Le prime operazioni chirurgiche in “animazione sospesa”

Un gruppo di chirurghi negli Stati Uniti sta sperimentando un sistema per fermare temporaneamente il cuore dei pazienti in condizioni critiche, per salvargli la vita

(Christopher Furlong/Getty Images)
(Christopher Furlong/Getty Images)

In un ospedale del Maryland, negli Stati Uniti, un gruppo di chirurghi sta sperimentando un nuovo sistema per operare i pazienti in condizioni critiche, utilizzando un principio simile a quello per ibernare i corpi. I risultati degli esperimenti non sono ancora stati pubblicati su una rivista scientifica, ma l’autore del trattamento, Samuel Tisherman, ha fornito a New Scientist alcune anticipazioni, senza offrire dati su quanti pazienti siano sopravvissuti alla tecnica, impiegata esclusivamente su casi disperati per i quali il tasso di sopravvivenza è molto basso.

Tisherman è un docente della School of Medicine dell’Università del Maryland e ha spiegato di avere messo almeno un paziente in “animazione sospesa”, una pratica che da tempo si ipotizza possa essere impiegata per rallentare le normali funzioni vitali senza causare la morte. I tentativi svolti finora, su animali di vario tipo, non hanno però portato a risultati molto convincenti, tanto da rendere la tecnica più vicina alla fantascienza che alla realtà.

L’”animazione sospesa” potrebbe essere impiegata per i lunghi viaggi spaziali, proprio come si vede in alcuni film dove gli astronauti restano per anni in una condizione di incoscienza in attesa di arrivare a destinazione.

Una scena di “2001: Odissea nello Spazio” ( Metro-Goldwyn-Mayer)

Nell’ospedale di Baltimora dove lavorano Tisherman e i suoi colleghi, la tecnica è stata sperimentata per guadagnare solamente qualche ora di tempo, utile per condurre operazioni chirurgiche impossibili da realizzare nei pochi minuti che restano ai pazienti ricoverati in condizioni gravi, solitamente per eventi traumatici come una ferita da arma da fuoco o da taglio, e in arresto cardiaco. Pazienti di questo tipo di solito arrivano in ospedale con emorragie gravi e hanno scarse probabilità di sopravvivenza, con pochissimi minuti a disposizione dei chirurghi per intervenire.

Tisherman impiega una tecnica già sperimentata da altri suoi colleghi in passato e definita Conservazione e rianimazione di emergenza (emergency preservation and resuscitation, EPR). La temperatura corporea dei pazienti viene rapidamente portata dai normali 37 °C a 10-15 °C, attraverso un’infusione di soluzione salina fredda per sostituire il loro sangue. In queste condizioni, l’attività cerebrale del paziente si ferma quasi del tutto; il paziente viene poi portato in sala operatoria e sottoposto all’intervento.

Invece di avere pochi minuti per operare, i chirurghi hanno a disposizione un paio d’ore per effettuare l’intervento. Al termine, i pazienti vengono nuovamente scaldati con trasfusioni di sangue e rianimati per riattivare l’attività del muscolo cardiaco.

Il nostro organismo mantiene una temperatura costante intorno ai 37 °C, condizione nella quale le cellule producono energia grazie all’ossigeno fornito dalla circolazione sanguigna. In assenza di ossigeno, il cervello sopravvive al massimo 5 minuti, prima di subire danni irreversibili. Secondo Tisherman e gli altri ricercatori che da anni studiano l’”animazione sospesa”, riducendo di oltre 20 °C la temperatura corporea si possono rallentare le attività cellulari, facendo in modo che le cellule abbiano bisogno di meno ossigeno.

Dopo numerosi fallimenti, un paio di anni fa un gruppo di ricercatori dimostrò la possibilità di applicare l’”animazione sospesa” ad alcuni maiali con traumi gravi e in condizioni critiche, offrendo circa tre ore di tempo in più per realizzare interventi chirurgici per salvargli la vita.

Tisherman ha spiegato a New Scientist di avere pensato che fosse giunto il momento di provare la stessa tecnica su pazienti umani:

Ora lo stiamo facendo e, man mano che procediamo con la sperimentazione, impariamo molte cose. Una volta che avremo provato la fattibilità, potremo estendere le possibilità di sopravvivenza per pazienti che altrimenti morirebbero. Desidero che sia chiara una cosa: non stiamo provando a spedire qualcuno su Saturno, stiamo provando a guadagnare un po’ di tempo per salvare vite umane.

La sperimentazione di Baltimora ha ricevuto l’approvazione della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia governativa che si occupa di sicurezza dei farmaci e delle pratiche mediche. Gli abitanti della zona sono compresi nel progetto, che si applica unicamente per traumi gravi e per i quali non ci sarebbe nessun altro trattamento. La decisione è stata ampiamente comunicata nella comunità e chi volesse sottrarsi al progetto può farlo attraverso un sito, indicando la propria opposizione.

Non si sa per quanto tempo un paziente possa essere sottoposto ad “animazione sospesa”, né ci sono garanzie sul fatto che possa essere rianimato al termine del trattamento. In precedenza, altri esperimenti avevano dimostrato quanto fosse difficile ripristinare il flusso sanguigno senza danneggiare i tessuti. Quando il sangue torna a irrorare le cellule si può verificare un danno da riperfusione, che danneggia i tessuti compromettendone le normali funzioni. Spesso c’è una correlazione tra quantità di tempo passata senza ossigeno ed entità dei danni, una volta che viene ripristinato l’afflusso di sangue.

I ricercatori ritengono che l’impiego di alcuni farmaci specifici potrebbe ridurre i rischi nella fase di rianimazione dei pazienti. I meccanismi che causano i danni da riperfusione non sono però ancora noti completamente, ed è quindi difficile prevenirne gli effetti.

Molti aspetti della sperimentazione di Tisherman non sono ancora chiari. Il suo gruppo di ricerca non ha fornito informazioni su quanti pazienti siano stati sottoposti ad “animazione sospesa”, né se questo abbia consentito di evitare un maggior numero di decessi rispetto alle pratiche tradizionali. Tisherman ha spiegato che il prossimo anno dovrebbe pubblicare un primo studio, con dati e informazioni sulla sperimentazione.