I Kinks, sporchi e cattivi

11 canzoni di una delle band inglesi più famose e influenti di sempre, oggi che Ray Davies compie 75 anni

(Hulton Archive/Getty Images)
(Hulton Archive/Getty Images)

Il 21 giugno del 1944, 75 anni fa, nacque in un sobborgo a nord di Londra Ray Davies, il leader e cantante dei Kinks, storica band di rock ‘n roll britannica che negli anni Sessanta anticipò suoni e atteggiamenti di tante band del decennio successivo, quello dei grandi gruppi hard rock. Queste sono le loro undici canzoni scelte da Luca Sofri, peraltro direttore del Post, nel suo libro Playlist, La musica è cambiata.

Se gli Stones erano l’alternativa sporca e cattiva ai Beatles, i Kinks erano l’alternativa sporca e cattiva agli Stones (un cliché giornalistico inventò per quel tempo la cosca dei “Big Four”: Beatles, Stones, Kinks e Who). Avevano i due fratelli Davies di cui Ray è tuttora ammirato in Inghilterra come uno dei più grandi songwriters di sempre – ed erano molto molto inglesi, assai più dei loro concorrenti. Dopo una carriera di successi e di palchi distrutti, a un certo punto litigarono pure i fratelli: ma ormai il mondo si occupava d’altro.

All day and all of the night
(Singolo, 1964)
Il pezzo con cui si pogava negli anni Sessanta. Il testo potrebbe essere quello di una canzone sentimentale dei Beatles (“voglio starti sempre accanto” eccetera), evocativo di passeggiate mano nella mano e promesse per l’eternità, ma il ritmo e la chitarra aggressiva finiscono per renderlo invece ossessivo e violento: lei ha probabilmente assunto delle guardie del corpo.

Set me free
(Dedicated Kinks, 1966)
Forse per ragioni estetico-fonetiche, i testi inglesi sono più ricchi di quelli italiani di questa richiesta, “set me free”: lasciami andare. Che non si capisce perché uno non se ne debba occupare da solo, dell’estinzione di un rapporto, se si trova tanto male: a meno di indulgenze nei confronti di torbide relazioni succubi da cui non si riesce a uscire. Che può capitare: ma chiedere al carnefice di occuparsene lui forse è troppo.

Sunny afternoon
(Face to face, 1966)
La incisero rapidamente in una mattina, e Ray Davies era preoccupato che il debosciato aristocratico in disgrazia potesse sembrare agli ascoltatori un personaggio positivo, malgrado la sua intenzione di contrapporlo alla sua propria ricchezza accumulata a forza di canzoni. “Allora sentivo molto Frank Sinatra”. Fu per due settimane al numero uno in Gran Bretagna.

Victoria
(Arthur. Or the Decline and Fall of the British Empire, 1969)
Quando morì Gianni Agnelli, i giornali italiani si interrogarono sul rispetto, l’amore e l’ammirazione dei “suoi” operai per questa illustre figura. In realtà Agnelli era stato comprensibilmente oggetto di odio e contestazioni per tutta la sua vita da “padrone” e la presunta devozione stava più negli occhi di chi doveva riempire i giornali che nella Torino operaia. Ray Davies aveva descritto, ma con infastidito sarcasmo, un atteggiamento simile in “Victoria”, quello della classe operaia inglese discriminata dall’aristocrazia e dal regno, ma vincolata a un complesso servile nei loro confronti: “Though I am poor, I am free: when I grow I shall fight, for this land I shall die”.

Lola
(Lola versus Powerman and the Moneygoround, Part One, 1970)
Ray Davies racconta che il manager della band passò una notte a ballare in un locale con un travestito, senza accorgersi che era un travestito, e l’idea della canzone venne da lì (simile vicenda sarà poi in “Sbattiamoci” di Renato Zero). Il testo venne alleggerito nella prima versione per le radio, ma solo perché si citava la Coca-Cola e la BBC non volle fare pubblicità: si scelse il più vago “cherry cola”. Diventò la loro canzone più canticchiabile e canticchiata di sempre.

A face in the crowd
(Soap opera, 1975)
Un attacco che pare Bowie, che era il principe di quel modo teatrale di cantare proprio delle rock operas di quei tempi. Questa ne fu la versione vaudeville Kinks.

Trust your heart
(Misfits, 1978)
A metà tra una ballata degli ELO e un rocchettone dei Led Zeppelin, “Trust your heart” la scrisse Dave Davies, quello sempre all’ombra di suo fratello Ray (che pure si era unito alla band dopo di lui). Dave però è responsabile di molte delle cose di chitarra che resero celebri i Kinks.

A rock’n’roll fantasy
(Misfits, 1978)
Misfits, il disco, fu una specie di celebrazione della propria carriera sempre ai margini del grande successo. Questa canzone in particolare – autoironica e autocommiserante – sta in bilico tra l’esaltazione e la presa in giro del vivere in un proprio mondo che ruota attorno al rock’n’roll, generoso di emozioni, ma anche infantile e da cui è difficile evolversi.

“Don’t want to spend my life, living in a rock ’n roll fantasy
Don’t want to spend my life living on the edge of reality
Don’t want to waste my life, hiding away anymore
Don’t want to spend my life, living in a rock ’n roll fantasy…”

Catch me now I’m falling
(Low budget, 1979)
Io ci sono stato sempre quando avevate bisogno, anche nei momenti peggiori. Ma ora che sono io a essere in difficoltà, siete tutti spariti, e mi fate dire dalla segretaria che siete fuori città. Eppure io vi ho sempre tirato fuori dai guai: “è Capitan America che vi chiede aiuto!”. Capitan America, quello della Marvel, sarebbe morto ventisette anni dopo: mentre viene portato in tribunale per essere processato da quelli che aveva sempre difeso.

State of confusion
(State of confusion, 1983)
Era il 1983, ma riuscivano ancora ad alternare alla grande strofe aggressive e “ponti” melodici con coretto: “Should feel happy, should feel glad…”.

Do it again
(Word of mouth, 1984)
Gran pezzo di quelli da colonna sonora perfetta del coast-to-coast, tutto chitarre da Easy Rider. Però era già il 1984, e se il suono è quello l’atteggiamento è assai più cinico e realistico: ogni giorno ti metti lì e pensi di cambiare qualcosa, ma in realtà non cambia niente, e sei sempre al punto di prima.