In Indonesia la religione pesa sempre di più

Le elezioni presidenziali si terranno in aprile, ma i gruppi musulmani più radicali e conservatori si possono già considerare vincitori

Joko Widodo, in bianco, e Prabowo Subianto, in nero, prima di un dibattito televisivo, Jakarta, 17 gennaio 2019 (AP Photo /Tatan Syuflana)
Joko Widodo, in bianco, e Prabowo Subianto, in nero, prima di un dibattito televisivo, Jakarta, 17 gennaio 2019 (AP Photo /Tatan Syuflana)

Il prossimo 17 aprile in Indonesia ci saranno le elezioni per scegliere, nello stesso giorno, i membri del parlamento, i rappresentanti regionali, ma anche il presidente e il vicepresidente. Per la presidenza i candidati principali sono due, gli stessi delle elezioni del 2014: l’attuale presidente Joko Widodo, in corsa per il suo secondo mandato e membro di un grande movimento islamico moderato (Nahdlatul Ulama, Nu), e Prabowo Subianto, ex militare dell’esercito indonesiano, ex genero del dittatore Suharto e sostenuto da formazioni politiche islamiste. Se nel 2014 al centro dibattito c’erano state però le grandi proposte economiche per il paese, ora – secondo molti osservatori – la questione centrale è diventata la religione. Comunque andrà, l’islamizzazione della società indonesiana, ha scritto il New York Times in un lungo editoriale, ha comunque già vinto.

Nel 2014 Joko Widodo, che è musulmano, era stato appoggiato anche dalle minoranze religiose, inclusi i cristiani, oltre che da alcuni partiti islamici moderati come il Partito dello sviluppo nazionale (Pkb); ed era stato invece fortemente criticato dall’ala estremista islamista del paese, sempre più popolare. Negli ultimi anni contro di lui è stata portata avanti una campagna sistematica che lo ha costretto a difendersi di continuo dalle accuse di essere anti-islamico e contrario gli ulema, i depositari e tutori della legge religiosa islamica (sharia). Joko Widodo è stato attaccato, per esempio, quando nel luglio del 2017 il suo governo decise di sciogliere Hizbut Tahrir Indonesia, un gruppo panislamico che voleva la creazione di un Califfato Islamico in molti paesi dell’Asia centrale e meridionale.

Alle elezioni di due anni fa per scegliere il governatore di Giacarta, inoltre, Joko Widodo aveva sostenuto Basuki Tjahaja Purnama, un cristiano di etnia cinese che era diventato immediatamente l’obiettivo di una vasta campagna di delegittimazione da parte dei musulmani più estremisti e conservatori. Basuki aveva vinto, ma nel 2017 era stato coinvolto in una controversa accusa per blasfemia contro l’Islam e condannato a due anni di prigione: è stato rilasciato lo scorso 24 gennaio e durante il processo Widodo non ha preso posizione.

Da quella storia i suoi oppositori hanno imparato molto, e hanno ottenuto il risultato di costringere il presidente a modificare le proprie posizioni sull’Islam. Per le prossime elezioni, per esempio, Widodo ha scelto come candidato alla vicepresidenza Ma’ruf Amin, religioso e studioso che è anche presidente del Consiglio degli ulema indonesiani (Mui)Con questa scelta sperava di smorzare gli attacchi dei gruppi islamici conservatori e radicali nei suoi confronti, e invece, scrive il New York Times, «ha costruito un cavallo di Troia per i suoi avversari fuori dalle mura della sua stessa città»: Widodo ha accettato cioè di posizionarsi su un terreno in cui i suoi oppositori sono molto più forti e legittimati.

