestinesi in cambio della garanzia di non subire atti terroristici. In un altro cablogramma, arrivato da Beirut dieci giorni prima della strage, si farebbe poi riferimento, tra le possibili ritorsioni contro l’Italia, all’attacco ad un aereo di linea o a un attentato all’ambasciata.

A metà giugno Giuliana Cavazza, figlia di una delle vittime della strage di Ustica e presidente onoraria dell’associazione “Verità per Ustica”, aveva scritto una lettera al presidente del Consiglio Giuseppe Conte perché su quei documenti venisse tolto il segreto di Stato. Daria Bonfietti, sorella di una delle persone morte sull’aereo nel 1980 e presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime, ha detto però che quei documenti non riguardano Ustica né Bologna: «Quelli sono incartamenti relativi a un’altra vicenda e che hanno dei livelli di segretezza previsti dalla legge, e se contenessero elementi relativi ad Ustica sarebbero già stati consegnati, da direttiva Renzi, all’Archivio di Stato, e sarebbero, dunque, visibili. Ma proprio perché non contengono nessun elemento relativo alla vicenda di Ustica, stanno lì e seguiranno il loro corso».

Al di là delle diverse posizioni sui contenuti di quelle carte e la loro utilità per le indagini su Ustica, il governo ha risposto a Cavazza con un no: pubblicare i documenti che portano la firma di Giovannone non è possibile perché si potrebbero colpire «gli interessi essenziali della Repubblica». La desecretazione è stata dunque rinviata, per ora, al 2029. Cavazza ha spiegato alla Stampa che nella sua lettera il governo ha affermato che le note di Giovannone «non sono attinenti» alla strage di Ustica, ribadendo che invece per lei e la sua associazione «sono interessanti per disegnare lo scenario» generale di quegli anni. Cavazza ha anche detto che con la sua associazione sta «valutando se ricorrere al Tar» o se «riproporre la richiesta citando anche ciò che è stato già pubblicato sulle note del SISMI, inviate giorno per giorno poco prima della strage», le note cioè che fanno riferimento alle possibili ritorsioni nei confronti dell’Italia dopo la fine del “Lodo Moro”.

La lettera che Palazzo Chigi ha indirizzato a Cavazza, scrive sempre La Stampa, ripercorre brevemente la storia di quelle carte: «Il colonnello Giovannone oppose il segreto di Stato durante l’inchiesta sulla scomparsa dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo (rapiti in Libano nel 1980, ndr). Era il 1984 quando l’allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi, confermò il segreto di Stato e ciò impedì anche ai magistrati di visionare il dossier. Da quel momento sulle informazioni di Giovannone si è stesa una coltre impenetrabile che è durata fino al 2014. È quanto prescrive la legge: il segreto di Stato può durare al massimo trent’anni. Immediatamente dopo, però, sulle sue carte è subentrata la classifica di “segretissimo”. Significa che ora almeno i magistrati potrebbero leggere questi documenti, ma con tanti vincoli, e non è dato sapere quali procure li hanno visionati».