7 cose su “Stoner”, pubblicato 50 anni fa
Uscì nel 1965 e fu quasi ignorato; è stato riscoperto nel 2013 e descritto come «il più grande romanzo americano di cui non avete mai sentito parlare»
di Arianna Cavallo – @ariannacavallo
Il caso editoriale italiano – ma anche europeo – del 2013 era stato un romanzo pubblicato cinquant’anni fa, nel 1965: si intitola Stoner e fu scritto dallo statunitense John Williams. Come lo ha definito Tim Kreider sul New Yorker, Stoner è il «più grande romanzo americano di cui non avete mai sentito parlare» – perlomeno fino a quando dal 2012 in poi hanno preso a leggerlo e a parlarne un po’ tutti. Ecco com’è stato riscoperto e perché vale la pena recuperarlo, se siete quelli – pochi – che ancora non lo conoscono.
1) Di cosa parla
Il libro racconta la vita di William Stoner, un professore universitario che – scopriamo già dal primo paragrafo – nacque nel 1891 in una famiglia povera, entrò da studente nell’Università del Missouri nel 1910 e ci rimase insegnando letteratura medievale fino al 1965, quando morì a 65 anni dimenticato dagli studenti e poco stimato dai colleghi. Stoner trascorre una vita monotona e passiva, senza particolari gioie e successi personali o professionali: sposa la ragazza che desiderava, Edith, ma il matrimonio si rivela un fallimento che si ripercuote sulla figlia Grace; inizia una relazione amorosa con una sua studentessa, Katherine Driscoll, che si conclude con uno scandalo e l’allontanamento di lei. La sua carriera universitaria viene ostacolata per 25 anni dal rettore dell’università che lo ha in antipatia, e si concretizza nella sola pubblicazione di un libretto.
2) L’autore
La vita di John Williams ricorda in parte quella di William Stoner: nato come lui in una povera famiglia di contadini – ma nel 1922 e in Texas – studiò letteratura nell’Università del Missouri e in quella di Denver, in Colorado, dove insegnò fino al 1985. Contrariamente a Stoner, però, Williams combatté nella Seconda guerra mondiale e ottenne qualche successo letterario pubblicando sei libri: il romanzo Nulla, solo la notte (1948), la raccolta di poesie The Broken Landscape (1949), il romanzo Butcher’s Crossing (1960), Stoner (1965), Augustus (1972) che ricostruisce la vita ai tempi dell’Imperatore romano Augusto e per cui vinse il National Book Award a parimerito con Chimera di John Barth, e la raccolta di poesie The Necessary Lie (1965). Il suo ultimo romanzo, The Sleep of Reason, è rimasto incompiuto a causa della sua morte, avvenuta in Arkansas nel 1994.
3) La storia editoriale di Stoner
Stoner venne pubblicato negli Stati Uniti nel 1965 e fu recensito, seppur molto bene, soltanto dal New Yorker. Vendette circa duemila copie, quindi pochine, e nel giro di un anno andò fuori catalogo, pur continuando a essere saltuariamente letto e apprezzato da critici e scrittori. Nel 1963, in una lettera alla sua agente Marie Rodell, Williams aveva scritto su Stoner che «non ho illusioni che diventi un bestseller o qualcosa del genere; ma se l’editore saprà presentarlo nel modo giusto – cioè non come un altro “romanzo accademico” – potrà vendere decentemente. L’unica cosa di cui sono certo è che è un buon romanzo; nel tempo potrà essere considerato anche come un romanzo decisamente buono». Dopo 50 anni e un inizio deludente, Stoner ha superato le aspettative del suo autore, diventando un bestseller che ha venduto intorno a un milione di copie.
Il libro venne stampato nuovamente negli Stati Uniti nel 2003 dalla casa editrice Vintage su suggerimento dello scritto irlandese John McGahern. Nel 2006 fu ristampato anche dalla più conosciuta New York Review Books Classics; venne ben recensito ma vendette poco meno di 5.000 copie. Il successo è arrivato grazie alla popolare scrittrice francese Anna Gavalda, che dopo averlo letto in inglese nel 2011 ne comprò i diritti per tradurlo. I libri di Gavalda sono sempre un successo editoriale in Francia e per questo le case editrici europee si incuriosirono e cercarono di ottenere i diritti del libro. Tra fine 2012 e inizio 2013 Stoner è stato pubblicato in molti paesi europei, dov’è finito rapidamente in testa alle classifiche dei libri più venduti grazie a ottime recensioni, al passaparola e a pareri positivi di scrittori come Ian McEwan, Julian Barnes, Nick Hornby e Bret Easton Ellis e dell’attore Tom Hanks, che lo definì su Time «una delle cose più affascinanti in cui vi possiate imbattere».
Nel 2013 la catena di librerie britanniche Waterstones lo scelse come libro dell’anno: «non importa la data di pubblicazione, è il libro di cui tutti parlano», spiegò il direttore James Daunt. Soltanto in Regno Unito aveva venduto 160 mila copie, in Olanda aveva superato le 100 mila, in Israele era stato uno dei libri più venduti del 2012. In Italia venne pubblicato nel 2012 da Fazi editore, nella traduzione di Stefano Tummolini; da allora, dice la casa editrice, ha venduto oltre 200 mila copie.