Questo suo equilibrismo è in atto da tempo. Per ottenere il sostegno degli elettori musulmani Widodo è diventato imam di preghiera, fa frequenti visite ai collegi islamici e non ha preso posizioni chiare in alcuni casi molto discussi che avevano proprio a che fare con la religione. Oltre a non aver difeso Basuki durante quel contestato processo, non ha detto nulla quando una donna di Medan, nella provincia di Sumatra, è stata accusata di blasfemia per essersi lamentata del volume della chiamata alla preghiera, né ha fatto commenti sulla rimozione forzata di una lapide a forma di croce da un cimitero di Yogyakarta, nella parte orientale di Giava. Il mese scorso, poi, ha preso in considerazione di concedere la scarcerazione anticipata per motivi umanitari del leader islamico radicale Abu Bakar Baasyir, condannato nel 2011 a 15 anni per aver finanziato un campo di addestramento di fondamentalisti (alla fine Bashir non è stato liberato perché si è rifiutato di giurare fedeltà allo Stato).

Joko Widodo, insomma, non sembra oggi una reale e concreta opposizione al fronte conservatore: ma, dice il New York Times, sembra anche essere l’unica scelta alternativa agli estremisti, vista la mobilitazione e il peso sempre maggiore dei partiti di opposizione sostenuti da conservatori e radicali, compresi alcuni che desiderano il ritorno al potere della famiglia Suharto.

L’altro principale candidato alla presidenza è Prabowo Subianto: è un ex militare dell’esercito indonesiano, è l’ex genero del dittatore Suharto e fu espulso dall’esercito nel 1998 dopo esser stato accusato di aver ordinato il rapimento di alcuni attivisti democratici. Subianto è sostenuto dai gruppi islamici radicali come il Fronte dei difensori dell’Islam, che spesso agisce come una sorta di polizia morale dell’Islam.

Il fatto che Prabowo Subianto non abbia un forte radicamento musulmano non costituisce un grande problema, perché da tempo è in corso nel paese un significativo processo di islamizzazione anche politica. Il Partito giustizia e prosperità, ad esempio, ora promuove apertamente l’applicazione della legge islamica. Il Partito del mandato nazionale (PAN) si è avvicinato ai gruppi islamici conservatori e uno dei suoi fondatori non esita a chiamarlo “il partito di Allah”.

Alla fine degli anni Novanta, scrive poi il New York Times, quando si andava in ​​una scuola pubblica, raramente si vedeva una studentessa o un’insegnante con il velo, mentre oggi è il contrario. Lo stesso vale per le dipendenti degli uffici governativi: «Naturalmente questo non significa che queste donne sostengano necessariamente l’opposizione politica, e non si può presumere che siano conservatrici. Il velo potrebbe essere una semplice espressione di devozione individuale. Tuttavia, la tendenza non può nemmeno essere ignorata».

Nel frattempo le ordinanze locali per applicare la sharia si sono moltiplicate: si va dalla richiesta di indossare obbligatoriamente abiti musulmani negli uffici pubblici al divieto di vendita, distribuzione e consumo di alcolici. Hanno preso forza anche i movimenti a favore del matrimonio minorile e contro i vaccini, che usano argomentazioni religiose per giustificare le loro posizioni: il matrimonio precoce impedisce l’adulterio, ha detto di recente un religioso molto popolare, e i vaccini non sono halal, cioè consentiti dalla legge islamica.

In questo contesto, Joko Widodo dovrebbe portare avanti una linea politica moderata rispetto alle sue opposizioni, ai conservatori e ai radicali che cercano di fare leva sui sentimenti religiosi. Invece, dice il New York Times, si è dato all’inseguimento: «Ha accettato di camminare su una corda tesa dai suoi rivali politici». Il vicepresidente che ha indicato per il suo secondo mandato avrebbe potuto tranquillamente essere scelto dall’opposizione: è contro lo scambio di auguri di Natale, condanna i movimenti e le persone LGBTQI e vuole limitare i luoghi di culto per i non musulmani. «Joko Widodo potrebbe rimanere al potere – scrive il New York Times – ma non dobbiamo aspettare fino ad aprile per scoprire il vero risultato di queste elezioni. Indipendentemente da chi sarà il presidente, i gruppi islamici conservatori, sostenuti dai gruppi radicali, vinceranno – hanno già vinto – le elezioni».