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  • Lunedì 25 gennaio 2016

La storia delle restrizioni sui libri stranieri in Argentina

L'ex presidente Kirchner ha limitato per anni le importazioni facendo aumentare moltissimo i prezzi, ma a gennaio il nuovo governo le ha abolite (e c'è chi protesta)

La libreria El Ateneo di Buenos Aires. (AP Photo/Victor R. Caivano,File)
La libreria El Ateneo di Buenos Aires. (AP Photo/Victor R. Caivano,File)

Il mercato editoriale argentino è storicamente uno dei più attivi e importanti del mondo: il numero di titoli pubblicati è cresciuto costantemente dai 16 mila del 2004 fino ai 28 mila del 2014 (con circa 123 milioni di libri stampati). La capitale Buenos Aires è la città con il numero di librerie pro capite più alto del mondo: 734 librerie su 2,8 milioni di abitanti, circa 25 ogni 100 mila abitanti. Tuttavia negli ultimi anni il mercato dei libri ha sofferto delle limitazioni imposte dalle politiche protezioniste del governo dell’ex presidente Cristina Fernández de Kirchner: per favorire l’industria nazionale impose forti restrizioni alle importazioni, facendo crollare il numero di libri stranieri importati. Il 6 gennaio il nuovo governo di Mauricio Macrì ha abolito le limitazioni alle importazioni dei libri, con importanti conseguenze sul mercato editoriale argentino.

Le limitazioni sulle importazioni furono introdotte nel 2010 da Kirchner, nell’ambito di una serie di politiche protezioniste. L’importazione di libri dall’estero non è stata vietata del tutto, ma i prezzi di trasporto altissimi e le complesse pratiche burocratiche ne causarono la drastica diminuzione. Secondo dati riportati dal giornale spagnolo El Paìs tra il 2011 e il 2014 scesero di circa il 65 per cento, riducendo di oltre il 35 per centro la varietà di titoli disponibili nelle librerie del paese. Il costo dei libri si innalzò molto, a causa della scarsa concorrenza e dell’aumento dei costi di produzione: l’anno scorso un libro costava di media tra i 21 e i 28 euro, a dicembre i prezzi oscillavano tra i 30 e i 40 euro. L’aumento dei prezzi ha causato d’altra parte il crollo delle esportazione dei libri, finendo per restringere ancora di più il mercato editoriale argentino. Di questa situazione hanno approfittato soprattutto le grandi case editrici, il settore grafico e della stampa, mentre ne hanno sofferto soprattutto piccole case editrici, librerie indipendenti e i lettori, che spesso si sono rivolti al mercato nero e dell’usato.

A testimonianza del restringimento dell’offerta di titoli, El Pais ha intervistato Adolfo de Vincenzi, direttore generale del gruppo Ilhsa che controlla 53 librerie in tutto il paese, tra cui la splendida e gigantesca El Ateneo: «Qualche anno fa avevamo più di 90 mila titoli all’Ateneo, la nostra libreria centrale. Oggi invece ne abbiamo circa 72 mila. È stato un disastro per la varietà dei libri, anche se sono stati anni in cui abbiamo venduto bene. Il governo precedente ha promosso il consumo. Ora speriamo di poter avere una maggiore scelta, il lettore argentino è molto esigente e cerca sempre novità». La legge argentina considera i libri beni speciali sulla cui importazione non si possono applicare tasse aggiuntive: per limitarne l’importazione il governo Kirchner dovette inventare metodi complessi e artificiosi, che sfruttavano l’inefficienza della burocrazia argentina.

Uno dei metodi più bizzarri ma efficaci era il controllo dell’inchiostro dei libri d’importazione: una legge rendeva obbligatorio controllare che l’inchiostro usato nella stampa di libri importati in più di 500 copie non contenesse un livello di piombo troppo alto. Tutti i libri stranieri avrebbero tranquillamente superato la verifica, ma la burocrazia era talmente lenta che la maggior parte degli editori rinunciava a importare i libri nel paese. Come ha spiegato Trinidad Vergara, presidente della Cámara Argentina de Publicaciones (un’associazione di editori): «Era un sistema autoritario e kafkiano, una tassa nascosta. In tutte le prove che sono state realizzate nessun test è risultato positivo. Ma ci voleva tantissimo tempo per ottenere una risposta; e questo bastò a frenare le importazioni. È una politica assurda: Andrés Neuman è argentino ma vive e pubblica in Spagna, e non possiamo leggerlo solo perché stiamo qui? Inoltre ha causato dei grossi danni alle librerie indipendenti e ai piccoli editori, che di più hanno accusato l’innalzamento dei prezzi degli stampatori».

Il caso più discusso è stato quello della biblioteca personale dello scrittore argentino Tomás Eloy Martínez, morto nel 2010. Nel suo testamento Martínez aveva donato all’università di Buenos Aires la sua biblioteca personale, che si trovava negli Stati Uniti dove viveva la maggior parte dell’anno. Il figlio Ezequiel ricorda le difficoltà burocratiche per portare i libri in Argentina: «È stato un incubo. In primo luogo ho dovuto dimostrare che le casse di legno non contenevano materiale tossico, poi che l’inchiostro dei libri non aveva troppo piombo, poi ho dovuto registrare la Fondazione Martinez Tomas Eloy come importatore, compilare in dettaglio oltre 80 pagine di documenti; a quel punto hanno controllato la mia fedina penale, e alla fine era passato così tanto tempo che è scaduta la registrazione da importatore». Ci vollero quattro anni di battaglie burocratiche con i libri chiusi in un container negli Stati Uniti e altri due mesi nel porto di Buenos Aires, prima che l’intera biblioteca fosse consegnata all’università. 

Pablo Avelluto, il nuovo ministro della cultura del governo Macrì, nominato a novembre, ha lavorato a lungo nel mercato dell’editoria argentino: per sette anni è stato il direttore editoriale di una delle case editrici più grandi del paese, la Random House Mondadori (nata nel 2001 dalla sinergia tra il gruppo editoriale americano e quello italiano, che nel 2012 ha venduto le sue quote). Il 6 gennaio ha abolito ufficialmente le restrizioni alle importazioni dei libri, accompagnando l’abrogazione della legge con la campagna su twitter #libroslibres.

Le reazioni nel paese sono state generalmente positive anche se alcune case editrici, che hanno beneficiato dell’aumento dei prezzi, temono l’invasione di libri a buon mercato, provenienti soprattutto dalla Spagna. Il settore che più si è schierato contro la decisione del ministro è stato quello che si occupa della produzione e della stampa dei libri, che in questi anni ha vissuto un boom economico mai visto, come spiega al Pais Julio Sanseverino, proprietario della società Gráfica Pinter e segretario della Federación de Gráficas Argentinas: «Il settore dà lavoro a circa 65 mila persone e ora abbiamo paura che se si inizierà a produrre anche fuori dal paese e si perdano oltre 10 mila posti di lavoro. Molti imprenditori hanno fatto investimenti tecnologici importanti per far crescere il settore e ora avranno problemi. Non siamo stati neanche consultati, tutto questo può avere un costo sociale molto alto».

Il processo di apertura del mercato sarà comunque graduale e l’Argentina è ancora molto lontana dagli standard occidentali. Amazon per esempio non ha un sito argentino perché la vendita per corrispondenza su internet non è legale e il governo non sembra intenzionato a cambiare qualcosa a riguardo. Anche comprare un libro su un sito estero e farselo spedire è sempre complicato: spesso i libri vengono bloccati negli aeroporti e ritirarli è comunque faticoso e costoso, capita che le persone rinuncino e che i libri si accumulino nei depositi.