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770
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111 posti di Milano da vedere

770

La casa del rabbino
Non è un numero della Cabala ebraica, anche se l’atmosfera che evoca è quella. La curiosa storia della Casa 770 nasce dall’abitazione in stile fiammingo situata al civico 770 di Eastern Parkway nel distretto di Brooklyn, New York.
Insomma un posto molto lontano da qui e, soprattutto, che non c’entra niente con l’architettura nordica delle case tipicamente olandesi. Però gli americani, si sa, sono eclettici ed essendo un popolo di recente formazione, pescano qua e là dalla vecchia Europa gli stili che più gli piacciono. Insomma, hanno bisogno di un po’ di storia. Oppure, come in questo caso, la scelta di questa abitazione tradizionalmente europea da parte di una famiglia di ebrei ortodossi, i Lubavitcher, originari della Bielorussia ed emigrati negli Stati Uniti, è servita per non far sentire spaesato il rabbino Joseph Isaac Schneerson, costretto ad attraversare l’oceano nel 1940 per sfuggire alla persecuzione nazista.
Col tempo la casa-sinagoga del rabbino divenne un punto di riferimento per la comunità ebraica di orientamento hassidico, simbolo d’impegno e luogo d’incontro. Tanto che negli anni successivi la facoltosa famiglia Lubavitcher decise di costruire altre case 770 in altre città del mondo, riconoscibili proprio per il loro aspetto esteriore: tre torrette di mattoni rossi con il tetto a cuspide, l’ingresso centrale sovrastato da un piccolo balcone a baldacchino, la fascia decorativa di marmo alla base del primo ordine di finestre, insomma tante repliche della casa di Brooklyn.
In realtà, sparse per il mondo oggi ce ne sono solo dodici: qualcuna con un grande giardino, come la casa di Montréal in Canada e quella di Melbourne in Australia, altre strette fra palazzoni moderni, per esempio la replica a San Paolo in Brasile.
Ovviamente non manca la Casa 770 a Gerusalemme, ma l’unica in Europa è questa a Milano, che svolge tuttora la sua funzione di sinagoga.

Indirizzo: Via Carlo Poerio 35, 20129 | Mezzi pubblici Porta Venezia (M1 Rossa); Bixio (tram 23)
Un suggerimento: A fianco della Casa 770, c’è la targa che ricorda la villa dei coniugi Rollier (valdesi) dove il 27 agosto 1943 si tenne il convegno fondativo del Movimento Federalista Europeo. Presenti numerosi antifascisti, colleghi universitari di Mario Rollier, tra cui Franco Venturi, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Leone Ginzburg e Willy Jervis.

(111 luoghi di Milano che devi proprio scoprire, di Giulia Castelli Gattinara, Casa editrice Emons)

Hangar Bicocca
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111 posti di Milano da vedere

Hangar Bicocca

Da fabbrica a laboratorio d’arte contemporanea
La creatività dell’artista contro l’ingranaggio impersonale della fabbrica: ecco a voi La Sequenza di ferro di Fausto Melotti all’ingresso delle acciaierie Breda dove dal 1886, per quasi un secolo, entravano ogni mattina migliaia di operai metalmeccanici. I tempi sono cambiati: oggi le casette in mattoni rossi con tetto a doppio spiovente ospitano mostre, laboratori d’arte e video performance d’avanguardia. I nipoti delle “tute blu” dell’Ansaldo, della Falk, della Magneti Marelli vengono oggi al bistrot per l’happy hour tra i colorati tavolini di design.
Il “padrone” si è trasformato in mecenate (Fondazione Pirelli), però l’atmosfera rimane strana, come se i muri e i viali grigi trasudassero ancora lavoro e fatica. Una porticina immette nell’hangar di 9.500 metri quadrati che ospita la monumentale opera dell’artista Anselm Kiefer, I Sette Palazzi Celesti. All’interno della gigantesca navata, nella semi oscurità si ergono sette torri alte fino a 18 metri, come sgangherati grattacieli fatti di baracche sovrapposte, cemento e macerie di guerra.
La suggestiva installazione si ispira a un antico testo ebraico che narra del cammino spirituale di un uomo verso Dio. È evidente che per l’artista l’umanità ha ancora molta strada da fare e questa è la sua idea di Novecento, secolo di guerre e di avanguardie, di metropoli e di rivoluzioni industriali.
Ma dov’è finita la città dell’acciaio, la “Stalingrado italiana” dei cortei con le bandiere rosse che arrivavano fino al Duomo? Dove gli altiforni, le sale collaudo, la bulloneria e l’eco degli scioperi del ’43, che costarono a tanti operai la deportazione nei lager nazisti? Per andare a ritroso nella storia bisogna aspettare una domenica soleggiata e pedalare in bicicletta (con una guida) attraverso il quartiere industriale. Certo, l’atmosfera oggi è di gran lunga più allegra di quando qui si costruivano trasformatori, pezzi per locomotive o mezzi da guerra.

