Come si progetta cosa fare della propria vita

Facendo degli esperimenti, cambiando strada, e non "seguendo la propria passione": lo insegnano in un corso alla Stanford University

(ANDREW COWIE/AFP/Getty Images)
(ANDREW COWIE/AFP/Getty Images)

In un articolo il New York Times racconta che alla Stanford University esiste un corso chiamato Design Your Life, in cui si insegna ad applicare il processo creativo del design alle grosse domande della vita. Gli ideatori e insegnanti sono Bill Burnett e David Evans, che per anni hanno lavorato nelle aziende tecnologiche della Silicon Valley, e che hanno anche pubblicato un libro con i loro insegnamenti.
Secondo Burnett, una delle applicazioni più interessanti dell’approccio del design è quella che riguarda la crescita personale. In particolare, quella di ragazzi che di lì a poco si troveranno nella fase che i professori del corso chiamano “l’esplosione delle decisioni”: passeranno da essere studenti (con scadenze, obblighi, e un sacco di cose da fare) a non esserlo più, probabilmente senza sapere cosa voler fare da grandi. Una delle indicazioni più dannose e avvilenti secondo Burnett è quella di dire ai ragazzi di seguire la propria passione. La maggior parte delle persone non sa a priori quale sia questa passione, e spesso crede di non averne una fino a che non inizia a impegnarsi in qualcosa che poi scopre appassionarlo. Molti studenti arrivano al corso con quelle che gli psicologi chiamano “convinzioni disfunzionali”, cioè visioni distorte della realtà, per le quali credono che il loro corso di specializzazione determinerà quello che faranno per il resto della loro vita. Oltre a non essere statisticamente vero, questa convinzione genera in loro un’enorme ansia di non fare la scelta giusta.

Un errore che le persone fanno spesso è di ritenere che ci sia solo una soluzione giusta o una sola versione ottimale della tua vita, e che se fai la scelta sbagliata sei spacciato. Ed è completamente assurdo, dice Evans: «Ci sono tantissimi te, tantissime risposte giuste».

Secondo l’idea del corso, un designer non potrà mai concludere questa fase progettuale senza produrre dei prototipi e testarli per modificarli successivamente, dopo averne verificato punti di forza e di debolezza; i feedback vengono raccolti e servono a produrre un altro prototipo, diverso dal precedente, da sottoporre nuovamente a questo processo. Nel corso Design Your Life si fa la stessa cosa: se uno studente pensa di voler lavorare in ambito sanitario, il suo prototipo sarà seguire un medico per un giorno intero, fare domande e trarne le sue conclusioni appuntandole su un diario.

L’approccio “design” di cui parla il loro libro suggerisce di trattare la vita con maggiore improvvisazione. È una compensazione benvenuta del pensiero prevalente basato su dati e ingegneria delle informazioni. Seguendo le lezioni di Burnett ed Evans il processo carico d’ansia di prendere una decisione diventa subito più divertente. Il loro metodo è sperimentale e accetta il fallimento come parte del processo.

Burnett e Evans si sono entrambi laureati a Stanford e hanno lavorato per anni alla Apple, giungendovi però con percorsi diversi. Evans aveva iniziato studiando biologia solo perché da bambino aveva visto uno speciale televisivo sulle immersioni di Jacques Cousteau. L’aveva poi abbandonata, laureandosi in ingegneria meccanica a metà degli anni ‘70. La Apple lo chiamò una prima volta, ma lui rifiutò perché, dice, i computer lo annoiavano. Nel prendere questa decisione, sottolinea Evans, ha violato molti dei principi che ora lui stesso insegna, tra cui quello di essere sempre aperti nei confronti della propria “meraviglia dormiente”, come la chiamano loro. Burnett ha avuto un percorso più lineare, laureandosi in design a Stanford e trovando da subito la sua strada. Ma nonostante questo, dice, non aveva alcuna strategia, credeva nel suo istinto, ma era al tempo stesso spaventato da dove questo lo avrebbe potuto portare. I primi corsi che hanno fatto insieme sono stati dei workshop per gli impiegati di Google. Poi, nel 2010, il primo ciclo di lezioni a Stanford.

Il corso è a numero chiuso ed è considerato uno dei più amati dell’università. Al termine c’è un esame (come in tutti i corsi universitari, si può essere promossi o bocciati) che consiste nella presentazione di tre prototipi, o come li ha chiamati Evans, dei propri “piani di Odissea”. Agli studenti viene chiesto di presentare di fronte alla classe tre progetti di vita, molto diversi uno dall’altro, che riguardino i cinque anni successivi alla loro laurea.