Cos’è la “sindrome del bambino scosso”

È un insieme di sintomi che si usa per capire se un neonato ha subìto violenze: se ne riparla ciclicamente – ora in Inghilterra – perché i medici hanno opinioni molto diverse

Un neonato piange il 17 settembre 2013, all'ospedale di Lens, in Francia (PHILIPPE HUGUEN/AFP/Getty Images)
Un neonato piange il 17 settembre 2013, all'ospedale di Lens, in Francia (PHILIPPE HUGUEN/AFP/Getty Images)

Il 21 marzo un tribunale inglese ha condannato una neuropatologa pediatrica, Waney Squier, per aver svolto scorrettamente il suo ruolo di perito in tribunale in sei casi di morte di bambini di età compresa tra uno e 19 mesi. Squier, consulente per la difesa (cioè per i genitori dei neonati), avrebbe mentito per spingere i giudici a escludere che le lesioni al cervello dei bambini fossero dovute alla cosiddetta sindrome del bambino scosso (SBS). Per quanto si chiami “sindrome”, non si tratta di una malattia ben precisa ma di un insieme di sintomi causati da un violento scuotimento. Squier è anche stata espulsa dall’equivalente inglese dell’ordine dei medici, il General Medical Council. Secondo gli avvocati difensori di Squier, però, la condanna si deve al semplice fatto di aver messo in discussione l’esistenza della SBS sostenendo che gli stessi sintomi potessero avere altre cause, per esempio una caduta accidentale.

Come e perché i neonati muoiono di sindrome da bambino scosso

La maggior parte dei medici ritiene che la SBS si riconosca da tre sintomi principali: ematomi nel cervello, emorragie tra il cervello e il cranio, ematomi nelle rètine, cioè negli occhi. Lo scuotimento dei bambini sotto l’anno di vita è ritenuto pericoloso perché a quell’età i muscoli del collo non sono ancora sufficientemente sviluppati per sostenere la testa, e i vasi sanguigni nel cervello sono meno resistenti. Tuttavia è capitato che gli stessi sintomi fossero trovati anche in bambini più grandi, fino a cinque anni di età. Secondo Pietro Ferrara, giudice onorario presso il tribunale per i minorenni di Roma e docente di pediatria all’Università Campus Bio-Medico di Roma, il 30 per cento dei bambini che vengono scossi violentemente muore e l’80 per cento riporta danni permanenti.

Più che una condizione medica, infatti, la SBS è un modo per definire un abuso – anche involontario. La maggior parte dei casi di SBS, infatti, capitano quando i bambini sono nel cosiddetto periodo delle coliche, generalmente compreso tra la seconda settimana e il quinto mese di vita: piangono molto spesso, è difficile farli smettere e ai genitori o a chi se ne prende cura può capitare di scuoterli perché esasperati. Negli Stati Uniti si usa l’espressione “PURPLE crying” per definire il periodo in cui i bambini piangono in questo modo. Non c’è una relazione con il colore viola, purple in inglese: “PURPLEè un acronimo che descrive le caratteristiche di questo periodo, creato con l’intenzione di tranquillizzare i genitori. La seconda P ad esempio sta per “pain-like face”, che si può tradurre come “l’espressione sul viso del bambino sembra indicare che soffra”: spesso a questa età i bambini piangono anche se non provano dolore.

Perché la comunità scientifica non è concorde sulla SBS

Lo scuotimento violento di un bambino può causare la rottura dei vasi sanguigni del collo e una conseguente emorragia nel cervello; a loro volta le emorragie sono causa di convulsioni, danni cerebrali o addirittura paralisi. Le emorragie negli occhi invece possono provocare danni alla vista. Tuttavia la comunità scientifica non è unanime nel giudicare la sindrome del bambino scosso; alcuni medici sono contrari anche al nome che le è stato dato, che esclude che i sintomi possano avere una causa diversa dallo scuotimento, come una caduta o una malattia congenita del bambino: di fatto si chiama “sindrome” ma non lo è. L’opinione di Waney Squier è che ci sia poco di scientifico nella SBS.

In passato ci sono stati diversi casi controversi. Nel 1997 l’inglese Louise Woodward, all’epoca ragazza alla pari in Massachusetts, fu condannata per la morte di Matthew Eappen, il bambino di otto mesi che le era stato affidato: inizialmente il capo d’accusa era omicidio volontario, poi commutato in omicidio colposo. Nel 2011 uno dei periti che avevano lavorato sul suo caso, il radiologo pediatrico dell’Università di Stanford Patrick Barnes, disse che non avrebbe più testimoniato come aveva fatto nel 1997: le più recenti scoperte in campo medico hanno reso possibile capire meglio i traumi nei cervelli dei neonati.

Un altro caso famoso nel Regno Unito è quello di Angela Cannings, che nel 2002 fu condannata per la morte di due dei suoi figli: Jason, che morì nel 1991 a sette settimane, e Matthew, che morì nel 1999 a diciotto settimane. Nel 2003 Cannings fu scagionata dopo che fu trovato un legame genetico tra la morte dei due bambini, della loro sorella Gemma, morta nel 1989 a tredici settimane per la sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS), e di altri tre bambini nella storia familiare di Cannings.