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  • Domenica 25 agosto 2019

Intanto gli zapatisti in Chiapas

Il movimento rivoluzionario degli indigeni messicani ha fondato nuove comunità autonome, e dopo 25 anni sta continuando a crescere

La Garrucha, Chiapas, 31 dicembre 2005 (AP Photo/Eduardo Verdugo)
La Garrucha, Chiapas, 31 dicembre 2005 (AP Photo/Eduardo Verdugo)

Sabato 17 agosto l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) ha annunciato l’espansione dei territori che gestisce in modo autonomo nel sud-est del Messico. L’Ezln è un movimento armato clandestino e anticapitalista attivo dagli anni Novanta nel Chiapas, uno stato del Messico meridionale. Non ha mai combattuto per la patria o per l’indipendenza, ma per il riconoscimento dei diritti civili, sociali e di autodeterminazione delle popolazioni indigene, sostenendo che il proprio obiettivo non sia la presa del potere ma la riappropriazione di un territorio. Queste caratteristiche hanno dato negli anni una certa popolarità all’Ezln e alle sue lotte, che avvengono attraverso la gestione autonoma di aree dove la proprietà delle terre e della vita nelle comunità è condivisa. Secondo il loro ultimo comunicato, sono 43 in tutto il sud del Messico

“¡Ya basta!”
Il primo gennaio del 1994, in concomitanza con l’entrata in vigore del NAFTA, un grande accordo commerciale tra Messico, Stati Uniti e Canada, un gruppo di guerriglieri invase sette città del Chiapas, lo stato meridionale del Messico che confina col Guatemala. I guerriglieri imbracciavano fucili rudimentali e machete, dicevano di essere zapatisti – con riferimento al leader della rivoluzione messicana Emiliano Zapata, che pose fine alla dittatura degli anni Dieci del Novecento – e dicevano di coprirsi il volto col passamontagna per mostrare il cuore. Il loro grido era: «¡Ya basta!». Reclamavano «terra e libertà» per i popoli indios, fino ad allora separati in etnie e lingue differenti.

Il Subcomandante Marcos a La Realidad, Chiapas, Messico, 31 dicembre 2018 (AP Photo/Eduardo Verdugo)

Il movimento era guidato da un insegnante universitario non indio che si definiva sottocomandante – il “subcomandante Marcos” – perché si considerava un comandante che obbediva alla sua gente. Dal palazzo municipale occupato di San Cristóbal, Marcos lesse la sua dichiarazione di guerra allo stato messicano:

«Noi, uomini e donne, nel pieno delle nostre facoltà e in libertà, siamo consapevoli che la guerra che abbiamo dichiarato è l’ultima risorsa, ma che è una guerra giusta. I dittatori stanno applicando una guerra genocida non dichiarata contro il nostro popolo da molti anni. Pertanto, chiediamo la vostra partecipazione, la vostra decisione di appoggiare questo piano del popolo messicano, che lotta per lavoro, terra, tetto, cibo, salute, istruzione, indipendenza, libertà, democrazia, giustizia e pace. Dichiariamo che non smetteremo di combattere fino a quando i bisogni elementari del nostro popolo non saranno soddisfatti da un governo del nostro paese libero e democratico»

La lotta armata durò in realtà poco più di dieci giorni, durante i quali l’esercito regolare cercò di riprendere il controllo delle aree occupate e la popolazione scese per le strade chiedendo a entrambe le parti un cessate il fuoco. L’allora presidente del Messico, Carlos Salinas de Gortari, arrivato al suo ultimo anno di mandato, accettò la proposta di dialogo dell’Ezln che fu mediata della diocesi di San Cristóbal e dal vescovo Samuel Ruiz Garcia. Le trattative durarono tre anni e terminarono nel 1996 con la firma degli Accordi di San Andrés, secondo i quali il governo avrebbe dovuto modificare la Costituzione inserendo il riconoscimento dei popoli e delle culture indigene, garantendo loro autonomia. Tuttavia, appena insediato, il nuovo presidente Ernesto Zedillo Ponce de León tradì i patti, rafforzando la presenza militare e paramilitare nelle zone di influenza degli zapatisti e assecondando atti di violenza e massacri di civili.

Il movimento scelse allora di tornare nella Selva Lacandona, nel sud-est del Chiapas, dove era nato, continuando a crescere, a consolidare le proprie relazioni con altri movimenti internazionali, cominciando a recuperare terre da coltivare e difendendole.

Conferenza stampa degli zapatisti a La Realidad, 2 dicembre 2000 (Susana Gonzalez/Newsmakers)

Nel 2000 le elezioni in Messico furono vinte da Vicente Fox, il primo presidente a non appartenere al PRI, il partito rimasto ininterrottamente al potere nei settant’anni precedenti. Fox riprese in mano gli accordi promessi, ma con delle modifiche sostanziali. Nel marzo del 2001 migliaia di persone marciarono fino alla capitale del Messico con i guerriglieri e con i rappresentanti di gruppi politici di altre parti del mondo per chiedere, ancora una volta, l’emanazione di una legge sugli indigeni. Quello fu l’ultimo tentativo dell’Ezln di dialogare con le istituzioni: qualche mese dopo tutti i partiti, compresi quelli di sinistra, tradirono nuovamente gli Accordi di San Andrés.

