Una canzone di Joe Henry

Vite che potevano essere diverse, e uno dei cantautori più ammirati e autorevoli degli ultimi vent'anni

(Rebecca Sapp/Getty Images for The Recording Academy )
(Rebecca Sapp/Getty Images for The Recording Academy )

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera.
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Negli anni Novanta nella mia compagnia di amici appassionati di musica si formò una sottocorrente incuriosita dalla cose nuove che stavano succedendo in quei generi che vennero chiamati “Americana” e “Indie rock”, ovvero evoluzioni contemporanee e alternative al mainstream dei suoni del rock e di altre tradizioni americane, anche molto folk e country ma meno loffio e lagnoso di molto folk e country che conoscevamo. Tra le prime cose in cui ci imbattemmo ci fu un disco a cui sono affezionatissimo perché dopo di lui quella musica l’ascoltai per tutto il decennio, Kindness of the world. Lui si chiamava Joe Henry, finimmo a vederlo in una sala desolata a Finale Emilia nel 1993 con una spedizione di scalcagnati da Pisa. Dieci anni dopo lo intervistai, e lui mi disse che quel disco non era granché. Stava iniziando la sua carriera di produttore e musicista eclettico, intellettuale, ammirato e richiesto dai colleghi e autore di dischi con un suono tutto loro che teneva dentro diverse cose, sempre assai notturni (nel frattempo era anche diventato cognato di Madonna).
In uno di questi dischi del 2014 c’era questa canzone, che aggiungo alla playlist e vi metto qui mentre sfogliate le ultime pagine prima di spengere la luce: è una lettera finale, cadenzata e senza ritornello, di uno che ne ha fatte di cotte e di crude rovinando la sua e altre vite. A un certo punto la strofa è affidata a una banda di fiati, un po’ Louisiana. Poi torna lui, alla fine della sua vita, e non gli resta niente a cui pensare se non questa treccia della bambina davanti a lui a scuola, e cosa potrebbe essere stato.

But, all those days have fled somehow
And nothing occupies me now
Except for this strange thought of you
Who sat before me back in school
And trailed a rope of braided hair
Across the back rail of your chair
And learned to sign your name in air
And read from lips –oh, I might’ve dared
To simply move my own so you
Could read please love me, and might have too

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