C’è un piccolo focolaio di coronavirus a Roma

Alla casa di riabilitazione San Raffaele Pisana sono stati registrati 37 casi, ed è in corso un'indagine epidemiologica per capirne l'origine

Un'ambulanza esce dall'IRCCS San Raffaele Pisana di Roma. (ANSA/FABIO FRUSTACI)
Un'ambulanza esce dall'IRCCS San Raffaele Pisana di Roma. (ANSA/FABIO FRUSTACI)

Negli ultimi giorni sono stati registrati 37 casi di coronavirus in una casa di riabilitazione e cura di Roma, l’Irccs San Raffaele Pisana: le persone contagiate sono in larga parte pazienti, ma anche operatori sanitari e loro familiari. Un 97enne già malato di morbo di Parkinson e di diabete è morto.

I casi sono emersi dopo un’estesa operazione di test che ha previsto 700 tamponi su pazienti, dipendenti e dirigenti della struttura, decisa dalla ASL locale che ha disposto anche un’indagine epidemiologica per stabilire come sia cominciato il contagio. L’assessore alla Sanità del Lazio Alessio D’Amato ha detto che da lunedì l’indagine sarà estesa anche ai pazienti che sono stati dimessi dalla struttura nelle ultime tre settimane, e ai loro contatti stretti. La struttura è stata nel frattempo isolata con l’aiuto dell’esercito.

Intanto la Regione Lazio e la struttura stanno litigando sulle responsabilità del contagio. L’ASL Roma 3 ha scritto in un comunicato che «al momento è probabile che il caso indice del focolaio sia riferibile ad alcuni operatori della struttura», aggiungendo però che si devono aspettare i risultati dell’indagine. L’ipotesi delle autorità sanitarie, quindi, è che la struttura non abbia applicato correttamente i protocolli sanitari per evitare la trasmissione del virus tra operatori e pazienti.

La struttura ha invece respinto quest’accusa, spiegando che «pur non intendendo scendere in sterili ed inutili polemiche e contrapposizioni strumentali», «l’Irccs smentisce che siano stati i propri operatori la causa della diffusione del virus all’interno della struttura in quanto è ancora in corso l’indagine epidemiologica. Contrariamente a quanto riportato nelle comunicazioni regionali sembra emergere un’origine derivata dall’invio di pazienti già positivi da parte di alcuni presidi ospedalieri».