Adele, il suo disco e un secchio di lacrime

Secondo il critico del Washington Post non c'è molto altro dentro la raffinata e sapiente confezione di "25"

di Chris Richards - Washington Post

Questo disco nuovo di Adele è come un golf di cashmere. È caldo, confortevole ed elegante in un modo che nasconde quanto sia ordinario. In un pomeriggio girigio potete mettervelo e guardare fuori dalla finestra. È il regalo di Natale che ricevete da qualcuno che non vi conosce abbastanza bene.
Si appresta a vendere subito due milioni di copie e battere dei record ulteriori. Così dicono. È un prodotto di massa che arriva nell’universo, e le cui conseguenze sono preconfezionate: ed è probabilmente l’unica cosa strana di tutto quanto.
Si chiama “25”, l’età che lei aveva quando cominciò a lavorare alle canzoni, e segue “21”, il successo del 2011 che indicò come il grande capitale di Adele potesse essere la possibilità di riconoscersi, anche più della sua voce (i titoli dei dischi ne sono una parte: il passare del tempo è quello che condividono tutti i viventi).

E ora, dopo quasi cinque anni lontana dai riflettori, resta in quel solco, chiedendo al mondo di cantare con lei, o sentire con lei, o almeno esserne trasportati. In una tempestosa ballata, “Remedy”, ci riesce sovraccaricando la lievità dei testi: “Quando il mondo sembra così crudele/E il tuo cuore ti fa sentire sciocco/Ti prometto che vedrai/Che io sarò il tuo rimedio”. Ed ecco il trucco. Il suo talento ci attrae, ma la canzone è vuota quanto basta a permettere a tutti di adattarcisi.
Molta musica funziona così. Ma come ha fatto Adele a diventare la campionessa indiscutibile del pop? La risposta ovvia è la sua voce: uno strumento potente e implorante che suona sempre familiare e al tempo stesso impressionante. È anche il genere di voce che siamo stati educati a considerare “gran voce”, “classica”, “potente” dopo aver ascoltato mezzo secolo di soul e un decennio di talent show musicali.
In “25” suona spesso come un vento forte che attraversa una nebbia leggera. I suoi collaboratori – tra cui Max Martin, Danger Mouse e Bruno Mars – tengono batterie e pianoforti da una parte e lasciano in primo piano una voce che suona vulnerabile ma di fatto permette fantastiche dimostrazioni di potenza. E questo è un altro trucco. Anche quando Adele si esprime piano, suona forte. Anche quando canta di disperazioni sentimentali, esibisce compostezza.

Nelle due canzoni maggiori, “Hello” e “Million years ago”, Adele sembra quasi un’erede di Sade, un’altra cantante soul britannica che consegna devastanti immagini di dolore dentro confezioni sonore eleganti, e che poi scompare nella sua vita privata per anni di silenzio artistico. Ma in altri casi Adele è semplicemente erede della musica soul in generale. E non solo “soul” come stile, ma come atto della memoria, modo di ricordare il dolore.
Quindi è buffo che la mancanza di stile e sostanza di questo disco renda tanto dimenticabili molte delle sue canzoni, almeno quanto Adele è estranea dal mood attuale del pop. Cosa che alcuni giudicheranno sintomo di purezza non corrotta. E che completa la narrazione di Adele come affascinante giovane signora britannica che ha care la modestia e la grazia. Qualità che è difficile non ammirare.
“Cosa succede nel mondo della musica?”, ha chiesto di recente a un intervistatore: “Mi sento fuori dal giro!”. Forse era uno sfogo sincero, oppure un altro tentativo di mettere un braccio intorno alle spalle dei suoi potenziali ascoltatori: Adele non è particolarmente interessata a come suona questo mondo invadente, e forse neanche voi.
E quindi questa nostra solenne estraneità alla follia dei tempi presenti quale premio riceve, esattamente? Una secchiata di lacrime?

Se il messaggio è questo, “25” è semplicemente un altro monumento a imperitura memoria che la tristezza degli umani suonerà sempre più universale che la loro felicità. È un disco elegante, banale, sapientemente cantato, e pieno di verità che già conosciamo. Non suscita emozioni nuove, non produce maggiori comprensioni.
Ed è anche la musica che abbiamo scelto di far sentire a milioni, milioni, milioni, milioni di ascoltatori. Se questo non vi ammacca il cuore più di qualunque cosa la povera Adele possa cantare, allora buon Natale e felice anno nuovo.

@Washington Post 2015