Le migliori canzoni di Jovanotti

Scelte dal peraltro direttore del Post, per prepararsi al concertone di stasera a San Siro (o per riascoltarle e basta)

(ANSA / MATTEO BAZZI)
(ANSA / MATTEO BAZZI)

Stasera Jovanotti terrà il primo di tre concerti allo stadio di San Siro, a Milano. Queste sono le diciassette canzoni che Luca Sofri, peraltro direttore del Post, aveva scelto per il suo libro Playlist (con qualche integrazione): per chi stasera andrà allo stadio e vuole ripassare, e per tutti gli altri a cui verrà voglia di riascoltarle.

Jovanotti è una cosa formidabile accaduta alla musica italiana, e senza rivali. È andato sempre migliorando – ma sul suo “periodo pirla” si è moraleggiato con ridicola severità – ha voluto capire il mondo, è rimasto umile anche quando era diventato il numero uno, e capisce molto di musica. Che per lui è una cosa più complessa, istantanea o fluida di una canzone: e quindi solo nel 2006 ne ha fatta una convenzionale di bellezza eterna. Quanto a cantare, dice lui: «Siccome sono stonato…».

Gente della notte

(Giovani Jovanotti, 1990)
La scrisse dopo un ritorno a casa notturno in un taxi in cui aveva sentito “Walk on the wild side”, a Londra. All’inizio canta un po’ troppo sdolcinato, ma il racconto della vita e degli animali notturni è perfetto. Il modello elencatorio è un classico dei suoi testi. “Mi chiamo Jovanotti e faccio il deejay, non vado mai a letto prima delle sei” fu una specie di biglietto da visita, allora: ma la frase che più lo rappresenta ancora è “sapere che nel mondo nessuno è normale, ognuno avrà qualcosa che ti potrà insegnare”. Però l’uso del “gli” in “a me piace la notte e gli voglio bene” è imperdonabile anche a uno che frequenta da sempre gli slang giovanilistici.

Ragazzo fortunato
(Lorenzo 1992, 1992)
Gran leggerezza, ma già con citazione di Siddartha. Canzone canticchiabilissima e allegra: e ce ne fossero, di persone che hanno la percezione delle proprie fortune.
«Il mio pezzo italiano di riferimento come punta massima della perfezione di scrittura, interpretazione e arrangiamento è “Azzurro”, a cui pensavo realizzando “Ragazzo fortunato”. Anche se non si sente».

Chissà se stai dormendo
(Lorenzo 1992, 1992)
L’arrangiamento è assai datato e il testo è imbarazzantemente teenager, ma il ritornello è appiccicosissimo: “ti vedo scritta su tutti i muri, ogni canzone mi parla di te”. E poi è fantastico come dice “le giusti-fi-ca-zioni”. «All’epoca per me scrivere canzoni d’amore era un po’ una fatica, lo facevo perché sapevo che in un album ce n’era bisogno se uno voleva sfondare, ma fosse stato per me avrei fatto solo martelloni».

Le storie d’amore
(Mix 1992, 1992)
Era una canzone di Luca Carboni, con cui Jovanotti fece una tournée nel 1992. E nelle prove si inventarono questa versione rappata, con gran ritmetto e il famoso verso “questa falsa divisione tra puttane e spose”.

Piove
(Lorenzo 1994, 1994)
Il repertorio mondiale di canzoni piovose era già sterminato e contava anche l’omonima “Piove” di Modugno. Ma, “piove, Madonna come piove” si trovò un suo spazio inviolato, e tutta la canzone suona davvero come un temporale ad agosto. Eppure, nacque e fu incisa nel giro di un’ora, per dare un lato B a “Penso positivo”: «La portai a Cecchetto e lui disse che ero matto a considerarla un lato B e che dovevo tenerla per l’album, che sarebbe stato un singolo. Allora tornai in studio per farla meglio ma veniva peggio, e così tenni quella versione sgangherata, che poi tanto sgangherata evidentemente non era».

L’ombelico del mondo
(Lorenzo 1990-1995, 1995)
La canzone di Jovanotti preferita da Jovanotti («se non altro per quanto mi ha portato fortuna»). Una festa, un circo, un’opera nel repertorio della storia dell’arte italiana e di quella del costume. “L’ombelico del mondo” fu un’invenzione geniale, un baccano sovreccitato mondialista, un gran pezzo da ballare, un successone definitivo di tamburi e ottoni. «A un certo punto è stata in top ten contemporaneamente in Israele e in Libano, e a quel punto ho acceso un cero alla Madonna».

Per la vita che verrà
(L’albero, 1997)
Primi abbozzi ipotetici di cautela, dubbi ed equilibrio nell’analisi delle storie d’amore – “se rimaniamo insieme, nelle diversità”, “se ci perdoneremo gli sbagli che faremo” – pur con un perentorio “tu non sarai mai sola”. Suoni caraibici, e andamento da essersi fatti parecchie canne.

