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  • Giovedì 18 aprile 2019

Perché non ci sarà un’altra “bolla delle dot com”

Le aziende tecnologiche di oggi non sono più quelle del 2000 e non ha quasi più senso distinguerle dalle altre

All'ultimo CES di Las Vegas, il 9 gennaio 2019 (Justin Sullivan/Getty Images)
All'ultimo CES di Las Vegas, il 9 gennaio 2019 (Justin Sullivan/Getty Images)

Periodicamente, da qualche anno, esperti di economia e giornali che si occupano di finanza parlano della possibilità che a breve possa scoppiare una nuova “bolla” delle aziende tecnologiche, come quella del 2000: all’epoca molte società legate a internet, le cosiddette “dot com”, fallirono dopo che il prezzo delle loro azioni era cresciuto eccessivamente anche a causa della sopravvalutazione degli analisti. Negli ultimi anni le offerte pubbliche iniziali (IPO) per le aziende tecnologiche che vengono quotate in borsa sono sempre più alte – ad esempio, per quella di Uber, che dovrebbe essere imminente, si è parlato di una valutazione di 100 miliardi di dollari o più – e per questo si teme che la storia possa ripetersi.

Perché non ci sarà un’altra bolla come quella delle “dot com”
Si sa che in economia i periodi di crescita e recessione sono ciclici: prevedere con esattezza quando si passerà da uno all’altro però è complicato. Una cosa tuttavia si può dire: se anche dovesse arrivare una crisi nel settore tecnologico, sarebbe molto diversa dalla “bolla delle dot com” perché dal 2000 a oggi le aziende del settore sono molto cambiate.

Nella seconda metà degli anni Novanta quando si parlava di società legate a internet si intendevano fondamentalmente due tipi di aziende: negozi online (come quello di prodotti per animali pets.com, che fu tra le società che fallirono nel 2000) e servizi di telecomunicazioni, come i motori di ricerca e i siti di web-hosting. Oggi invece gran parte delle aziende nate e cresciute grazie a internet si occupa di tante cose diverse: ci sono i social network, i servizi di streaming di contenuti, i produttori di software di tutti i generi e i servizi bancari digitali, tra gli altri. Non a caso la borsa americana ha in parte messo fine alla distinzione tra le aziende tecnologiche e digitali in quanto tali spostando Netflix, Alphabet, Facebook e Twitter dal settore “tecnologia” dell’indice S&P500 a “servizi di comunicazione”, dove ci sono anche le più tradizionali Disney e Verizon.

Molte aziende poi si sono diversificate in vari settori, di cui alcuni ben radicati nel “mondo fisico”, stringendo profondi rapporti con aziende di altri settori. Uno degli esempi principali è quello di Amazon, che ha cominciato come libreria online e la cui divisione più redditizia oggi è Amazon Web Services, quella che si occupa di cloud computing, cioè che gestisce e affitta grossi e potenti server e sistemi di distribuzione dei dati.

Ovviamente aziende più giovani di Amazon (che esiste dal 1994) sono meno diversificate, ma hanno comunque strutture più complesse e robuste delle dot com del 2000. E valgono di più: alla fine degli anni Novanta ad esempio il NASDAQ Composite, l’indice dei titoli tecnologici, aveva raggiunto un rapporto prezzo/utili pari a 200, mentre oggi è intorno ai 20, perché le aziende tecnologiche, anche quelle che hanno grosse perdite per molto tempo, producono molti più utili. Ai tempi della bolla delle dot.com inoltre poche aziende avevano messo da parte una riserva finanziaria (Amazon era tra queste), mentre oggi sono molte di più ad averlo fatto.

Le tecnologie che cambieranno l’economia
Da anni ormai è assodato che internet ha cambiato completamente gran parte dei settori dell’economia mondiale e oggi è sempre più chiaro che altre tecnologie continueranno a farlo nei prossimi decenni. Fondamentalmente quelle che permettono di raccogliere ed elaborare grandi quantità di dati – i cosiddetti “big data” – attraverso gli utenti di app, social network e motori di ricerca: dunque gli algoritmi e i sistemi di intelligenza artificiale. Infatti la disponibilità di un gran numero di informazioni sui bisogni e le richieste dei consumatori e la possibilità di analizzarli possono aiutare le aziende a migliorare la propria produzione e le proprie reti di vendita, capendo meglio la direzione in cui è possibile crescere.

I sistemi di intelligenza artificiale potranno inoltre rendere sempre più efficienti i sistemi di produzione grazie all’automazione degli stabilimenti industriali, già avanzatissima in alcuni settori, come quello automobilistico. Ulteriori vantaggi poi si avranno in tutti quei settori in cui analisi delle probabilità veloci, che tengano conto di innumerevoli fattori, possono migliorare le tecnologie attuali: sta già succedendo con le automobili che si guidano da sole, probabilmente succederà sempre di più nel campo degli investimenti finanziari e della diagnostica medica.

Secondo le stime di Fidelity International, una delle più importanti società di gestione di fondi di investimento al mondo, l’intelligenza artificiale potrebbe produrre un aumento annuo del PIL mondiale dell’1,3 per cento entro il 2030: l’informatica degli anni 2000 fece aumentare il PIL mondiale dello 0,6 per cento.

Questo articolo fa parte di un progetto sponsorizzato da Fidelity International.

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