L’epidemia di peste suina in Cina è un disastro

Ci sono milioni di maiali contagiati e da abbattere, mentre il virus si sta diffondendo nel paesi confinanti mettendo a rischio un'intera catena produttiva

(AP Photo/Elizabeth Dalziel)
(AP Photo/Elizabeth Dalziel)

L’epidemia di peste suina africana in Cina continua a peggiorare e si sta diffondendo in altri paesi asiatici, causando un enorme danno economico in uno dei settori più importanti dell’industria alimentare cinese con un fatturato annuo intorno ai 114 miliardi di euro. Il governo della Cina ha imposto l’uccisione di milioni di maiali, ma contenere l’epidemia si sta rivelando molto più complicato del previsto, anche a causa della particolare aggressività dell’ASFV, il virus responsabile della malattia.

Contro l’ASFV non esiste una cura: quando infetta i maiali, causa febbre ed emorragie interne che nel 90 per cento dei casi portano alla morte dell’animale. L’unica soluzione efficace consiste nell’abbattere tutti gli animali negli allevamenti in cui sono stati registrati casi di peste suina, contenendo la diffusione del virus. In Cina la legge prevede che siano abbattuti tutti i suini nel raggio di 3 chilometri dall’allevamento infettato. Il problema è che non tutti rispettano la legge, che a sua volta non viene sempre applicata dalle amministrazioni locali, per evitare di dover pagare gli indennizzi agli allevatori (circa 158 euro per ogni maiale abbattuto).

In Cina si allevano 440 milioni di maiali, pari a circa la metà dell’intera popolazione di suini da allevamento del pianeta. La carne di maiale fa parte dell’alimentazione di centinaia di milioni di cinesi e il suo mercato è piuttosto florido, con una compravendita di animali vivi e macellati tra piccoli allevamenti, mercati locali e grande distribuzione. Questa dinamicità è una delle cause della rapida diffusione della malattia.

Si stima che quest’anno in Cina sarà portato alla macellazione il 20 per cento di maiali in meno rispetto al 2018, in termini assoluti circa 134 milioni di suini in meno. Sarà il calo più marcato da quando si tiene traccia in modo organico e organizzato della produzione suina globale.

I precedenti su come è stata gestita la peste suina africana in altri paesi non sono incoraggianti. A partire dai primi anni Sessanta, la Spagna faticò molto per tenere sotto controllo l’epidemia: la catena di produzione fu nettamente industrializzata e furono necessarie nuove leggi, che imponevano controlli sanitari più severi. Solo nel 1995, dopo 35 anni di lavoro e il sostegno dell’Unione Europea, la Spagna fu in grado di dichiarare la fine dell’epidemia da peste suina africana nei suoi allevamenti. Le cose non sono andate meglio in Sardegna, dove ormai da decenni si cerca di eradicare completamente la malattia. La produzione in Cina è su una scala incomparabile a quella europea, e questo dà il senso della dimensione e della difficoltà nel contenere la malattia.

L’ASFV si trasmette molto facilmente tra i maiali, sia per contatto diretto, sia nel caso in cui un suino si nutra di mangimi o acqua contaminati da altri suoi simili malati. Il virus rimane presente e attivo per diverse ore anche sui vestiti e sugli utensili impiegati dagli allevatori, rendendo ancora più alto il rischio di nuovi contagi. La peste suina africana si trasmette solamente tra i maiali, mentre è innocua per gli esseri umani.

A oggi non è chiara la provenienza del ceppo virale di ASFV che sta interessando milioni di suini in Cina. I ricercatori hanno trovato affinità con tipi di virus rilevati in Russia e in altre parti dell’Europa negli ultimi dieci anni, ma non è chiara la via con cui sia poi arrivato in Cina. Questo complica le attività di sorveglianza ai confini per evitare che siano introdotti animali malati nel paese, peggiorando la situazione.

L’epidemia di peste suina africana si è ormai diffusa in Corea del Nord, Vietnam e Mongolia, ma non si esclude che abbia iniziato ad attecchire anche in altri paesi confinanti con la Cina continentale. La diffusione delle malattia oltre i confini fa aumentare il rischio che possa poi tornare in Cina, causando nuove epidemie dopo l’eventuale risoluzione dell’attuale.

Una volta infettato, un maiale impiega tra i 5 e i 15 giorni prima di sviluppare i sintomi, rendendo evidente la presenza della malattia. In media, un suino diventa contagioso a partire da due giorni prima di ammalarsi, cosa che rende ancora più alto il rischio di diffusione del virus. I maiali sono trasportati per chilometri, con gli allevatori che approfittano delle oscillazioni sul mercato del prezzo della carne nelle varie regioni per massimizzare i loro profitti. Maiali contaminati possono quindi finire facilmente in allevamenti altrimenti sani.

Secondo gli esperti sarebbe complicato contenere l’epidemia anche nel caso di regole e controlli più severi sulla compravendita dei maiali. In una sola goccia di sangue infetto la carica virale è comunque alta: basta che una sola di queste sia ingerita, per esempio attraverso dell’acqua contaminata, per proseguire il contagio; anche urine, feci e saliva sono contagiose.

L’ASFV ha inoltre la capacità di rimanere attivo per molto tempo. Secondo le ricerche, in acqua resta attivo per un mese, mentre nella carne e nel sangue a temperatura ambiente per diversi mesi, e fino a sei anni a una temperatura intorno ai 5 °C. È inoltre resistente a temperature fino a 70 °C. Tracce del virus sono state trovate in prodotti alimentari provenienti dalla Cina in Giappone, Australia e Corea del Nord, un indizio sulla sua circolazione nella catena alimentare.

Un’ulteriore complicazione nel controllo dei contagi è dovuta alle possibilità di trasmissione del virus dalle zecche e dai cinghiali. Sono presenti in ampie porzioni del territorio cinese: solo nella provincia dello Zhejiang, nella Cina orientale, si stima che vivano almeno 150mila cinghiali.

A oggi non esiste un vaccino efficace contro la peste suina africana. Negli ultimi anni ci sono stati progressi, ma non è ancora chiaro tra quanto potrà essere commercialmente disponibile un vaccino. Alcune ricerche si stanno concentrando sui suini che riescono a sopravvivere alla malattia, per comprendere quali caratteristiche genetiche e del loro sistema immunitario favoriscano questa condizione. Il problema è che l’ASFV ha un DNA piuttosto complesso, con istruzioni per produrre diverse proteine che riescono a eludere le difese immunitarie dei maiali.

Anche se non c’è un’unica soluzione che possa funzionare contro l’epidemia di peste suina africana, al momento alla Cina non resta che sorvegliare attentamente gli allevamenti, rafforzando le attività di censimento dei maiali malati e il loro abbattimento. Nel paese ci sono 26 milioni di allevamenti, tra grandi e piccoli, che dovranno applicare protocolli igienici per ridurre i contagi: in mancanza di un vaccino efficace, saranno probabilmente necessari decenni prima che il problema sia risolto.