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  • Venerdì 25 ottobre 2019

Com’è l’investigatore del nuovo romanzo di Enrico Franceschini

Il libro si chiama "Bassa marea": è un giallo, è ambientato in Romagna e il protagonista è un giornalista in pensione

Un dettaglio della copertina di "Bassa marea" di Enrico Franceschini, pubblicato da Rizzoli
Un dettaglio della copertina di "Bassa marea" di Enrico Franceschini, pubblicato da Rizzoli

Normalmente nelle prime pagine dei romanzi gialli, sia quelli che iniziano una serie che i capitoli successivi, viene presentato il personaggio che si occuperà di indagare: molto spesso è un commissario o un investigatore privato, ma ci sono anche i casi di medici legali, scrittrici di gialli, archeologi e giornalisti. In Bassa marea, il nuovo romanzo di Enrico Franceschini, ex corrispondente del quotidiano Repubblica e scrittore, il protagonista fa parte di quest’ultima categoria. Anche se per essere precisi si tratta, come lo stesso Franceschini, di un giornalista in pensione.

Bassa marea, pubblicato da Rizzoli nella collana Nero, è ambientato in Romagna, al mare, ma in un periodo di bassa stagione, un contesto un po’ diverso rispetto a quello della riviera romagnola più conosciuto. L’indagine comincia dopo che Andrea Muratori, il giornalista in pensione, anche lui ex corrispondente, trova sulla spiaggia, una mattina, una donna quasi morta. Pubblichiamo un estratto del libro, la parte in cui appunto si impara a conoscere Muratori, e si parla anche un po’ di giornalismo, o meglio di come appare a un giornalista che va in pensione di questi tempi.

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Da vecchi si dorme male. Ma Andrea non si sente vecchio. Per niente. A sessant’anni gli sembrava vecchio suo padre, ma erano altri tempi, un’altra generazione. “Sessanta sono i nuovi quaranta” affermano ora gli slogan pubblicitari. Oggi un uomo di sessant’anni può fare tutto, con il vantaggio di un po’ d’esperienza, niente da dover dimostrare e una pillolina azzurra per sentirsi giovane anche a letto. A dargli una botta di vecchiaia precoce ha provveduto il suo datore di lavoro, mandandolo in pensione in anticipo: prepensionamento, lo definisce un’apposita legge. In sostanza, un sistema con cui
disfarsi dei dipendenti che pesano di più, per ragioni di età, sul bilancio di un’azienda in crisi. Come il suo giornale. E i giornali in genere, nell’era della rivoluzione tecnologica, in cui sempre meno gente acquista quotidiani in edicola e non ci sono abbastanza abbonati a pagamento all’edizione digitale. Se si aggiunge il calo della pubblicità, anche quello prodotto dal boom del web, i cui grandi cavalieri, da Google a Facebook, se la pappano tutta, non c’è da prendersela con gli amministratori delegati perché cercano di prepensionare più dipendenti possibile. Incluso Mura, diminutivo di Muratori, soprannome ricevuto e mantenuto fin dai banchi di scuola, che a sessant’anni si è ritrovato anticipatamente in pensione.

Una buona pensione. Ma non rimane molto, tolti gli alimenti da pagare a due ex mogli, un’americana e una russa, entrambe frutto delle sue esperienze internazionali di cronista, più la “paghetta” che continua a versare a suo figlio Paolo, naturalizzato inglese, in procinto di finire gli studi da avvocato a Londra. Fatti i conti, economici e filosofici, dopo tre decenni trascorsi a raccontare guerre, rivoluzioni, terremoti e altri sommovimenti in giro per il pianeta, Mura ha deciso di tornare al punto di partenza. O quasi.

Rispetto a Bologna, dove è nato, Borgomarina giace un centinaio di chilometri più a est. Il posto delle villeggiature estive quando era bambino, quindi delle vacanze estive con suo figlio in un nostalgico déjà-vu: la teoria dell’eterno ritorno passa anche da paletta e secchiello.

