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  • Martedì 26 gennaio 2016

Senza adulti

Ezio Mauro recensisce su Repubblica un saggio di Gustavo Zagrebelsky su quello che siamo diventati

Philadelphia, 23 gennaio 2016 (Jessica Kourkounis/Getty Images)
Philadelphia, 23 gennaio 2016 (Jessica Kourkounis/Getty Images)

L’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro recensisce oggi sul quotidiano un nuovo saggio di Gustavo Zagrebelsky dedicato a un tema già molto trattato in questi anni, quello della attenuazione nei nostri mondi del distacco tra le successive età della vita, con una adolescenza e giovinezza che si protraggono molto dentro l’età adulta – limitandone quella che un tempo era la maturità -, con una vecchiaia che arriva molto tardi, e una rimozione dell’idea della morte. Con conseguente, spiegano Mauro e Zagrebelsky con allarme, scomparsa della responsabilità rispetto alle generazioni future, oltre alla diminuzione della differenza di abitudini e comportamenti tra padri e figli. L’allarme è discutibile – le cose cambiano – ma l’analisi interessante.

Vivendo come fossimo immortali noi modifichiamo la vita stessa, il significato e il profilo del suo corso, trasformando per la prima volta nella storia dell’umanità la curva dell’esistenza – com’è stata chiamata sempre – in una lunghissima linea retta che non siamo mai stati abituati a risalire: e che crolla di colpo quando cede l’inganno dell’eterna fittizia gioventù, precipitando nella vecchiaia improvvisa.
Non è un autoinganno, perché tutto quel che ci siamo creati per dominare la vita ci autorizza a pretendere l’immortalità. La medicina naturalmente, la genetica e la biologia con i loro progressi al servizio dell’uomo. Ma anche il maquillage sociale e culturale al servizio delle mode, dei trattamenti, degli stili di vita, con la promessa di ingannare la realtà, camuffandone l’estetica. Se la tecnica, con la sua autorità che la rende signora dell’epoca, dice che si può fare, allora si deve: e infatti padri e madri lo fanno, mimando i consumi e la cultura dei figli, cercando di uniformarsi dentro l’età dominante, dunque senza più fine.
Così non viviamo la nostra vita, o almeno non nel suo naturale percorso, che è ciò che la rende appunto “vita” con un suo inizio, un culmine e una fine, e non soltanto esperienza di una fase illusoriamente fissata per sempre.
A l suo posto viviamo un’esperienza mimetica, spostata abusivamente nel territorio dell’età altrui, alterando il senso dell’una e dell’altra. Ciò che si indebolisce è il fluire del tempo, il passaggio delle fasi e il loro trascorrere, la fine di una stagione e la sua mutazione nell’inizio di un’altra, con i diversi colori, i toni e i modi propri di ogni epoca. Quel che si disimpara è la preparazione alla vecchiaia, il modo di accoglierla dai primi segnali fino alle prove evidenti e la sua accettazione. Scegliamo di rimanere uguali a quel che ci immaginiamo di essere. Pur di non declinare, decidiamo di non evolvere, imprigionandoci nell’oggi.

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