Indirizzo: Via Chiese 2, 20122 – tel. 0266111573, www.hangarbicocca.org | Mezzi pubblici Ponale (M5 Lilla); Sarca/Chiese (bus 728) | Orari Mer 12-15:30, gio-dom 11-24; la visita in bicicletta “HB Tour” si effettua solo su prenotazione e di domenica (consultare il sito)
Un suggerimento: In viale dell’Innovazione 20 c’è il moderno Teatro degli Arcimboldi progettato da Vittorio Gregotti, vera “bottega di teatro” e musica (www.teatroarcimboldi.it)

(111 luoghi di Milano che devi proprio scoprire, di Giulia Castelli Gattinara, Casa editrice Emons)

Il busto di Scior Carera
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111 posti di Milano da vedere

Il busto di Scior Carera

La voce del popolo
A Roma si chiama Pasquino, a Milano El Scior (il signor) Carera, ma in sostanza è la stessa cosa. Ogni città ha il suo busto romano più o meno mutilato dove la gente del popolo lasciava anonimi bigliettini con proteste, lamentele, motti e ironici sberleffi solitamente di carattere politico, rivolti ai sovrani che governavano in modo iniquo la città.
Nel via vai affollato sotto i portici accanto alle vetrine di Zara, la statua virile del III secolo passa inosservata, addossata all’ingresso del civico n.13, e quasi quasi potrebbe sembrare il portiere dell’elegante palazzo. Togato, immobile, silenzioso, “l’uomo di pietra” come anche viene chiamato è il testimone più informato di ciò che succede nei paraggi.
L’epigrafe alla base recita “Carere debet omni vitio, qui in alterum dicere paratus est” (deve essere privo di ogni vizio chi si prepara a parlare contro qualcuno), ma la gente semplice non conosceva il latino e scambiò Carere per il nome del personaggio. Chi fosse costui e dove originariamente fosse collocato, nessuno lo sa.
La scultura venne spostata più volte, e anche il volto nei secoli venne modificato. Le statue romane sono infatti composte di più parti, per esempio la faccia veniva scolpita da un artigiano specializzato e unita al resto in seguito. Nell’alto Medioevo si è pensato bene di sostituire l’effige (oggi perduta), che probabilmente raffigurava un alto magistrato romano ai tempi di Cicerone, con quella dell’arcivescovo Adelmanno Menclozzi.
Questo è niente rispetto a ciò che accadde nel 1848 durante le cinque giornate di Milano, quando i milanesi si ribellarono all’Austria mettendo sotto sopra la città. Lì veramente il scior Carera acquisì agli occhi del popolo tutta la sua levatura morale diventando il portavoce della sommossa. Ogni mattina ai suoi piedi comparivano parole di giustizia e libertà sotto forma di messaggi scritti nella notte dai suoi concittadini.

Indirizzo: Corso Vittorio Emanuele 13, 20122 | Mezzi pubblici Duomo e San Babila
(M1 Rossa, M3 Gialla); San Babila (bus 54, 61); Durini (bus 60, 73)
Un suggerimento: In via Santa Radegonda 16, non bisogna assolutamente mancare la tappa da Luini Panzerotti, storico panificio rosticceria (dal 1888) dove c’è sempre la fila per gustare i famosi panzerotti caldi ripieni, ottima soluzione per uno spuntino di mezzogiorno (lun 10-15, mar-sab 10-20).

(111 luoghi di Milano che devi proprio scoprire, di Giulia Castelli Gattinara, Casa editrice Emons)

