I neri meno neri

Steph Curry ha così successo anche perché non è nero-nero? È un vecchio tema, e si disse lo stesso anche di Beyoncé e Obama

(Ezra Shaw/Getty Images)
(Ezra Shaw/Getty Images)

Stephen Curry, il playmaker dei Golden State Warriors, da due anni è il giocatore di basket più discusso della NBA: è stato senza dubbio il più in forma e determinante delle ultime due stagioni e il giocatore più importante della sua squadra, che l’anno scorso ha vinto il titolo e quest’anno è di nuovo in finale. Si parla di Curry soprattutto perché è uno come non se ne erano mai visti: gioca in un modo che la maggior parte degli allenatori definisce “sbagliato”, ma con un’efficacia incredibile (qualcuno crede addirittura che stia rovinando il basket). Ma le antipatie verso Curry arrivano da una ristretta minoranza di chi segue il basket: la maggior parte è d’accordo nel ritenere indiscutibile che sia fortissimo e spettacolare. Negli ultimi due anni i media americani hanno ovviamente dedicato a Curry moltissime attenzioni, spesso celebrandolo non solo per i suoi meriti sportivi: hanno parlato entusiasticamente in molte occasioni della sua famiglia, soprattutto di sua moglie Ayesha, di sua figlia Riley e di sua madre Sonya.

Michael Eric Dyson, un sociologo afroamericano della Georgetown University specializzato nelle questioni razziali, ha recentemente scritto su the Undefeated, un sito di ESPN, che un motivo importante del successo mediatico di Curry sia il fatto che, pur essendo nero, la sua carnagione è molto chiara. Dyson scrive che le differenze nella carnagione dei neri sono state un problema per gli afroamericani fin da quando hanno vissuto in America. In generale, scrive Dyson, la comunità afroamericana ha sempre visto con un certo sospetto il fatto che un nero diventi molto amato e popolare anche da chi non è nero. Nella tesi di Dyson, nel caso di Curry a questa diffidenza si aggiunge quella di solito riservata ai neri con la carnagione chiara.

Steph Curry, Stephen Curry

Curry è nato il 14 marzo 1988: suo padre è Dell Curry, ex giocatore della NBA degli anni Ottanta e Novanta, e sua madre Sonya è un’ex giocatrice di pallavolo. Entrambi sono afroamericani (la madre ha anche origini haitiane), così come tutti i nonni di Curry. La sorella di Curry una volta ha risposto su Twitter a una fan di suo fratello che le chiedeva se avessero origini di altre etnie diverse da quella afroamericana: lei rispose di no, «siamo solo chiari». Il colore della pelle è un tratto fisico che dipende dalle caratteristiche genetiche della persona, e non è il solo l’elemento che determina l’etnia di una persona: c’entrano anche altri tratti fisici, e soprattutto il background famigliare.

Nel 2014 Curry partecipò a un evento per promuovere il videogioco NBA 2K con Kevin Durant degli Oklahoma City Thunder e James Harden degli Houston Rockets, due dei giocatori più forti della NBA, entrambi neri con la carnagione molto scura. In quell’occasione Durant raccontò della prima volta che incontrò Curry, quando avevano entrambi dieci anni: «Pensavo fosse bianco. C’era questo ragazzo giallo, no? Sto solo dicendo la verità, o no? Da dove vengo io, nel ghetto, non si vedono cose così. Non si vedono tipi con la pelle chiara. Sono tutti come me». Durant non lo disse in modo offensivo: Curry reagì scoppiando a ridere, e Harden pure. Secondo Dyson, tuttavia, nelle frasi di Durant era implicito un riferimento a un diffuso stereotipo tra la comunità afroamericana: i neri con la pelle scura vivono nei ghetti, cioè sono dei veri neri, mentre i neri con la pelle chiara no.

“Hood” [il termine usato in quell’occasione da Durant per definire il ghetto, ndr] nel linguaggio dei neri significa “vero”. Durant dice implicitamente quello che per molti neri è senso comune: un “vero” nero è quello scuro, mentre il nero più chiaro è sospetto e non autentico, perché la sua pelle riflette legami simbolici, se non letterali, con il mondo bianco. Non ci sarebbe pelle chiara se non fosse intervenuta nella questione della pelle bianca: che sia successo con lo stupro di una donna nera in una piantagione di schiavi, o in una relazione tra un uomo nero e una donna bianca.

Anche Allen Iverson, fortissimo ex playmaker dei Philadelphia Sixers, a sua volta nero, in una recente intervista in cui ha espresso molta ammirazione per Curry si è riferito a lui definendolo «quel tipo con la pelle chiara». E sempre recentemente Jordan Clarkson, un giocatore dei Los Angeles Lakers, ha detto che il suo compagno Kobe Bryant, uno dei giocatori più forti di sempre, in un’occasione lo aveva criticato perché penetrava a canestro come «uno con la pelle chiara», e di aver capito che doveva iniziare a farlo come uno con la pelle scura. Questi, secondo Dyson, sono esempi del diffuso pregiudizio secondo cui i neri e i bianchi giocano in maniera diversa: più fisica e atletica per i primi, più elegante e tecnica i secondi. «Si ritiene che Curry sia bianco, o che giochi da bianco, perché gli manca un’imponente prestanza fisica, perché è più raffinato che potente, e perché è un formidabile tiratore, una caratteristica che qualcuno associa automaticamente più a giocatori bianchi, come l’ala degli Atlanta Hawks Kyle Korver e l’allenatore di Curry, Steve Kerr, che a giocatori neri come Ray Allen, Reggie Miller o il padre di Curry, Dell».

La questione della carnagione di Curry non influenza solo la percezione che hanno di lui gli altri neri. Secondo molti esperti di problemi razziali negli Stati Uniti, le possibilità di un nero di avere successo e ottenere riconoscimenti da parte degli americani bianchi sono inversamente proporzionali a quanto è scura la sua pelle: più una persona è nera, meno è probabile che abbia successo nella vita. Questo dibattito precede di molto la popolarità di Curry, e negli ultimi anni è tornato attuale soprattutto per due casi eccezionali: Barack Obama e Beyoncé.

Nel libro del 2010 Game Change, i giornalisti Mark Halperin e John Heilemann riportarono una frase del capo dei senatori Democratici, Harry Reid, bianco, che aveva detto che Obama sarebbe potuto diventare il primo presidente nero perché aveva la pelle chiara e non parlava con lo «slang negro, a meno che non lo volesse». La frase fu molto criticata, Reid si scusò ancora prima che il libro uscisse e Obama accettò subito le scuse. Anche Beyoncé ha ricevuto qualche critica simile: è tra gli artisti che sostengono di più le lotte alle discriminazioni razziali, ma secondo qualcuno lo farebbe da una posizione “facile” per via della sua carnagione troppo chiara. C’è anche chi ha sostenuto che il colore della sua pelle nelle sue foto sia spesso schiarito con il fotoritocco. Dyson ricorda però come alcune delle persone storicamente più importanti per le battaglie per i diritti civili dei neri, a partire da Malcom X, avevano la pelle chiara.

Anche secondo Dyson esiste una discriminazione tra i neri con la pelle più chiara e quelli con la pelle più scura. In parte, dice, la responsabilità è anche della stessa comunità afroamericana, che ha interiorizzato i pregiudizi razziali che volevano i primi più intelligenti, perché simili ai bianchi, e ha contribuito a diffonderli: per esempio sospettando tutti i neri con la pelle chiara di sfruttare questa loro caratteristica per avere vantaggi sociali, e accusandoli in pratica di aver tradito la causa dei neri, diventando complici con il mondo dei bianchi.