70 anni di Vespa nella cultura popolare

I film e le canzoni che l’hanno mostrata o citata, da Vacanze Romane ai Lùnapop (passando per Nanni Moretti, ovviamente)

(Keystone/Getty Images)
(Keystone/Getty Images)

Il 23 aprile del 1946 la società Piaggio depositò il brevetto della Vespa, lo scooter che oggi compie 70 anni. Il progetto fu realizzato dall’ingegnere aeronautico Corradino D’Ascanio (prima di fare motociclette, la Piaggio si occupava di aeronautica). Il brevetto parlava di una «motocicletta a complesso razionale di organi ed elementi con telaio combinato con parafanghi e cofani ricoprenti tutta la parte meccanica». La prima Vespa aveva una cilindrata di 98 centimetri cubi, tre marce e un motore a due tempi, e raggiungeva una velocità massima di circa 60 chilometri all’ora. Quelle “truccate, anni Sessanta” si dice invece arrivassero a sfiorare i 90. La Vespa ebbe soprattutto la particolarità di avere una carrozzeria portante che copriva tutto il motore, cosa che la rendeva molto comoda, oltre che molto diversa da tutto quello che era stato fatto fino ad allora.

In questi 70 anni sono stati fatti più di 100 modelli di Vespa, uno scooter che è entrato in vari modi e momenti nella cultura popolare e nella storia del design industriale: un modello di Vespa GS 150 è per esempio esposto al MoMa di New York.

L’idea e il nome

Due anni prima della Vespa, la Piaggio aveva già pensato a un prototipo di scooter simile. Era l’MP5 Paperino, un nome che faceva riferimento alla Topolino, la famosissima utilitaria della Fiat. L’MP5 Paperino non venne mai messo in commercio. Enrico Piaggio – che allora guidava l’azienda di famiglia – era convinto dell’idea ma aveva molti dubbi sul design: chiese allora a D’Ascanio di fare qualcosa di nuovo, partendo da zero. Si dice che D’Ascanio detestasse le motociclette e Piaggio lo scelse anche per questo: era la persona ideale per fare qualcosa di diverso da tutto quello che era stato fatto fino ad allora. Sembra anche che Piaggio vedesse la Vespa come una soluzione temporanea per fare un po’ di soldi nell’attesa di riprendere la più tradizionale attività della costruzione aeronautica.

Sul come e sul perché si scelse il nome “Vespa” ci sono almeno tre storie, nessuna mai del tutto confermata. Prima: Piaggio sentì il motore dello scooter e disse: «sembra una vespa» (e c’è anche una piccola variazione secondo cui Piaggio disse questa frase dopo aver visto dall’alto la forma della Vespa). Seconda: ha a che fare con una diversa frase che secondo alcuni Piaggio disse quando vide lo scooter: «Come farà a reggere due persone con quel vitino da vespa?». Terza (quella ritenuta meno plausibile): il nome Vespa era un acronimo di “Veicoli Economici Società Per Azioni”.

Nel 1946 furono prodotti solo 50 modelli di Vespa. A fine anni Quaranta le Vespe prodotte erano già più di 60mila e nel 1953 ce n’erano circa mezzo milione. La milionesima Vespa fu invece prodotta e venduta nel 1956, all’inizio del boom economico italiano di cui lo scooter fu uno dei simboli. Oltre a essere molto comoda e funzionale – se il motore è tutto coperto non ci si sporca i vestiti – la Vespa costava anche piuttosto poco: 68mila lire.

La Vespa nella cultura popolare

Il primo importante ingresso della Vespa nella cultura popolare risale al 1953, anno in cui uscì Vacanze Romane, il film di William Wyler con Gregory Peck e Audrey Hepburn. Quello che si vede nel film è il primo modello di Vespa.

C’è un’altra famosa immagine cinematografica della Vespa risalente agli anni Cinquanta. Riguarda Ben-Hur, un altro film di William Wyler ambientato nell’antica Roma. Chiaramente la Vespa non era mostrata nel film, ma fu molto usata dagli attori come mezzo di trasporto tra una scena e l’altra. Quelli nella foto sono Charlton Heston e Stephen Boyd.

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La Vespa è stata usata anche da James Bond, e negli anni Novanta da Nanni Moretti in Caro Diario.

Negli anni Sessanta la Vespa divenne protagonista di una delle più famose campagne pubblicitarie della storia italiana. Per promuoverla si scelse il criptico slogan: «Chi Vespa mangia le mele». Qualcuno scelse di leggerci un messaggio a sfondo sessuale, in cui le mele rappresentano un riferimento al peccato originale.

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La frase – a prescindere da ogni possibile interpretazione – divenne però famosissima: la citava per esempio Vasco Rossi nella canzone Bollicine, uscita nel 1983.

E poi, certo, c’è QUELLA canzone.