Corso Como 10
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Corso Como 10

La casa di ringhiera della gallerista
Fashion, internazionale e, diciamolo pure, un tantino snob, corso Como 10 è lo spazio cittadino della nota gallerista milanese Carla Sozzani, un concept-store che all’epoca era molto innovativo, si parla della fine degli anni ’80, ancora oggi di tendenza per calciatori, modelle e celebrità di vario genere, anche grazie alla discoteca Hollywood molto vicina.
Con ristorante, caffè, libreria d’arte e un fantasioso bazar di oggetti e curiosità modaiole, vorrebbe essere anticonvenzionale, ma ormai non lo è più tanto, anche per via del quartiere completamente trasformato dai nuovi grattacieli.
Atmosfera da vecchia casa di ringhiera, interpretata con gusto e design moderno, un salotto da godere senza soggezione, affollato, accogliente, costoso, ma basta prendersi un caffè e si può sprofondare in un coloratissimo sofà, standosene per ore a chiacchierare con la propria amica. L’ingresso è appena accennato da un discreto portoncino incorniciato dall’edera. Per entrare nel cortile quasi s’inciampa tra le piante e i vasi sparsi in apparente disordine. L’originalità si percepisce dalle piccole cose, dai vasi appunto, ceramica a strisce, a pois, a quadretti. La gente ci viene per l’happy hour, siede ai tavolini all’aperto e vorrebbe non andarsene più via.
Ma prima di farlo, conviene esplorare tutti gli spazi di questa originale palazzina d’epoca, dal pavimento in resina colorata che imprigiona qua e là conchiglie e frammenti di mare, alle sculture che giocano con lo spazio. Al piano superiore, la libreria e la galleria fotografica, vera passione della signora.
Ciliegina sulla torta, quando è aperta, la terrazza sul tetto che quasi nessuno conosce: un po’ disordinata e piena di piante proprio come una terrazza casalinga, è un belvedere anticonvenzionale e di charme sullo skyline di piazza Gae Aulenti. Spicca il grattacielo dell’Unicredit dietro la linea delle case di ringhiera della vecchia Milano che resiste.

ndirizzo: Corso Como 10, 20154 | Mezzi pubblici Porta Garibaldi (M2 Verde)
Orari Lun-dom 10:30-19:30 (giovedì e sabato fino alle 21). Bar e ristorante 11-01
Un suggerimento: In corso Como 15 c’è la discoteca Hollywood, famosa per la sua community di celebrità provenienti dal mondo del calcio, della televisione e della moda. Basta vedere sul sito internet, per rendersi conto del tipo di clienti (www.discotecahollywood.it).

(111 luoghi di Milano che devi proprio scoprire, di Giulia Castelli Gattinara, Casa editrice Emons)

Villa Invernizzi
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Villa Invernizzi

Il cortile dei fenicotteri del produttore di formaggini
Come descrivere la sorpresa d’incontrare un gruppo di fenicotteri nel centro di Milano? Passeggiano a due passi da corso Venezia, tra i grandi alberi di magnolia al di là della cancellata di ferro che circonda il giardino di villa Invernizzi.
Sì, proprio la casa dell’inventore dei formaggini Mio, quelli che tutti i bambini hanno assaggiato nella loro infanzia. Se ne stanno ritti su un’unica gamba, con il collo piegato mentre si spulciano il piumaggio rosa, affondando il becco ricurvo come se fosse la posizione più comoda del mondo.
Un incontro davvero inaspettato benché Milano, si sa, è imprevedibile e spesso rivela la sua originalità proprio nei salotti e nei cortili privati. Che in questo caso, per fortuna, sono anche in parte pubblici e consentono di ammirare i fenicotteri dal marciapiede. Una piccola folla di curiosi e di famigliole con bambini si assiepa ogni giorno alla cancellata della villa. Tanto più che il vecchio zoo dei giardini pubblici è chiuso da tempo.
La colonia si trova perfettamente a suo agio, affidata alle cure del custode che prepara gustosi manicaretti a base di crostacei. Un’alchimia delicata, perché basterebbe sbagliare dieta e gli uccelli perderebbero l’affascinante pigmentazione rosa del piumaggio.
Ormai si sono perfettamente adattati e non dimostrano alcuna intenzione di volare via. Anzi, si riproducono al tal punto che periodicamente, quando diventano troppo numerosi, l’équipe di veterinari che li segue sfoltisce il gruppo con un trasferimento in altre sedi.
Oggi quelli che si vedono sono tutti nati in cattività, ma i loro progenitori provenivano dall’Africa (Phoenicopterus roseum) e dall’America Latina (Phoenicopterus chilensis ).
La frescura in estate è garantita da un laghetto. Insomma un’oasi esotica nel cuore di Milano che sopravvive per volontà testamentaria del cavalier Invernizzi. Il cortile dei fenicotteri è ormai un patrimonio della città.
Indirizzo: Via Cappuccini 3, 20122 | Mezzi pubblici Palestro (M1 Rossa); Monforte/ Donizetti (bus 54, 61)
Un suggerimento: All’angolo con via Vivaio vale la pena soffermarsi davanti alla casa Berri-Meregalli progettata all’inizio del Novecento dall’architetto Giulio Ulisse Arata, per la straordinaria ricchezza decorativa, con mosaici e figure policrome, che rappresenta la fase finale dell’esperienza del liberty.
(111 luoghi di Milano che devi proprio scoprire, di Giulia Castelli Gattinara, Casa editrice Emons)

