Nessuno sa niente

Vale per tutto, dalle previsioni elettorali al successo di un film fino alla propria carriera: ci sono troppi fattori in gioco, e uno di cui non si tiene conto mai

di Barry Ritholtz – Bloomberg

(Fox Photos/Getty Images)
(Fox Photos/Getty Images)

Nel suo libro Adventures in the Screen Trade (“Avventure nell’industria cinematografica”) lo sceneggiatore William Goldman scrisse che «nessuno sa niente». Oggi questa citazione sta avendo una seconda vita. La frase, ripetuta per tutto il libro, viene usata per la prima volta in riferimento alle molte case cinematografiche americane che si rifiutarono di realizzare film che si sarebbero poi rivelati grandi successi. Per esempio tutti gli studios di Hollywood, a eccezione di Paramount, respinsero I predatori dell’arca perduta, che diventò uno dei film con gli incassi più alti della storia e fu candidato a 9 premi Oscar. La più grande casa cinematografica di Hollywood dell’epoca, la Universal, rifiutò di produrre Star Wars, che fece un miliardo di dollari di incassi e diede inizio a una saga con cinque film nella classifica dei 100 film con maggiori incassi di tutti i tempi. Alla fine Disney ha comprato la casa di produzione di Star Wars, LucasFilm, per oltre 4 miliardi di dollari.

Goldman si riferiva al fatto che nonostante tutta la ricerca, l’esperienza, i gruppi di discussione e l’intelligenza di chi lavora nel settore, nessuno a Hollywood ha idea di come andrà un film prima della sua uscita. Ogni volta che proviamo a predire un risultato complesso, ci addentriamo in un campo minato. A iniziare dalla sceneggiatura, che non sappiamo se si adatterà bene allo schermo. Quanto è coinvolgente il progetto del regista? La rappresentazione dei personaggi è gradevole? Fino ad arrivare al fattore forse meno prevedibile: quali saranno i gusti del pubblico fra tre o cinque anni, quando il film uscirà nei cinema? Il successo di un film è decretato per grandissima parte dalla sorte, e lo sembra che lo stesso discorso si possa applicare a qualsiasi cosa nella vita, dal matrimonio alla carriera, fino al portfolio azionario.

Quanto è facile scambiare la fortuna e il caso per capacità? Quanto ci mettiamo a convincerci di essere in grado di capire cosa succede e che abbiamo il nostro destino sotto controllo, anche se non c’è niente di più lontano dalla verità? Pensate per esempio alle primarie statunitensi. Stando alle previsioni Bernie Sanders, un senatore 74enne ebreo socialista, sarebbe dovuto uscire dalla corsa per la nomination dei Democratici quasi subito. Nonostante il distacco nel numero di delegati, invece, è ancora in corsa. La stragrande maggioranza degli esperti, poi, aveva proclamato a gran voce che Trump non avrebbe avuto nessuna possibilità al mondo di vincere la nomination dei Repubblicani. L’anno scorso siete stati invitati con forza a prendere con le pinze i loro annunci sul declino imminente di Trump perché, ripetiamolo, nessuno sa niente.

Nemmeno io so niente, ma perlomeno sono consapevole della mia ignoranza e non ho problemi ad ammetterlo in pubblico. La maggior parte degli opinionisti, invece, deve ancora imparare questa lezione fondamentale. Robert H. Frank è un professore della Johnson Graduate School of Management alla Cornell University e autore di molti libri sull’economia, tra cui un testo molto rispettato scritto insieme all’ex presidente della Federal Reserve (la banca centrale americana) Ben Bernanke. Nel suo ultimo libro Success and Luck: Good Fortune and the Myth of Meritocracy (“Il successo e la fortuna: la buona sorte e il mito della meritocrazia”), Frank parla di quanto sia sottovalutato il ruolo del caso nella nostra vita.

Le persone di successo tendono a dare il merito dei loro risultati alle loro capacità, al duro lavoro e all’intelligenza. Frank sottolinea che per ognuna di queste persone ce ne sono moltissime altre altrettanto capaci, operose e intelligenti, che però non hanno avuto gli stessi successi. La mancanza di un colpo di fortuna può fare la differenza tra un grande successo e un successo sfiorato, o un risultato ancora peggiore. Frank affronta il tema dettagliatamente nel suo best-seller The Winner-Take-All Society: Why the Few at the Top Get So Much More Than the Rest of Us (“La società del “Primo prende tutto”: perché i pochi in cima ottengono molto di più del resto di noi”). Gli investitori, invece, dovrebbero seguire i consigli di Michael J. Mauboussin, professore aggiunto di finanza alla Columbia Business School e responsabile delle strategie finanziarie di Credit Suisse. Nel suo libro The Success Equation: Untangling Skill and Luck in Business, Sports, and Investing, (“L’equazione per il successo: capire il ruolo di capacità e fortuna nell’economia, lo sport e gli investimenti”), Mauboussin fa notare che dal momento che per ogni settore c’è un numero sempre più grande di persone capaci e di talento, la fortuna ha un peso sempre più importante. Quando tutti competono a un livello molto alto, le qualità personali si annullano. Potremmo dire che il risultato finale è determinato da una combinazione di capacità e fortuna.

A ricordarci quanto conti la fortuna, in positivo e in negativo, questa settimana c’è anche la Sohn Investment Conference, che riunisce investitori professionisti e gestori di fondi speculativi per discutere dello stato del settore degli investimenti. La conferenza (che il giornalista Josh Brown ha seguito e raccontato dettagliatamente in tre articoli: qui trovate la prima parte, la seconda e la terza) è un esempio perfetto di questo fenomeno. Gli illustri partecipanti all’evento parlano per ore di diversi temi legati a investimenti, analisi economiche e, ovviamente, delle loro azioni preferite (e di quelle che odiano). Come sono andate le scelte azionarie di questi importanti investitori sulla base delle analisi emerse nella conferenza dell’anno scorso? Secondo Julie Verhage di Bloomberg, «solo due degli oratori dell’anno scorso hanno preso decisioni azzeccate, e anche loro hanno fatto scelte sbagliate che hanno vanificato quelle corrette». Si è già detto molto dell’inutilità di chi si atteggia a indovino e delle previsioni di queste persone. Cercare di valutare con precisione sistemi complessi influenzati da variabili casuali e correlate tra loro, da fattori esterni e dall’imprevedibilità del comportamento umano è una follia. Anche se non ci piace ammetterlo, nessuno sa niente, compresi noi.

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