Anche i ragni allattano ?

Le madri di una specie di ragno saltatore producono una sostanza simile al latte per nutrire i loro figli appena nati, prima di svezzarli

Studiando una specie di ragno saltatore (Toxeus magnus), un gruppo di ricercatori dell’Accademia delle Scienze cinese ha notato che le madri di questi ragni nutrono la prole con una sostanza paragonabile al latte, cosa piuttosto rara nel mondo degli aracnidi. Il fluido è ricco di grassi e proteine e riveste un ruolo molto importante nella nutrizione, e nella sopravvivenza, dei piccoli di ragno per diverse settimane dopo la loro nascita.

In generale, un ragno appena nato mangia da subito praticamente qualsiasi cosa, da piccoli insetti al polline dei fiori. Alcune specie sono invece più selettive e caute, con i piccoli che non si spingono a catturare prede più grandi di loro. Nel caso del T. magnus avviene però qualcosa di diverso: i nuovi nati crescono molto rapidamente, diventando grandi quanto gli adulti in poco più di tre settimane, anche se non abbandonano mai il nido fino a quando sono completamente sviluppati, rimanendo in compagnia della loro madre.

Incuriositi da questa caratteristica, il ricercatore cinese Zhanqi Chen e i suoi colleghi hanno deciso di approfondire la loro conoscenza sugli esemplari di T. magnus. Durante una delle loro osservazioni, hanno notato che i piccoli di ragno si avvicinavano all’addome della madre, come fanno i cuccioli di diversi mammiferi per nutrirsi con il latte materno.

Chen e colleghi hanno allora selezionato alcune madri di T. magnus e le hanno analizzate al microscopio, sviluppando un sistema per comprimere il loro addome senza causare danni. Facendolo, hanno osservato la fuoriuscita di un liquido biancastro e cremoso, che ricorda molto il latte prodotto dai mammiferi. Le analisi hanno confermato che il liquido ha caratteristiche simili, con una concentrazione di proteine fino a quattro volte superiore rispetto al latte vaccino.

Un esemplare di T. magnus con i suoi piccoli, Zhanqi Chen et al. (Science)

Scoperta la sostanza, i ricercatori si sono allora chiesti quanto fosse centrale nella nutrizione e nella sopravvivenza dei nuovi nati. In una serie di esperimenti, hanno impedito ai piccoli di avvicinarsi alla madre, notando che questi morivano in appena dieci giorni. I ricercatori hanno quindi concluso che la sostanza prodotta dalla madre sia essenziale per i nuovi nati, proprio come il latte per diversi mammiferi.

A tre settimane dalla nascita, i piccoli di T. magnus iniziano ad avventurarsi fuori dal nido e a cacciare, ma continuano comunque a nutrirsi anche del “latte” materno per altri 20 giorni. I ragni privati della sostanza dopo tre settimane di crescita, infatti, hanno fatto registrare un tasso di sopravvivenza più basso del 40 per cento rispetto a quelli che potevano continuare a nutrirsi del “latte” materno.

La produzione e la capacità di secernere il latte è una prerogativa dei mammiferi, ma i ricercatori hanno comunque chiamato la nuova sostanza “latte di ragno”, perché ritengono che assolva alle medesime funzioni. Non è però ancora chiaro come sia prodotta la sostanza: Chen e colleghi ipotizzano che sia il frutto di una sorta di riciclo da parte della madre delle uova che non si sono schiuse, e che sono per loro natura ricche di proteine (ci sono altri invertebrati che fanno qualcosa di simile).

La presenza della madre e la disponibilità del “latte” sembrano inoltre influenzare il rapporto tra maschi e femmine tra i nuovi nati, scrivono i ricercatori nel loro studio pubblicato su Science. Nei test dove era stata lasciata la madre nel nido, dopo tre settimane circa l’84 per cento erano femmine. Negli esperimenti dove era stata rimossa la madre, sopravviveva all’incirca lo stesso numero di femmine e maschi. L’ipotesi è che il processo tenda a favorire le femmine, che possono portare maggiori benefici alla popolazione facendo aumentare il numero di nuovi nati. I ricercatori hanno inoltre notato una certa indulgenza delle madri nei confronti delle femmine ormai svezzate: consentono il loro ritorno al nido, cosa che non viene invece permessa ai maschi.

Non è chiaro perché i ragni di T. magnus portino avanti un periodo così lungo di assistenza ai nuovi nati, pratica piuttosto rara tra gli animali e che di solito riguarda quelli con strutture sociali più elaborate, come gli elefanti e i primati. L’ipotesi è che le condizioni di vita nel Sud-est asiatico, dove questa specie è endemica, siano molto complicate per i ragni di T. magnus e che l’assistenza materna prolungata aumenti le loro probabilità di sopravvivenza.