Il Sudafrica ha vietato alcol e sigarette durante il lockdown

Il governo sostiene così di attenuare il carico di lavoro degli ospedali

di Lorenzo Ancona

Due clienti comprano del vino nel primo giorno dopo la fine delle restrizioni sull’acquisto di alcolici 

(EPA/KIM LUDBROOK via ANSA)
Due clienti comprano del vino nel primo giorno dopo la fine delle restrizioni sull’acquisto di alcolici (EPA/KIM LUDBROOK via ANSA)


In Sudafrica le restrizioni imposte dal 27 marzo per rallentare la diffusione del coronavirus hanno previsto anche il blocco della vendita di sigarette, una decisione adottata da pochi paesi e molto discussa. La vendita di alcol, in una prima fase vietata, è invece ora parzialmente libera, ma il consumo è permesso solo nelle case e non in pubblico, nei ristoranti o nei locali. Queste limitazioni imposte dal governo sono state criticate dall’opposizione e dai produttori di sigarette e alcolici, con preoccupazioni per le potenziali ripercussioni sull’economia del paese, la più forte dell’Africa.

Con oltre 250mila casi rilevati, il Sudafrica è il paese africano con più contagi, e proprio in questi giorni ha fatto registrare gli incrementi maggiori. È il secondo paese del continente con più morti riconducibili alla COVID-19, dopo l’Egitto, ma il primo per il rapporto tra popolazione e numero di decessi. L’8 luglio in tutta l’Africa sono stati superati i 500mila casi registrati, anche se il dato reale è sicuramente superiore, considerato che 54 paesi non riescono a effettuare test a sufficienza.

Il Sudafrica da solo ha superato il 40 per cento di casi registrati nel continente, e il totale dei contagi rilevati si è quadruplicato nel solo mese di giugno, passando da 34mila a 150mila. Nei primi giorni di luglio si sono registrati i maggiori incrementi con picchi superiori ai 10mila casi registrati quotidianamente.

Il primo caso di COVID-19 del paese era stato rilevato il 5 marzo scorso, e il lockdown era stato imposto alla fine dello stesso mese. Le restrizioni avevano compreso il divieto di vendita di sigarette e alcol, prima deciso per aprile e poi esteso fino alla fine di maggio. Il governo aveva motivato questa decisione spiegando che il consumo di alcolici e tabacco ha un impatto importante sul sistema sanitario, e che limitarne la vendita avrebbe permesso di diminuire il numero di posti letto occupati, così da riservarli ai malati di COVID-19.
Il presidente Ramaphosa sostiene che “esistono correlazioni provate tra la vendita e il consumo di alcol e i crimini violenti, gli incidenti stradali e altre emergenze sanitarie” che al momento non dovrebbero tenere occupati gli ospedali, già alle prese con la pandemia.

A inizio giugno, dopo due mesi di misure stringenti, il governo ha annunciato il passaggio al “Livello 3” e i negozi di alcolici hanno riaperto, ma con forti limitazioni: l’acquisto è diventato possibile solo in alcuni orari e giorni, mentre il consumo può avvenire solo nelle case, e non per strada o nei locali. La vendita di sigarette, invece, è ancora vietata: attualmente il Sudafrica è l’unico paese del mondo con il tabacco illegale, dopo che India e Botswana hanno rimosso i loro divieti.

Il consumo di alcol e tabacco è molto diffuso: si contano oltre 9 milioni di fumatori e oltre il 30 per cento delle persone con più di 15 anni consuma abitualmente alcolici. Di queste, il 59 per cento si dichiara “bevitore seriale”. In una analisi del 2019 il Sudafrica – con poco meno di 10 litri bevuti a persona in un anno – si è classificato come il terzo paese per consumo di alcol in Africa, dopo Nigeria e Swaziland.

Secondo le indicazioni dell’OMS sugli effetti del tabacco e degli alcolici rispetto alla COVID-19, il fumo rende più difficile la guarigione perché associato ad un “aumento della gravità della malattia e della morte dei pazienti”, ma il rischio non è stato quantificato né i fumatori risultano più a rischio di contagio. Sull’alcol le valutazioni sono simili: chi beve tanto è più esposto e rischia problemi maggiori se contagiato. Si ritiene inoltre che il consumo possa incidere negativamente sul rispetto delle norme per il distanziamento sociale.

L’opposizione ha definito “paternalistico” l’approccio del governo, per aver trattato i cittadini “come bambini”. L’industria del tabacco, che rappresenta per lo stato un’entrata di oltre 100 milioni di dollari al mese in tasse, ha scritto una lettera al governo per chiedere la reintroduzione del commercio di sigarette dopo oltre
cento giorni di blocco. La FITA (Fair Indipendent Tobacco Association), associazione di settore, ha inoltre presentato ricorso contro una sentenza che aveva respinto una precedente richiesta di annullamento del blocco; l’alta Corte di Pretoria se ne occuperà il 15 luglio in un’udienza su Zoom.

Anche dal settore dei ristoranti è arrivata la richiesta di rimuovere in parte il divieto di consumo degli alcolici, per consentirlo almeno durante i pasti. Diventati illegali alcol e tabacco, la domanda si è spostata sul mercato nero, gestito dalla criminalità organizzata e con prezzi decisamente superiori a quelli abituali. Il prezzo di un pacchetto di sigarette è più che triplicato rispetto a quello sul mercato legale, mentre una bottiglia di vodka, prima venduta all’equivalente di 6 dollari, è arrivata a costarne 21.

L’alcol in Sudafrica, inoltre, è strettamente legato ad un altro problema: gli omicidi, in un paese con uno dei maggiori tassi di morti violente nel mondo. Secondo Gareth Newham, dell’Institute for Security Studies, un autorevole istituto di ricerca indipendente, durante il lockdown si è registrato un calo del 63 per cento di crimini violenti, omicidi compresi.

Gli episodi di violenza sulle donne sono particolarmente rilevanti: il Sudafrica ha uno dei tassi di femminicidio più alti al mondo e solo nello scorso anno sono state uccise oltre 2.700 donne. Il presidente Ramaphosa ne parla come di una “seconda pandemia” e ha rivendicato il blocco alla vendita di alcol anche come una misura per prevenire questo rischio. A partire dal 1° giugno – quando è ricominciato il commercio di alcol – il governo ha segnalato un aumento del numero di donne uccise.

Questo e gli altri articoli della sezione Il coronavirus in 26 paesi del mondo sono un progetto del workshop di giornalismo 2020 del Post con la Fondazione Peccioliper, pensato e completato dagli studenti del workshop.