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  • Martedì 4 ottobre 2016

È sbagliato voler scoprire l’identità di Elena Ferrante?

Il giornalista Claudio Gatti si è difeso dalle accuse fattegli da scrittori e da lettori dell'autrice di "L'amica geniale"

Un dettaglio della copertina di "Storia del nuovo cognome", secondo volume di "L'amica geniale" di Elena Ferrante
Un dettaglio della copertina di "Storia del nuovo cognome", secondo volume di "L'amica geniale" di Elena Ferrante

Il 2 ottobre la Domenica del Sole 24 Ore, il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, il sito di informazione francese Mediapart e quello della New York Review of Books hanno pubblicato un articolo in cui il giornalista italiano Claudio Gatti spiega come, partendo da alcuni conti e acquisti di appartamenti, sia giunto alla conclusione che la scrittrice Elena Ferrante sia in realtà la traduttrice Anita Raja, moglie dello scrittore Domenico Starnone. Molte persone hanno parlato dell’inchiesta di Gatti sui social network: da un lato c’era chi condivideva l’articolo per via della curiosità nei confronti del personaggio, dall’altro chi ha criticato duramente il lavoro di Gatti, per varie ragioni, prima fra tutti per l’invasione nella privacy di una persona che ha sempre detto di non voler far conoscere la sua vera identità.

Tra chi ha criticato più duramente Gatti c’è lo scrittore Erri De Luca, che ha detto: «Questa sorta di indagini patrimoniali farebbero bene a svolgerle per stanare gli evasori invece degli autori». È stata molto dura anche la reazione della casa editrice che pubblica i libri di Ferrante in Italia, E/O, che sul suo sito ha scritto: «Disgusta vedere una grande autrice italiana, amata e celebrata nel nostro paese e nel mondo, trattata alla stregua di un criminale. Di quale reato si è macchiata per giustificare una simile invasione nella sua vita? A quale superiore interesse pubblico risponderebbe l’inchiesta portata avanti dal giornalista Claudio Gatti e pubblicata contemporaneamente in quattro paesi?». Secondo Luca Sofri, peraltro direttore del Postè sbagliato invece prendersela con Gatti perché ha cercato di scoprire la verità su un personaggio pubblico: al massimo si può criticare il suo articolo per il fatto che «non arriva a conclusioni certe, per sua stessa ammissione».

Oggi Gatti si è difeso dalle accuse che gli sono state rivolte, prima in un’intervista con Il Libraio e poi con un post sul suo blog. Gatti risponde alle accuse di violazione della privacy ripetendo quanto aveva già scritto, e cioè che la stessa Ferrante, un personaggio pubblico appunto, ha dato informazioni false su di sé – stando a Gatti – nel libro La frantumaglia. Il giornalista ha risposto anche alle accuse di misoginia fattegli dal New Yorker, dagli scrittori del collettivo Wu Ming e da alcune scrittrici. Gatti poi si è lamentato della scarsa attenzione riservata ad altre sue inchieste, diversamente a questa.

Anita Raja da me identificata ieri come autrice della tetralogia de L’amica geniale, non ha in alcun modo commentato i risultati della mia inchiesta.
Il suo editore, Sandro Ferri, comproprietario di Edizioni E/O con la moglie Sandra Ozzola, ha invece usato parole di fuoco contro il lavoro di inchiesta da me fatto per trovare le prove documentali che attestassero chi aveva beneficiato del successo commerciale dei libri di Ferrante.
Ma Ferri non ha contraddetto una singola informazione fornita dalla mia inchiesta. Né ha esposto possibili spiegazioni alternative.
Le critiche fattemi da Ferri nei giornali e dai fan della Ferrante nei social media sono essenzialmente due: ho utilizzato risorse e tecniche di giornalismo investigativo su un soggetto che non lo giustificava. E soprattutto ho commesso una pesante violazione della privacy della scrittrice.
Ma in quanto autrice di libri divenuti best-seller in tutto il mondo, Elena Ferrante è ormai un importante personaggio pubblico. Anzi si può dire che sia attualmente la più nota italiana al mondo (come peraltro dimostrato dalle reazioni dei media e dei social).
Milioni di suoi lettori avevano dunque un legittimo desiderio di sapere qualcosa circa la persona dietro l’opera. A sostenere questo non sono stato però io. Sono la stessa autrice, e i suoi editori, che hanno pubblicamente riconosciuto come “sano” questo desiderio.

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