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  • Martedì 31 luglio 2018

Racconti di mezza estate

15 storie scelte da Typee, la piattaforma social della scuola di scrittura Belleville, per chi parte e per chi resta

(Belleville)
(Belleville)

Typee, la piattaforma della scuola di scrittura Belleville, è un luogo dove leggere e scrivere racconti, saggi e poesie. Per ora ha lanciato un manifesto programmatico, indetto due concorsi e raccolto quasi 4 mila racconti (da cui è stato tratto un ebook gratuito).

Per il mese di agosto segnaliamo quindici racconti – uno ogni due giorni – per farvi leggere di fughe di Bach e latrati di cani, pensieri di un pedone bianco rimasto bloccato sulla casella C4 e pranzi pantagruelici in famiglie surreali, inquietanti esperimenti e viaggi per mare su vascelli a tre alberi.

E se durante l’estate vi prende l’ispirazione, registratevi e pubblicate i vostri racconti su Typee.

Buon agosto.
E buona lettura.

Fuga in Fa maggiore di Giulia Lombezzi
Ho cinque anni. Sono sul lungomare di Varazze. Le mani di mamma carezzano le mie. Che belle mani che hai, dice mamma. Così lunghe. Hai delle mani da pianista. Lo ripete teneramente, percorrendo su e giù le mie dita magre.
Ho otto anni. Chiedono se voglio studiare pianoforte. Dico sì. La mia insegnante sa di spezie. Scrive i compiti a matita su post-it colorati, con buffe minacce per farmi ridere. I brani che imparo mi si depositano dentro come neve di notte, mi capita di diteggiare contro i pali degli autobus, sul tavolo, sul cuscino.
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La stanza dei cani di Emanuela
La stanza dei cani è silenziosa. Ci passo davanti spesso, spesso mi acquatto per spiare da sotto la porta. I cani stanno sempre ammassati come un’unica macchia deforme. Il mucchio scintilla di zanne, di musi che non dormono. Il mucchio è lontano, oltre la porta.
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Senza fede di Davide Brioschi
L’estate successiva a quella in cui pregavo Dio perché diventassi invisibile a tutti, che nessuno vedesse più il mio corpo grasso di adolescente, mia madre scoprì che suo marito la tradiva con un’amica conosciuta dove andavamo al mare tutti gli anni. Non c’è nemmeno bisogno di dirlo: quell’estate la trascorsi pregando di diventare sordo. Al silenzio a tavola, alle porte che sbattono, all’apertura di una confezione di Prozac.
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Almeno tre giorni a Lollove mia di Lucio Aru
I clacson non li ha mai capiti. Ma c’è davvero bisogno di fare rumore per farsi notare? Com’è che lei era sempre riuscita a vivere senza quasi mai alzare la voce? Una volta soltanto aveva urlato: quando aveva trovato Giovanni impiccato a un albero, come una bestia indesiderata. Aveva urlato non appena lo aveva visto, e aveva urlato ancora più forte quando aveva capito che all’albero Giovanni ci si era appeso da solo. Allora sì che la sua voce non aveva potuto contenerla più. Ma a sentirla non c’era nessuno e quel figlio tanto caro quanto difficile se lo era pianto da sola in aperta campagna.
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Controluce di Anna Siccardi
Di padri, io, ne ho avuti diversi. Il primo, dopo quello naturale, fu Franco “il Barone” Causio. Salito da Lecce a Torino nel glorioso ’70, si era passato il testimone con mio padre, che proprio quell’anno era partito per dedicarsi a grandi imprese in Brasile. Di papà aveva i baffi e il destro naturale. Causio trionfava sul muro della stireria, bianco e nero e lanciato in corsa a braccia alzate, preda della tata Milena che ogni tanto si baciava il dito indice e glielo passava sulla faccia.
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Le affinità elettive di Michele Pagliara
Spalle dritte, pugni stretti. Vi faccio vedere io chi è Matteo Nembroni. Si tuffò nella luce abbagliante della sala d’attesa in vetro-acciaio come un pugile impaziente di incrociare i guanti. Tre colli incravattati si volsero nella sua direzione, tre visi perfettamente sbarbati stirarono un sorriso di saluto. In quattro. Siamo sopravvissuti in quattro. Ma entro un paio d’ore ne resterà solo uno. Per voi, sfigati, il viaggio finisce qui. Su queste belle poltrone Barcellona lascerete il vostro sangue e i vostri curriculum. A Matteo piaceva pensare al mondo del lavoro come a uno sport violento: poche regole, niente arbitri, niente gong.
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Riflessioni del pedone in C4 di Jean Per Jean
Ti ringrazio Signore per avermi messo in questa posizione, la colonna C, che adoro. Non troppo defilata, non troppo caotica e pericolosa, la giusta via di mezzo. I giorni felici della mia esistenza sono stati tanti, ma oggi sento che sarà il mio giorno, percepisco l’armonia del mondo e ne contemplo la bellezza. La Tua mano divina mi accompagna, mi sospinge con amore. Prima casella, seconda casella, striscio sul feltro usurato della mia base, l’arrivo nella casella C4 è meraviglioso. Sono il primo, terreno immacolato, nessuno intorno.
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Giretto di sopravvivenza di P. Elle
Dentro il suo utero di vetro, sugli scaffali dell’aula di Biologia, da due secoli galleggia in formalina un feto di sei mesi. È giovane o vecchio? La ragazza è distratta, non ascolta ma sente. Le leggende dimenticate dell’Amorcortese ronzano nell’aria spessa della 3D, spinti dalla cantilena della Sanzetti, che gesticola ispirata.
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L’isola degli immortali di Massimo Vignati
Quanti anni andai per mare. La vita mi sembrò scandita dallo stillicidio di gocce d’oceano, non più dal respiro. Ero ancora giovane il giorno che fui messo al comando dell’Ápeiron, uno splendido vascello a tre alberi costruito in solida quercia, lungo centotrentacinque metri e centonovantacinque tonnellate di stazza. Ordinai di far vela verso l’India, poi verso l’Arabia e i deserti etiopici, e persino di seguire la rotta di Zerifo agli antipodi dell’aurora. L’entusiasmo dei primi anni svanì insieme a molti dei miei uomini più fidati. La nostra ricerca solitaria non portò a nulla.
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Il naso di Guido Q
La donna maltratta il sacchetto del ghiaccio. La osservo dall’altro lato dello scompartimento: ha il naso tumefatto, rappezzato alla meglio con tre cerotti. Batte il dorso della mano sul sacchetto perché il ghiaccio si frantumi. Sembra che il sacchetto le abbia fatto un torto, tanta è la violenza con cui lo colpisce. Mi guardo attorno per vedere se qualcun altro ci fa caso: sono le cinque di pomeriggio, è la prima volta che prendo questo treno.
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La brutta copia di Zeta Reader
Linda va sempre al mercato allʼora di punta, quando cʼè folla. Cammina a zigzag con le mani nelle tasche del parka e il cappuccio tirato su. Sbatte contro sacchetti di plastica, borse e passeggini. Se urta un gomito o una spalla tira dritto senza chiedere scusa, tanto nessuno le bada mai. Una volta sola è capitato che un omone si girasse con fare minaccioso, ma vedendo il pancione della ragazza ha cambiato espressione e le ha chiesto lui, di scusarlo. In verità lei non aspetta un bambino, ha solo inserito sotto al parka un caschetto da ciclista.
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Pantagruelycon di Marco Spanti
L’età dei miei parenti è così alta che abbiamo iniziato la cena in trenta e siamo rimasti in quindici. Sono apparsi a Natale dopo l’ultima festività perché la maggior parte di loro è povera e non poteva permettersi di sporcare altre pentole. In più mia madre cucina bene e per questo mio padre si separa ogni dicembre da una nuova compagna. Due ore prima di scambiarci i regali, mia zia ne ha preso uno dall’albero cambiandone l’etichetta mentre mia cugina chiedeva alla nonna come stesse. Lei rispose sono ancora qui nonostante fosse morta da quattro anni.
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L’esperimento di Branco
21/03/2018 – 07.30 Oggi comincia l’esperimento. La coppia prescelta vivrà in un luogo isolato per un anno. Tutto il necessario per vivere gli verrà fornito, così come le cure in caso di bisogno. Hanno uno schermo tv, un computer portatile, una biblioteca. Potranno utilizzarli, ma non potranno avere contatti diretti con altre persone. Hanno avvertito i familiari di questo “viaggio”. L’esperimento, oltre a questo isolamento, è semplice. Non devono utilizzare una parola. Possono usare sinonimi, circonlocuzioni, ma non devono utilizzare quella parola, né le parole che la contengono, né quelle che ne contengono la radice. Hanno un collare che attiverà una leggera scarica elettrica ogni volta che la useranno.
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Fuoco fatuo di Mattia Agnelli
Le catenelle senza sellino di un’altalena oscillavano a intermittenza e qualche poiana girava in circolo come se non sapesse che altro fare. In lontananza la casa dava l’impressione di abbandono, come fuori dal tempo. Bob era ancora nei campi e la madre se ne era andata in città, a Indianapolis, per sempre. Aaron teneva tra le mani una costosa carabina, senza poterla usare.
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Cyrano Giusti di Sten Doipanni
Ciro, all’anagrafe Cyrano Giusti, per un’indole romantica di sua madre, innamoratasi dell’impiegato postale a cui da ragazzina portava lettere da spedire ai parenti in Argentina, è morto il 10 gennaio 2018. Aveva 28 anni ed era mio amico. Se fosse sopravvissuto avrebbe approfittato dell’evento per raccontare alle ragazze di come quel giorno, tra i frutti di mare e il branzino da allevamento, aveva conosciuto e salvato la vita a Renzo Arbore, inspiegabilmente suo mito storico. Nessuno gli avrebbe creduto, ma la storia sarebbe stata così curata nei dettagli da insinuare qualche dubbio, e Ciro, più che il beneficio del dubbio dalla vita non chiedeva nulla.
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