Le migliori sei canzoni dei Frankie Goes to Hollywood

Da riascoltare oggi che Holly Johnson compie 60 anni

(Hendrik Schmidt/AP Images)
(Hendrik Schmidt/AP Images)

Holly Johnson, cantante britannico e frontman dei Frankie Goes to Hollywood, compie oggi 60 anni: una buona scusa per riascoltare le migliori sei canzoni della sua band, secondo il sindacabile (dice lui) giudizio del peraltro direttore del Post Luca Sofri, che le aveva selezionate per il suo libro Playlist, La musica è cambiata.

Relax (Welcome to the pleasuredome, 1984)
“Relax” è “Relax”. Uno dei singoli più venduti degli anni Ottanta (il settimo di tutti i tempi in Inghilterra). Eppure ci mise un po’: per alcuni mesi soggiornò intorno al cinquantesimo posto, con quasi nessuna promozione. Poi loro andarono una volta in TV, ma soprattutto un famoso deejay della BBC espresse in diretta il suo sdegno per le allusioni della canzone e per lo stesso disegno di copertina (un uomo e una donna plasticamente avvinghiati, in parco abbigliamento sadomaso). La copertina riportava anche i versi: «Relax, don’t do it, when you want to suck to it, Relax don’t do it, when you want to come». Tempo una settimana, e il disco era stato censurato da tutti i programmi maggiori, ed era al numero uno, dove rimase per cinque settimane. Dopo di che, il mondo.

Two tribes (Welcome to the pleasuredome, 1984)
Quando uscì “Two tribes” e raggiunse il primo posto nelle hit-parade britanniche (per nove dico nove settimane), “Relax” risalì di nuovo al numero due, per simpatia: fu un’occupazione militare della classifica da parte dei Frankie Goes to Hollywood. Il titolo di “Two tribes” – una martellante analisi della tensione mondiale al culmine della guerra fredda – è una citazione di una battuta di Mad Max 2. Ne esistono mille versioni e remix, piene di invenzioni, ingredienti, sospensioni, cambi di rotta: un casino di canzone, tenuto solidamente insieme dal giro di basso e dalle percussioni.

The power of love (Welcome to the pleasuredome, 1984)
Appena uscito il doppio disco in cui erano stati inseriti i primi due singoli, fu pubblicato il terzo, di tutt’altro tenore. “The power of love” è un lento enfatico e orchestrale, di formidabile impatto cinematografico. Stavolta niente sesso, niente violenza, e un’uscita alla vigilia di Natale: una mossa geniale quanto le precedenti. Nella versione di nove minuti e mezzo, del 12” c’erano un lungo prologo strumentale e un parlato di Holly Johnson preceduti da un attore che ricostruiva il breve monologo sdegnato del deejay Mike Read su “Relax” («this record is absolutely obscene, I’m not going to play this record»).

Born to run (Welcome to the pleasuredome, 1984)
L’atteso LP (doppio) dei Frankie Goes to Hollywood si rivelò un patchwork volto a portare a casa un altro pacco di soldi. C’erano i due singoli ormai vecchi, strasentiti e stravenduti, e una quantità di cover discontinue e riempitivi strumentali tirati in lungo anche se non privi di qualche fascino. Tra le cover, una “Born to run” sintetica imparagonabile con l’originale, ma a cui il digrignare di denti di Holly Johnson riesce a dare qualcosa.

Bang (Welcome to the pleasuredome, 1984)
È solo il minuto di celestiale cascata di campanelli (roba di tastiere elettroniche) che chiude il sipario di “Welcome to the pleasuredome”. Fu ripresa dalla chiusa di “Ferry cross the Mersey” e ci fu aggiunta la battuta: «Frankie says: no more».

Ferry cross the Mersey (Bang!, 1994)
Era una canzone divenuta una specie di inno locale di Liverpool, portata a un grande successo da Gerry and the Pacemakers nel 1965. Il Mersey è il fiume che sfocia nella baia di Liverpool, e il traghetto che lo attraversa è un’istituzione. I Frankie Goes to Hollywood ne fecero una cover che uscì come lato B di “Relax” e poi nella raccolta “Bang!”.