(Foto di

Dialogo nel buio
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Dialogo nel buio

A occhi chiusi per vedere lontano
Una passeggiata nel buio per scoprire il sorprendente mondo degli ipovedenti, pieno di vita, di rumori, di odori e di materia. Impacciati come bambini ai loro primi passi, si attraversano ambienti familiari che si fa fatica a riconoscere: un prato d’erba, una strada urbana, un giardino pubblico. E mentre si procede a tentoni nell’oscurità, pestando i piedi agli altri e manovrando in modo maldestro il bastone tra continui “mi scusi” e risate, l’inquietudine si stempera. Forse perché non ci si è mai visti prima – e non ci si vede neppure adesso – ci si sente tutti amici.
La ragazza cieca che fa da guida gioca la sua carta, rassicura e mette alla prova la nostra percezione, suggerendoci: tocca il pelo arruffato del cavallo, annusa l’odore di un frutto, sali in barca ma fai attenzione alla scaletta perché se cadi l’acqua c’è davvero. Nel caos cittadino, tra il suono dei clacson e il rumore dei tram, ce n’è per tutti. Lo spazio si riempie anche di insidie, perché no? Bisogna farci i conti, anche se qui ci troviamo in un ambiente protetto.
E lentamente l’oscurità si svela. Il nero non è affatto un “vuoto” ma un “pieno” di oggetti, di personaggi, d’incontri che suscitano emozioni. Profumi a cui normalmente non si fa caso rivelano la presenza dell’erba, così come la corteccia liscia o ruvida di un albero distingue un pino da una betulla.
Quando si costeggia un muro, l’improvvisa corrente d’aria fa percepire il buco di una porta aperta. Non è una realtà differente, ma la riscoperta di un mondo familiare, solo visto con altri occhi che si chiamano tatto, udito, olfatto e gusto.
A proposito di quest’ultimo, la prova sensoriale più difficile è mettere lo zucchero dentro (e non fuori) la tazzina del caffè. Una volta giunti al Cafènoir, la paura del buio è ormai esorcizzata, resta solo da pagare lo scontrino.
Vi eravate mai accorti che la moneta da 50 centesimi è più grande di quella da un euro?

Indirizzo: Istituto dei Ciechi, via Vivaio 7, 20122 – tel. 0276394478, www.dialogonelbuio.org | Mezzi pubblici Palestro e San Babila (M1 Rossa); Monforte/Donizetti (bus 54, 61) | Orari Visite guidate, inverno mar-mer 9:45-16,
gio-ven 9:45-16/18:30-20:30, sab 14:15-21, dom 11:15-18:15; estate mar-mer 14:30-18:30, gio-sab 14:30-20:30
Un suggerimento: Il Cafènoir all’interno dell’istituto è un’esperienza molto speciale per bere un aperitivo al buio, con gli amici, accompagnati da musica live (gio-sab a partire dalle ore 19).

(111 luoghi di Milano che devi proprio scoprire, di Giulia Castelli Gattinara, Casa editrice Emons)

Il Jamaica
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Il Jamaica

Ritrovo bohémien degli artisti di Brera
Se si vuole respirare l’aria di Brera, quella dei giovani artisti, creativi e spesso squattrinati, l’unico locale rimasto autenticamente bohémien è il Jamaica, rilevato da Carlo Mainini nel 1911. Difficile individuarlo oggi, perché è letteralmente assediato da un’infinità di bar e bistrot per turisti che invadono con i loro tavoli e ombrelloni i marciapiedi di via Brera.
Vicinissimo all’Accademia di Belle Arti, lo storico locale era il ritrovo di avventori creativi e sregolati che tiravano in lungo la notte davanti a un bicchiere di vino e non disdegnavano frequentare il vicino bordello di via dei Fiori Chiari 17 (con l’elegante scalinata liberty all’ingresso).
Ma durante il giorno, il caffè Jamaica si trasformava e assumeva un aspetto tutto perbene. Per il cappuccino arrivavano professori dell’Accademia e direttori di giornali, perfino Mussolini quando dirigeva Il Popolo d’Italia.
Nel ’48 la gestione passò al figlio Elio che lo trasformò in un luogo d’incontro di artisti e letterati, cominciando a organizzare mostre (una tradizione che continua ancora oggi) che richiamavano personaggi come i poeti Quasimodo e Ungaretti, gli artisti Ennio Morlotti e Lucio Fontana, gli scrittori Nanni Balestrini e Antonio Recalcati, il fotografo Ugo Mulas e il commediografo Dario Fo.
Oggi la tradizione di famiglia prosegue con Micaela, rimasta fedele allo spirito originario del locale. Ritroviamo il vecchio bancone di legno, i pavimenti consunti e, soprattutto, i prezzi di un bar di quartiere che non se la tira perché è a Brera. Grazie a lei il Jamaica resiste, ostinatamente, senza lasciarsi sedurre dalla modernità.
Angolo di una Milano in via d’estinzione, dove si può mangiare una cotoletta alla milanese alle due del mattino e parlare di cultura. L’unica novità, il ristorante al piano superiore con le foto in bianco e nero degli anni Cinquanta, quando qui si giocava a carte scommettendo soldi e anche opere d’arte.


