Cosa fanno i caratteristi

Sono gli attori non protagonisti di cui magari non ricordate il nome ma le cui facce vi sono familiari: il loro mestiere sta cambiando

(Christopher Polk/Getty Images for TNT)
(Christopher Polk/Getty Images for TNT)

Anche senza essere grandi esperti o appassionati di cinema, vi sarà capitato di parlare o sentir parlare di qualche attore come di “un caratterista”. In realtà è una definizione piuttosto vaga e, come ha fatto notare Bilge Ebiri qualche settimana fa sul New York Times Magazine, il tentativo di definizione è complicato dal fatto che negli ultimi anni i caratteristi hanno iniziato a fare cose diverse. Tra i più noti caratteristi italiani e stranieri ci sono comunque loro, e senza di loro tanti film non sarebbero diventati quello che sono.

Prima di arrivare a dire cosa è successo negli ultimi anni, bisogna però dire cosa sono stati – prima di oggi – i caratteristi. Erano in sostanza attori non protagonisti che in pochi minuti di schermo dovevano dare l’idea del loro personaggio, spesso identificato da un tratto dominante.

Per Garzanti, un caratterista è un attore che «interpreta personaggi singolari, caratteristici»; Treccani dice che ha un segno di riconoscimento «simile a quello delle maschere della commedia dell’arte»; per il critico Ermanno Comuzio, che ne parlò nel 1953 sulla rivista Cinema, era «quell’attore che riveste un carattere umano, che incarna un personaggio vivo e non una macchietta, quell’attore che abitualmente non ricopre parti di protagonista, ma che è dotato di eccezionale forza interpretativa». Nel 1934, il critico Gilbert Seldes scrisse su Esquire che «a differenza dei carismatici protagonisti, i caratteristi potevano essere “grezzi, violenti, ironici, cattivi, crudeli e beffardi” e potevano “dire quello che il pubblico forse pensa”. È pieno di eccezioni, ma mentre i protagonisti sono spesso quello che vorremmo essere, i caratteristi sono più simili a come siamo.

Un buon esempio di cosa per decenni hanno fatto i caratteristi sta in una scena di Pulp Fiction, quella in cui Mr. Wolf, quello che risolve i problemi, dice a Rachel «Just because you are a character doesn’t mean that you have character». In italiano è diventata «tu hai un caratteraccio, non vuol dire che tu abbia carattere», ma il senso cambia. In inglese character si usa sia per parlare di come uno è (un tipo, un personaggio peculiare) che per parlare di carattere, quello che si ha (e che non necessariamente è un caratteraccio). Un caratterista doveva sia essere un character – un tipo in qualche modo notevole – che avere carattere.

Il concetto di attore caratterista esiste da circa un secolo: arriva dal teatro, dove lo si iniziò a usare per parlare di alcuni specifici non-protagonisti, e da lì è passato al cinema, dove per decenni il caratterista è stato un attore che – per via di un certo aspetto, di una certa voce, di un certo atteggiamento – faceva sempre da spalla ad altri, e faceva sempre più o meno lo stesso ruolo, come nella commedia dell’arte. Pensate per esempio a Harvey Keitel (cioè Mr. Wolf) e a tutte le volte che gli avete visto fare un personaggio fico, deciso, determinato. O a tutte le volte che Steve Buscemi ha fatto quello strambo. I caratteristi sono stati, per decenni, questa cosa.

Sul New York Times Magazine, Ebiri ha scritto che ora c’è una nuova generazione di caratteristi e che i migliori sono J.K. Simmons, Ben Mendelson, Don Cheadle, Michael Shannon e Andy Serkis. Solo che sono diversi dai caratteristi di una volta: «anziché interpretare specifici tipi umani, sono chiamati per la loro capacità di non essere tipi, di sparire completamente nei loro ruoli e, allo stesso tempo, mettere nella loro recitazione qualcosa che li fa ricordare».

Ebiri ha scritto che gli attori davvero famosi spesso interpretano se stessi (l’esempio migliore è Johnny Depp) mentre i nuovi caratteristi non lo fanno più, e anzi cambiano molto. E capita anche spesso che i nuovi caratteristi finiscano a fare ruoli quasi da protagonista, magari in qualche serie tv. Semplificando molto, sono successe due cose: sono aumentati i ruoli possibili ed è diminuita la fiducia nel grande attore che, da solo, riusciva a garantire gli incassi di un film. Negli anni Novanta bastava avere Tom Cruise e il più era fatto. Ora vanno male anche i film con Jennifer Lawrence e Chris Pratt.

Ebiri ha scritto che i caratteristi «fanno complicati ruoli da protagonisti in apprezzati film a basso budget e continuano a fare i non protagonisti nei blockbuster, spesso con supereroi, in cui vengono scelti per la loro capacità di dare un’anima a personaggi piccoli, senza una grande storia». Gli esempi sono quelli di Cheadle nei film della Marvel, di Mendelson in Rogue One, di Serkis che fa Gollum nel Signore degli Anelli e di Shannon in L’uomo d’acciaio. Avy Kaufman, direttrice di casting di film come Il sesto senso e La vita di Pi, ha detto che i caratteristi, vecchi e nuovi, continuano a essere «personaggi che percepiamo vicini, con cui ci identifichiamo». Perché – anche qui è comunque pieno di eccezioni – i protagonisti sono spesso in qualche modo perfetti, mentre i caratteristi non lo sono mai.