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  • Mercoledì 27 febbraio 2019

Strand non vuole diventare un monumento

La leggendaria libreria di Manhattan teme che i costi della sua storica sede crescano

(Scott Wintrow/Getty Images)
(Scott Wintrow/Getty Images)

Strand, la più celebre libreria di New York e una delle più famose e iconiche del mondo, sta portando avanti una battaglia contro la città per impedire che l’edificio in cui ha sede sia dichiarato un luogo storico. Questo, infatti, comporterebbe maggiori spese nelle assicurazioni e più complicazioni in caso di riparazioni al palazzo, che appartiene da tre generazioni alla proprietaria di Strand, Nancy Bass Wyden.

La libreria Strand, che esiste dal 1927, si trova all’incrocio tra Broadway e la 12esima strada, al confine orientale del Greenwich Village. È un luogo visitato e venerato dagli appassionati di libri di tutto il mondo: grazie allo slogan “18 miglia di libri”, dovuto alla lunghezza stimata dei suoi corridoi, alle apparizioni in film e serie tv e ai clienti famosi, Strand è rimasta un posto frequentatissimo nonostante Amazon, e nonostante l’enorme aumento degli affitti a Manhattan. Ma secondo Wyden rischia di non sopravvivere al riconoscimento che vuole assegnarle la città: al New York Times ha spiegato che al momento tira avanti grazie a margini risicati, e che la nuova regolamentazione le costerebbe molto.

L’edificio che ospita Strand risale al 1902 e fu progettato da William H. Birkmire, considerato un pioniere dei grattacieli con struttura in acciaio: secondo la città di New York, rappresenta «un’espressione particolarmente efficace dello stile Neorinascimentale». Ma Wyden la pensa diversamente: «Non è il Taj Mahal, è un magazzino», ha detto al New Yorker. Secondo lei, il sistema dei luoghi storici per come è impiegato a New York preserva «mattoni e malta», ignorando le esigenze delle attività commerciali storiche che ospitano.

(Spencer Platt/Getty Images)

Nei mesi scorsi il dibattito pubblico a New York si è concentrato sull’apertura dei nuovi grandi uffici di Amazon nel Queens, poi annullata dalla società di Jeff Bezos per via dell’opposizione di movimenti e associazioni locali. Per quel progetto la città e lo stato di New York avevano previsto 3 miliardi di dollari di incentivi fiscali per Amazon. Wyden aveva commentato: «Il più ricco uomo d’America, un mio diretto concorrente, ha appena ricevuto 3 miliardi di dollari in sgravi. Non sto chiedendo soldi o esenzioni fiscali. Voglio solo che mi lascino in pace».

La campagna per rendere i palazzi di Manhattan luoghi storici è portata avanti tra gli altri da Peg Breen, presidente di un’apposita associazione. Breen vorrebbe che il palazzo di Strand fosse una specie di apripista per il riconoscimento di altri vecchi edifici dell’area: la preoccupazione è che i palazzi vengano demoliti o modificati radicalmente dai molti investitori che vorrebbero costruire nuovi uffici e negozi. «Nessuno lo fa per mettere in difficoltà Strand, lo facciamo per onorare l’edificio», ha spiegato Breen. Da parte sua, Wyden dice di non aver nessuna intenzione di vendere il palazzo. Degli undici piani del palazzo, cinque sono occupati dalla libreria e dagli uffici collegati, mentre altri sei ospitano uffici che pagano l’affitto a Wyden. Lei dice che potrebbe fare più soldi chiudendo Strand e affittando l’intero stabile, ma che tiene troppo all’attività di famiglia per farlo.

Wyden ha aperto un sito web, ha raccolto seimila firme, si è fatta consigliare da architetti ed esperti, ha coinvolto alcuni clienti famosi della libreria, come lo scrittore Gary Shteyngart e l’autrice Fran Lebowitz. Ma soprattutto, sta conducendo la sua campagna contro il riconoscimento del palazzo che ospita Strand come luogo storico nelle udienze al municipio organizzate per decidere la questione. Nell’ultima udienza, la settimana scorsa, ha raccontato la storia della libreria fin da quando fu aperta da suo nonno poco prima della Grande depressione: «La mia famiglia è stata leale con questa città. Abbiamo dimostrato il nostro legame con questo edificio. Tutto quello che voglio fare è tornare a lavorare. Per favore, prendete una decisione che me lo consenta».