L’Ezln tornò sostanzialmente in un silenzio da cui uscì due anni dopo con l’annuncio della creazione dei MAR (Municipio Autonomo Rebelde) e dei Caracol (che significa lumaca), centri a metà tra un villaggio e un accampamento, basati su processi decisionali collettivi secondo il principio del «comandare obbedendo» (obbedendo al popolo, anche in questo caso). «Aqui manda el pueblo y el gobierno obedece», dicono i cartelli di benvenuto posti al confine dei territori dell’Ezln. Al loro interno si sviluppò una gestione civile e pubblica separata da quella militare e clandestina dell’Ezln: l’economia, la giustizia, l’istruzione, la sanità e il lavoro passarono alle Giunte del Buon Governo, organi composti da civili che ancora oggi amministrano a rotazione la vita nelle comunità in autonomia, secondo i principi non capitalistici.

Il subcomandante Marcos nella comunità zapatista La Realidad, 14 dicembre 1995 (AP Photo/Jesus Ramirez Cuevas)

Nel 2005 l’Ezln avviò l’Altra Campagna, per incontrare altri movimenti simili del Messico e costruire una rete di relazioni, organizzare incontri internazionali, festival dedicati all’arte e alla scienza e imponenti manifestazioni, come una marcia silenziosa per le strade di tutto il paese. Allo scopo di dare sostegno a tutte le lotte indigene del paese, l’Ezln propose la formazione del CNI, il Congresso nazionale Indigeno, che nel 2018 ha espresso una propria candidata alle elezioni presidenziali.


Nel frattempo, però, la repressione da parte del governo (definita “guerra a bassa intensità”) non si è mai fermata. Uno degli episodi più noti è l’uccisione nel maggio del 2014, per mano di un gruppo di paramilitari, del leader zapatista Galeano. Pochi giorni dopo, per decisione collettiva, il subcomandante Marcos (diventato nel frattempo una specie di icona globale, con il suo passamontagna e la sua pipa) smise di essere la voce del movimento zapatista, scrivendo un lungo comunicato in cui annunciò: «Non ci saranno funerali, né onori, né statue, né musei, né premi, né niente di quel che il sistema fa per promuovere il culto dell’individuo a scapito del collettivo. Noi, gli zapatisti e le zapatiste, abbiamo creato il personaggio, noi lo distruggiamo».

Lo scorso primo gennaio si sono festeggiati i primi 25 anni di rivoluzione zapatista, la cui posizione nei confronti del governo del nuovo presidente López Obrador, eletto nel 2018 e molto attivo nel difendere le grandi opere – a cui gli indigeni sono ostili, perché le considerano una spoliazione dei propri territori – è stata fin dall’inizio molto chiara: «Potranno cambiare i capataz, i servitori e i capisquadra, ma il proprietario continuerà a essere lo stesso».

I nuovi annunci
Nei giorni scorsi l’esercito zapatista di liberazione nazionale ha annunciato l’espansione del proprio progetto e la creazione di undici nuovi “centri di resistenza autonoma”: sette caracoles e quattro municipi. In un comunicato, che come gli altri si rivolge «al popolo del Messico e ai popoli del mondo», ha scritto:

«Dopo anni di lavoro silenzioso, nonostante l’assedio, nonostante le campagne di menzogne, nonostante le diffamazioni, nonostante i pattugliamenti militari, nonostante la Guardia nazionale, nonostante le campagne di controinsurrezione mascherate da programmi sociali, nonostante l’oblio e il disprezzo, siamo cresciuti e siamo diventati più forti. E abbiamo rotto l’accerchiamento. (…) Fratelli e sorelle, compagne e compagni: ci presentiamo a voi con nuovi Caracoles e ulteriori municipi autonomi ribelli zapatisti in nuove zone del sudest messicano».

Nel comunicato si dice che «la crescita esponenziale» del movimento si deve a due fattori, principalmente: un costante lavoro politico e organizzativo portato avanti soprattutto dalle donne, che «si sono mobilitate per parlare con altre sorelle con o senza organizzazione»; e al fatto che le comunità «tradizionalmente affiliate ai partiti» sono state a loro volta colpite «dal disprezzo, dal razzismo e dalla voracità dell’attuale governo», e sono passate «alla ribellione aperta o nascosta». «Al posto di fare la scalata degli incarichi di malgoverno o di convertirci in una brutta copia di chi ci umilia e opprime, la nostra intelligenza e il nostro sapere si sono dedicati alla nostra stessa crescita e forza».

Donne dell’Ezln, durante la cerimonia per il 25esimo anniversario del movimento, La Realidad, Chiapas, Messico, 1 gennaio 2019 (AP Photo/Eduardo Verdugo)

Il comunicato annuncia una serie di futuri incontri e si conclude cosi:

«Compagni e compagne, sorelle e fratelli

Qui stiamo, siamo zapatisti. Affinché ci vedessero, ci siamo coperti il volto; affinché ci nominassero, abbiamo negato il nostro nome; scommettiamo il presente per avere futuro, e per vivere, moriamo. Siamo zapatisti, in maggioranza indigeni di stirpe maya, e non ci vendiamo, non ci arrendiamo e non zoppichiamo.

Siamo ribellione e resistenza. Siamo una delle tante mazze che romperanno i muri, uno dei tanti venti che spazzeranno la terra, e uno dei tanti semi dai quali nasceranno altri mondi.

Siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale»