La fine della Cecoslovacchia, 25 anni fa

Oggi nel 1993 si separarono due paesi distinti, che insieme avevano avuto una storia importante e tormentata

Una manifestazione in piazza Venceslao a Praga in sostegno di Vaclav Havel e della caduta del regime comunista, che avverrà il mese successivo, il 22 novembre 1989 (LUBOMIR KOTEK/AFP/Getty Images)
Una manifestazione in piazza Venceslao a Praga in sostegno di Vaclav Havel e della caduta del regime comunista, che avverrà il mese successivo, il 22 novembre 1989 (LUBOMIR KOTEK/AFP/Getty Images)

La Cecoslovacchia, nazione europea familiare ad almeno tre precedenti generazioni, è scomparsa ormai da 25 anni: si sciolse il primo gennaio 1993 per scelta del parlamento che aveva ratificato con un voto il 25 novembre precedente le divisioni nazionali tra cechi e slovacchi al proprio interno, cresciute dopo la dissoluzione del blocco comunista filosovietico di cui la Cecoslovacchia faceva parte. Dal 1993 esistono due nazioni, la Repubblica Ceca (meno comunemente chiamata Cechia negli ultimi anni) e la Slovacchia.

Anche la nascita della Cecoslovacchia ha un anniversario rotondo che ricorre quest’anno: i cento anni dalla sua creazione (nell’ottobre 1918), seguita alla dissoluzione – dopo la Prima guerra mondiale – dell’Impero Austro-Ungarico di cui facevano parte le regioni rivendicate dai nazionalisti cechi, alleati con gli slovacchi nella creazione di un nuovo stato. La maggioranza ceca impose da allora un’idea di un solo stato nazionale in cui altre minoranze – a cominciare di quella slovacca – si sentirono poi spesso discriminate: ma tra le due guerre crebbe una democrazia progressista stabile. Dopo l’invasione nazista nel 1939 la Cecoslovacchia fu smembrata tra altri stati vicini, ma venne ricostituita alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e assegnata all’area di influenza politica dell’Unione Sovietica.

La democrazia divenne solo formale, e nel paese fu creato un regime autoritario comunista: ma le radici democratiche della nazione fecero sì che la Cecoslovacchia divenisse poi il luogo delle più vivaci e coraggiose ribellioni contro la dittatura e contro il comunismo, culminate nella “primavera di Praga” del 1968, quando le aperture democratiche della leadership di Alexander Dubcek generarono la violentissima risposta dell’URSS, che mandò i propri militari e carri armati a reprimere il sostegno al cambiamento. Durante quel periodo, però, il paese era stato convertito in una federazione di due stati – ceco e slovacco – che restò quasi solo formale ma divenne la premessa di quello che sarebbe successo 25 anni dopo.

Nel 1989, mentre i regimi comunisti venivano dissolti in tutta l’Europa Orientale, anche la Cecoslovacchia tornò a essere una democrazia, risultando ancora protagonista con i suoi movimenti progressisti degli anni precedenti guidati in particolare dal leader dissidente Vaclav Havel, che dal 1989 fu il primo presidente della Cecoslovacchia democratica e l’ultimo presidente della Cecoslovacchia, e dal 1993 il primo presidente della Repubblica Ceca, con la sua nascita, il primo gennaio 1993.

Oggi la separazione tra i due stati è ancora molto contestata: le traversie politiche degli ultimi anni – con partiti nazionalisti che ottengono il potere in molta parte dell’Europa dell’Est – e la genesi della decisione del 1992, senza un avallo popolare, fanno sì che nei sondaggi sia una minoranza a dire di approvarla, soprattutto tra i cechi. Il 2018 sarà quindi un anno di celebrazioni ambigue, sancite dalla convivenza dell’anniversario della nascita di una complicità tra due stati e da quello della sua morte: la realtà sta nel mezzo, con due stati ormai autonomi e separati che mantengono fortissimi legami e condivisioni, e un gran pezzo di storia insieme.