Per te

(Capo Horn, 1999)
«Dove dice “13 dicembre” la cantai la notte stessa del parto: alle cinque di notte tornai in studio, accendemmo il registratore e incisi 
quelle due tremolanti parole prima
 di andarmene a casa a fare due ore
 di sonno».
 L’idea della canzone dedicata al nascituro (nascitura, in questo caso) 
era già venuta a molti padri in stato 
di grazia. Quella di Jovanotti contiene lo stesso augurio di “Avrai” di Baglioni, ovvero che tutte le cose le siano accessibili, e anzi siano proprio 
sue. Mi sono sempre chiesto perché “ninnanà ninnaé” invece di “ninnaò ninnaé”, che citerebbe “questo bimbo a chi lo do ninna nanna ninnaò”.

Tanto

(Buon sangue, 2005)
Qualcuno ha detto che il verso “e lei ti ama? A suo modo” sarebbe una delle cose più tristi che siano mai state scritte. La battuta mostra invece una lucidissima, matura e appassionata percezione dell’amore, diversa dalle infantili e presuntuose formule di amore totale e cinematografico con cui di solito si sbancano i cuori illusi. «Ho beccato questa idea dell’autointervista probabilmente rubandola da una cosa simile scritta da Petrarca 700 anni prima». Una cover domestica dal titolo “tonto tonto tonto tonto tonto” ha avuto un certo successo nella mia famiglia.

Mi fido di te

(Buon sangue, 2005)
La più bella canzone di Jovanotti di sempre, e una delle più belle canzoni italiane degli ultimi anni. Ballata sentimentale, ma con un suo ritmo, dei versi stupendi, e un ritornello che li fa sciogliere in bocca. La riflessione sulle relazioni è ancora quella di “Tanto”: “mi fido di te, cosa sei disposto a perdere?”. E il modo in cui dice “di stare collegato”, uno si sente felice.

Bruto
(Buon sangue, 2005)
“Il ritmo di quattro quarti è quello più congeniale, perché fa rima con il respiro del cuore”
 Un rap di Jovanotti vecchia maniera, con un giro di chitarra (di Riccardo Onori) e un ritmo formidabili: “Uh! È tutto quanto un movimento, uh, uh, uh!”.

Fango

(Safari, 2008)
“Io lo so che non sono solo anche quando sono solo”: tanto inizio sarebbe bastato da solo. Ma la canzone è bella tutta, e ha la chitarra di Ben Harper.

Baciami ancora
(Baciami ancora, 2010)
La scrisse per il film che si chiamava uguale di Gabriele Muccino e poi suonò da tutte le parti per tutto il 2010. Probabilmente Muccino gli disse “fammi la canzone romantico-allegra da innamorati o da volenti innamorarsi più micidiale del decennio, che non ci caschino solo i cinici più cinici in circolazione”. E ci cascarono tutti, salvo i cinici più cinici in circolazione.

Tutto l’amore che ho
(Ora, 2011)
Una delle cose musicalmente più inventive della carriera di Jovanotti, in cui strofa e refrain si somigliano e di fatto proseguono una stessa successione. Lui disse che l’ispirazione per parlare d’amore in questo caso gli venne da un contesto anomalo: «Dopo aver sentito questa parola pronunciata in un comizio di un partito ho sentito forte il bisogno di riprendermela, di riportarla dove è giusto che sia, nelle canzoni e nella vita vera». Fu il primo singolo, pubblicato quasi due mesi prima del disco.

Il più grande spettacolo dopo il Big Bang
(Ora, 2011)
Invenzione formidabile e travolgente, che si è portata a casa tutto il baraccone nel 2011, con un testo pieno di invenzioni e un ritornello ripetuto ossessivamente ma con variazioni e inclinazioni vocali diverse che poi non smettevi più di cantarla per giorni. E ancora adesso.
«Un giorno mi appuntai una frase che mi era uscita di botto. Tempo dopo, mentre guardavamo un video che parlava delle canzoni di successo che avevano gli stessi accordi, Saturnino ha preso la chitarra, ha fatto quegli accordi e io ho cominciato a cantarci sopra quella frase: “Il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi”»

Le tasche piene di sassi
(Ora, 2011)
Pensa se Jovanotti avesse detto, tanti anni fa, “no, io mi vergogno a cantare, con queste esse, poi mi prendono in giro”. Pensa cosa ci saremmo persi.

Ora
(Ora, 2011)
Canzone retta tantissimo dall’arrangiamento e dalla base musicale, come “Tutto l’amore che ho”: e infatti lui le strofe si limita a enunciarle, in un rap accogliente e srotolato lontano dalle aggressività moleste e artificiose di certi rap più convenzionali, e infatti tutta la seconda parte è solo la musica che se ne va, e come se ne va.

Sabato
(Lorenzo 2015 CC., 2015)