4) Perché in Europa ha avuto successo ma negli Stati Uniti no
Stoner stenta ancora però a replicare negli Stati Uniti le vendite realizzate in Europa. Julian Barnes scrive sul Guardian che il successo del romanzo è una sorta di grattacapo per gli scrittori americani, che lo considerano un libro scritto molto bene ma non certo un capolavoro. Forse, dice, gli europei sono più abituati a leggere storie lente in cui succedono poche cose, o forse gli americani non apprezzano la mancanza di ottimismo e la passività di Stoner, che accetta tutto quello che gli capita anziché lottare contro le circostanze. Secondo la scrittrice statunitense Sylvia Brownrigg «il protagonista stesso sembra molto più inglese o europeo: spento, fondamentalmente modesto e passivo… Forse lo scarso successo del romanzo negli Stati Uniti si deve al fatto che non sembra uno-di-noi. Siamo un paese di massimalisti chiassosi». In più, fa notare, in Stoner l’alcol non è mai presente: «Mi chiedo se i personaggi americani indipendenti e stoici (penso a Carver o Richard Yates) debbano essere anche alcolizzati per potersi controllare e accettare le proprie delusioni».
5) L’anti-Gatsby e la resilienza
Secondo Kreider l’insuccesso di Stoner negli Stati Uniti si spiega anche col suo essere l’opposto dell’eroe americano. William Stoner è, scrive sul New Yorker, l’anti-Gatsby, che incarna – nonostante la brutta fine – il mito americano e che grazie a energia e forza di volontà riesce a ottenere successo e dominare la realtà circostante. Al contrario di Jay Gatsby – circondato da mistero, carisma e opulenza – la virtù principale di Stoner è la resilienza, cioè la capacità di sopportazione portata agli estremi. Stoner è stoico, passivo, virtuoso, è l’uomo-qualunque all’ennesima potenza: ha un matrimonio fallito, una carriera deludente, un rapporto con la figlia inesistente, e muore senza essere ricordato da nessuno mentre il mondo sembra cercare di distruggere tutto quello che lui ama. Anche l’ambientazione riflette il carattere di Stoner: mentre in Gatsby tutto è in movimento, luccicante, proiettato nel futuro, in Stoner la storia si svolge nello stesso posto quieto e al riparo dal mondo e dal tempo, dove non accade nulla.
6) La letteratura e l’etica del lavoro
Le uniche fonti di gioia di Stoner sono il lavoro e la letteratura. Entrato all’università come studente di Agraria per aiutare il padre nei campi, la sua vita viene rivoluzionata durante una lezione di letteratura, quando un professore legge il sonetto numero 73 di Shakespeare e gli chiede improvvisamente di spiegarne il senso: Stoner ha una sorta di illuminazione, diventa in qualche modo da bestiale a umano e decide di consacrarsi alla letteratura e all’insegnamento. Poco prima di morire sente che «la vita accademica è l’unica che non l’ha tradito».
Williams disse in una delle sue rare interviste: «Credo che Stoner sia un vero eroe. Molte persone che hanno letto il romanzo pensano che Stoner abbia avuto una vita triste e brutta. Io penso invece che abbia avuto una buona vita. Sicuramente migliore di quella di molti. Ha fatto quello che voleva, provava dei sentimenti per quello che faceva, aveva la consapevolezza dell’importanza del suo lavoro… La cosa importante del romanzo per me è proprio la consapevolezza che Stoner ha del suo lavoro, un lavoro nel senso onorevole e buono del termine. Il lavoro gli ha dato una identità peculiare e lo ha reso ciò che è stato».
7) Lo stile
Stoner è apprezzato anche per lo stile limpido e misurato, la prosa pulita e sobria, il tono lievemente ironico con cui è scritto. Tra i passi più famosi del libro c’è l’incipit: in 200 parole Williams riassume la vita di Stoner, senza lasciare spazio ad aspettative e colpi di scena, anticipando quello che racconterà poi nelle 200 pagine successive.
«William Stoner si iscrisse all’Università del Missouri nel 1910, all’età di diciannove anni. Otto anni dopo, al culmine della prima guerra mondiale, gli fu conferito il dottorato in Filosofia e ottenne un incarico presso la stessa università, dove restò a insegnare fino alla sua morte, nel 1956. Non superò mai il grado di ricercatore, e pochi studenti, dopo aver frequentato i suoi corsi, serbarono di lui un ricordo nitido. Quando morì, i colleghi donarono alla biblioteca dell’università un manoscritto medievale, in segno di ricordo. Il manoscritto si trova ancora oggi nella sezione dei “Libri rari”, con la dedica: «Donato alla Biblioteca dell’Università del Missouri in memoria di William Stoner, dipartimento di Inglese. I suoi colleghi».
Può capitare che qualche studente, imbattendosi nel suo nome, si chieda indolente chi fosse, ma di rado la curiosità si spinge oltre la semplice domanda occasionale. I colleghi di Stoner, che da vivo non l’avevano mai stimato gran che, oggi ne parlano raramente; per i più vecchi il suo nome è il monito della fine che li attende tutti, per i più giovani è soltanto un suono, che non evoca alcun passato o identità particolare cui associare loro stessi o le loro carriere».