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  • Venerdì 21 dicembre 2018

Cosa vuol dire “solluchero”

Esprime l’entusiasmo, la grande soddisfazione e il godimento per qualcosa accaduto o per un complimento ricevuto: ma è una parola speciale e attraente per natura

di Massimo Arcangeli

(AP Photo)
(AP Photo)

Solluchero è una parola attraente come per natura: prima ancora che ci chiediamo cosa precisamente significhi, o ci preoccupiamo di utilizzarla bene, ci ha già sedotto con le sue sonorità dolci e avvolgenti. Intuiamo, appena la pronunciamo, o la ripetiamo fra noi
e noi, che abbia in qualche modo il potere di solleticare la nostra vanità, di tenere alta la nostra autostima, di vigilare sul nostro amor proprio.

Usata perlopiù in mandare in solluchero e andare (tutto) in solluchero, esprime tutto l’entusiasmo, la grande soddisfazione o il pieno godimento suscitati da un fatto accaduto, un complimento ricevuto, un sentimento positivo (o una qualsiasi altra forma di gratifica) manifestato nei nostri confronti. Solluchero è quasi sinonimo di estasi e di visibilio. Con quest’ultimo condivide ancora una cosa. Visibilio, nell’italiano odierno, si usa a sua volta quasi soltanto in un paio di espressioni fisse, una più diffusa (andare in visibilio) e l’altra meno (essere in visibilio). Perché possiamo senz’altro attribuire alla parola anche il significato di ‘grande quantità’, come quando diciamo un visibilio di cose o di persone, ma un orecchio attento o un occhio esperto avvertirebbe in quest’uso la presenza di un tono letterario.

Solluchero – da evitare sollucchero – è un toscanismo come sollucherare, il verbo dal quale deriva. In passato sollucherare, poiché la più elementare forma di godimento è il piacere fisico, significò anche ‘eccitare sessualmente’. Come nelle parole di Cecco, uno dei due giovani contadini protagonisti (l’altro è Ciapino) di una commedia di Michelangelo Buonarroti il Giovane, nato a Firenze, intitolata alla contadinella da cui l’opera ha preso il nome:

Sono i capelli della Tancia mia
morbidi com’un lino scotolato,
e ’l suo viso pulito par che sia

di rose spicciolate [‘private del picciolo’] pieno un prato.
Il suo petto è di marmo una macia [‘mucchio’]
dov’Amor s’accovaccia, e sta appiattato.
Sue parole garbate mi sollucherano,
gli occhi suoi mi succhiellano, e mi bucherano
(La Tancia, atto V, scena VII, vv. 45-52)

L’origine di sollucherare è un po’ misteriosa. C’è chi ha pensato al latino saliviculare, diminutivo di salivare. Alla base del verbo italiano, se quest’ipotesi è giusta, ci sarebbe l’idea di un piacere, uno sdilinquimento, uno struggimento tali da far venire l’acquolina in bocca. Come a dire, per terminare con un’altra espressione, questa davvero uscita dall’uso, andare in broda (o in brodetto):

Signore, io me ne vo tutto in brodetto,
solcando un oceàn di contentezza;
io brillo, io salto, e quasi per dolcezza
mi sento liquefare il cuor nel petto.

Io vorrei pur compor questo sonetto,
per render mille grazie a Vostr’Altezza,
ma la soverchia gioia e allegrezza
non mi lascian trovar pure un concetto.

I versi sono di quel burlone di Francesco Berni. Toscano anche lui, ma dell’area di Pistoia. Era nato a Lamporecchio.

Alla vigilia del Festival “Parole in cammino” che si è tenuto ad aprile a Siena, il suo direttore Massimo Arcangeli – linguista e critico letterario – ha raccontato pubblicamente le difficoltà che hanno i suoi studenti dell’università di Cagliari con molte parole della lingua italiana appena un po’ più rare ed elaborate, riflettendo su come queste difficoltà si estendano oggi a molti, in un impoverimento generale della capacità di uso della lingua. Il Post ha quindi proposto ad Arcangeli di prendere quella lista di parole usata nei suoi corsi, e spiegarne in breve il significato e più estesamente la storia e le implicazioni: una al giorno.