Aung San Suu Kyi ha difeso il Myanmar dalle accuse di genocidio contro i rohingya davanti alla Corte internazionale di giustizia

(AP Photo/Peter Dejong)
(AP Photo/Peter Dejong)

Oggi Aung San Suu Kyi, ministra degli Esteri del Myanmar, ha difeso le misure prese dal suo governo contro la minoranza musulmana dei rohingya nel 2017 durante un’udienza alla Corte internazionale di giustizia, il tribunale che risolve le controversie fra stati che appartengono all’ONU, all’Aia, nei Paesi Bassi. L’audizione era molto attesa, dato che per la prima volta la nota leader e attivista per la pace ha difeso le violenze del suo governo in un contesto internazionale.

Aung San Suu Kyi ha definito le accuse di genocidio rivolte al governo birmano come «un quadro incompleto e fuorviante della situazione nel Rakhine», lo stato nell’ovest del paese, vicino al Bangladesh, dove sono avvenuti gli scontri del 2017. Aung San Suu Kyi ha anche detto che gli interventi dell’esercito birmano erano stati una risposta agli attacchi compiuti dai ribelli rohingya: «Abbiamo a che fare con un conflitto armato interno, iniziato da attacchi coordinati dall’esercito per la salvezza dei rohingya nel Rakhine (ARSA), a cui le forze di difesa del Myanmar hanno risposto». Nel suo intervento, ha aggiunto però come non si possa escludere «che ci sia stata una risposta sproporzionata da parte dei membri dell’esercito e che ci siano state in alcuni casi violazioni del diritto internazionale umanitario».

La Corte internazionale di giustizia ha deciso di esaminare il caso dopo che un rapporto sulle violenze commesse dal governo del Myanmar era stato presentato dal Gambia, un piccolo paese africano a stragrande maggioranza musulmana, appoggiato da diversi altri paesi a maggioranza musulmana. Dopo aver sentito le ragioni di entrambe le parti la Corte deciderà se avviare un processo, che nel caso durerà probabilmente molti anni.