Si stabiliva lì ogni estate per cinque o sei settimane di fila, quando rientrava in Italia per ferie dalle sue sedi di corrispondente estero. Ormai ci è più affezionato che alla città natale. I ricordi dell’infanzia sono sempre i più belli e Mura li ha doppi: i propri e quelli del suo erede. È l’unico luogo dove aveva comprato casa. Senonché da qualche anno l’ha venduta per acquistare un monolocale a Londra per suo figlio: gli è sembrato giusto, dopo averlo fatto crescere nella metropoli più costosa della terra. Sentiva la responsabilità di assicurargli un tetto sopra la testa. Ma una volta prepensionato, in sostanza disoccupato, con in tasca il poco che gli resta dagli alimenti del duplice divorzio, a rimanere senza un tetto sopra la testa è stato lui. Zero risparmi, zero proprietà, zero possibilità di ottenere un mutuo alla sua età: non male come bilancio di una lunga e onorata carriera. D’altronde, raccogli quel che hai seminato.
Altro luogo comune veritiero.

Gli era sempre piaciuto il motto di George Best, campione del pallone e viveur sfegatato: «Ho speso una fortuna in donne, macchine e cavalli, il resto l’ho sperperato». In macchine e cavalli, Mura non ha sperperato granché, ma è bastata la prima voce a lasciarlo in mutande. Serve poco più di quelle per vestirsi, fortunatamente, in riva al mare. E nella cittadina della Riviera romagnola un amico gli ha dato una mano a trovare casa in affitto per quattro soldi. Un buco, più che una casa, in verità. Ma basta e avanza. Mura ha passato gli ultimi anni ad alleggerirsi di tutto quello che gli ingombrava l’esistenza: mobilio, abiti, libri, oggetti. E pure persone. Downsizing, lo definiscono nelle business schools. «Travel light» teorizza lui, e in effetti è arrivato a Borgomarina molto light. Più o meno lo stesso bagaglio con cui era partito da Bologna per l’America, quarant’anni prima: borsa, zainetto, il PC dentro lo zainetto, invece dell’Olivetti portatile che aveva nel 1980. E rigorosamente solo.

Viaggiare leggeri rende tutto più semplice. Il trasloco, per cominciare: non serve una ditta di facchini. Senza bagagli affettivi, mogli, figli, compagni o compagne di viaggio, non serve nemmeno molto spazio dove sistemarsi. È sufficiente una tana. Un trappolo, come si diceva una volta a Bologna delle stanze per andare a scopare. Anche il suo ex compagno di banco Dan, del resto, ha scelto di vivere così e non si lamenta. L’attrazione irresistibile del buco, la definisce. Non tanto fuor di metafora.

Il suo, per di più, ha una vista che sembra di stare in mezzo al mare: più o meno come sul trampolino da cui a sedici anni disputava le gare di tuffi con gli amici. A un minuto di distanza dalla spiaggia dove alle cinque del mattino, ogni volta che può, va a correre. È la sua medicina. Corre per combattere l’insonnia. Per tenere basso il colesterolo. Per stancarsi. Per fare qualcosa, accidenti! Certi suoi colleghi pensionati, pur di non sentirsi finiti, mendicano collaborazioni a destra e a manca. Muratori no. Professionalmente, aspira a essere dimenticato. Preferisce correre.

Era consapevole che la sua figura di inviato speciale fosse una specie in via di estinzione. Ha vissuto lo stesso la pensione come un fallimento personale: se si fosse reso più necessario, forse non lo avrebbero lasciato andare tanto facilmente. Ma se
il giornalismo non ha più bisogno di lui, lui non ha più bisogno del giornalismo. Conclusione un po’ stizzita, certo. La professione non è più quella di una volta, prova a consolarsi, come chi rimpiange il fascino dell’Orient Express nell’era dei treni
ad alta velocità. Ciononostante, non indulge nella malinconia. Ha sempre detestato chi proclama: «Si stava meglio quando si stava peggio». Semplicemente, sente che è venuto il momento di voltare pagina.

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