L’accordo sulle banche italiane, spiegato

Il governo italiano e la Commissione Europea hanno trovato una soluzione al problema dei "non performing loans": lo Stato interverrà, ma non troppo

La commissaria europea per la Concorrenza Margrethe Vestager.(EMMANUEL DUNAND/AFP/Getty Images)
La commissaria europea per la Concorrenza Margrethe Vestager.(EMMANUEL DUNAND/AFP/Getty Images)

Alle 22 di martedì 26 gennaio si è concluso dopo cinque ore un incontro tra il ministro dell’Economia italiano, Pier Paolo Padoan, e la commissaria alla concorrenza per l’Unione europea, Margrethe Vestager. L’incontro si è concluso con un accordo per la gestione dei crediti in sofferenza delle banche italiane: i cosiddetti “non performing loans”, cioè crediti che probabilmente non verranno ripagati. La presenza di questo tipo di crediti nei bilanci delle banche italiane è ben superiore a quella di altri paesi europei: in Italia riguarda il 16,7 per cento di tutti i soldi prestati dalle banche, in Spagna il 7 per cento e in Francia il 4.

Dall’inizio

Nei giorni scorsi c’è stato un crollo dei titoli di molte banche italiane in Borsa, causato principalmente dai timori degli investitori legati al problema dei “crediti in sofferenza”. Una delle proposte fatte per risolvere il problema è stata la costituzione di una o più “bad bank”, cioè scatole vuote che esistono soltanto per tenere in pancia le perdite e vendere i crediti inesigibili a società specializzate nel recuperarne almeno una parte. Il punto sul quale era più difficile trovare un accordo tra Stato italiano e Commissione europea era la dimensione e il modo di intervento del primo per garantire i crediti in sofferenza. L’Unione Europea si basa su regole che garantiscono i meccanismi tipici del libero mercato nelle economie dei paesi membri, ed è quindi molto attenta a evitare che alcuni governi possano intervenire nel salvataggio di aziende nazionali (come le banche) e distorcere questi meccanismi: se si è sicuri che la propria azienda verrà salvata con aiuti statali allora è probabile che ci si avventuri in investimenti più rischiosi di quanto si farebbe normalmente, per esempio.

Su cosa si interviene

L’accordo raggiunto ieri sera prevede l’intervento di fondi pubblici, ma alle condizioni di mercato. I crediti in sofferenza verranno impacchettati e per essere ceduti dalle banche e alleggerirne i bilanci. Su questi pacchetti di crediti le banche potranno chiedere la garanzia dello Stato solo su una parte, e solo a condizione che abbiano ricevuto un rating “sufficiente” da parte di un’agenzia indipendente tra quelle selezionate dalla Banca Centrale Europea. La parte che potrà essere garantita dallo Stato è quella “senior”. Generalmente questi pacchetti aggregano crediti di vario tipo, alcuni più rischiosi e altri un po’ meno; sono quindi divisibili in varie “tranche” caratterizzate da rischi diversi e le “tranche senior” sono quelle più sicure.

Come funziona la garanzia

Il concetto è quello dei credit default swap (CDS): chi compra questi pacchetti si accorda con un terzo soggetto (altro dal debitore) che si impegna a pagare il credito nel momento in cui il debitore facesse default (cioè non pagasse). Il terzo soggetto garantisce il pagamento in cambio di un premio periodico, più o meno come un’assicurazione. Lo Stato italiano potrà svolgere il ruolo di terzo soggetto per le “tranche senior”, quelle più sicure. Il premio da pagare è deciso a prezzo di mercato: si considereranno i CDS con rating analoghi e si prenderà il premio medio di quelli in vigore nel mercato. Per i primi tre anni si pagherà il premio medio dei CDS con scadenza a tre anni, per il quarto e il quinto quello medio dei CDS con scadenza a 5 anni e per il sesto e il settimo quello dei CDS con scadenza a 7 anni più una maggiorazione. Il senso è incentivare il recupero dei crediti in breve tempo.

I crediti in sofferenza rendevano molto incerta la situazione finanziaria delle banche italiane e impedivano alle stesse banche di fornire nuovo credito alle imprese, cosa necessaria per accelerare la crescita economica. Il ministero dell’Economia ha detto che questa soluzione non peserà sul bilancio dello Stato: anzi, è previsto che i soldi incassati in entrata – come “premi di assicurazione” – saranno di più di quelli che usciranno per pagare i crediti falliti.