Indirizzo: Via Brera 32, 20121 – tel. 02876723, www.jamaicabar.it | Mezzi pubblici Montenapoleone (M3 Rossa), Lanza (M2 Verde); San Marco (bus 61) | Orari Lun-dom 8-2
Un suggerimento: Al n.13 di via dei Fiori Scuri c’è ancora la scritta in terracotta dell’antica farmacia rilevata da Carlo Erba nel 1837 che qui fondò la prima casa farmaceutica italiana, conducendo importanti ricerche anche sulla cannabis.

(111 luoghi di Milano che devi proprio scoprire, di Giulia Castelli Gattinara, Casa editrice Emons)

Le strade del liberty
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Le strade del liberty

Le facciate artistiche del nuovo secolo
Il nuovo secolo è il Novecento, quando il potere economico passa agli imprenditori e alle grandi famiglie industriali che formano la nuova borghesia emergente. È l’inizio di una storia che farà di Milano la capitale della finanza italiana.
Irriverenti, all’avanguardia, i nuovi imprenditori sfidano la tradizione facendo costruire in pieno centro storico palazzi eccentrici, fantasiosi, eclettici e bizzarri, decorati all’esagerazione per farne la propria residenza.
Le facciate tra via Malpighi e via Sirtori, in zona Porta Venezia, sono dei veri e propri intarsi di fregi floreali, maioliche policrome, ferri battuti intrecciati e rilievi a tutto tondo. Architetti come Giuseppe Sommaruga e Giovan Battista Bossi fanno tendenza. Insieme a loro lavora una schiera di artisti e artigiani che fanno a gara per sfoggiare con fantasia il nuovo linguaggio, che per l’appunto viene chiamato Art Nouveau. Saltano le vecchie categorie e con grande libertà si mescolano forme neoclassiche, eccessi barocchi e soluzioni razionali moderne. L’iconografia abbonda di spunti naturalistici e di personaggi agresti.
Passeggiando lungo il marciapiede di Casa Galimberti non si ha certo l’impressione di essere soli, a fianco di ogni finestra leggiadre coppie di figure femminili e maschili, incorniciate da alberi e filari d’uva, rivolgono il loro sguardo alla strada con sinuoso ammiccamento. Provocazione mondana di una classe dirigente che non ha soggezione nei confronti del passato e della blasonata nobiltà, ama i modi sregolati e irriverenti del liberty, ne apprezza lo stile non convenzionale e l’uso di materiali innovativi come il cemento, il ferro battuto, il vetro e la ceramica.
L’Esposizione Universale del 1906 diventa la vetrina di una città rinnovata, proiettata verso il futuro, ma anche vanitosa e mondana. Le strade dei nuovi ricchi si popolano di colori, ornamenti e sculture, che vi accompagnano e vi fanno compagnia.

Indirizzo: Via Marcello Malpighi 3, 20129, www.duomomilano.it | Mezzi pubblici Porta Venezia (M1 Rossa, tram 3); Oberdan (tram 9)
Un suggerimento: In via Paolo Frisi 2, angolo via Melzo, c’è la Biblioteca Comunale Venezia all’interno della palazzina liberty inaugurata nel 1910 per ospitare uno dei primi cinematografi di Milano.
(111 luoghi di Milano che devi proprio scoprire, di Giulia Castelli Gattinara, Casa editrice Emons)

La Martesana
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La Martesana

In bicicletta lungo il Naviglio di Leonardo da Vinci
Un tempo c’erano i Navigli, oggi ci sono le piste ciclabili. La più gettonata è quella della Martesana che corre lungo l’antico canale di collegamento tra Milano e il fiume Adda, a est della città. Questo significa che si può pedalare ininterrottamente dai grattacieli di Porta Nuova fino a Lecco, sul lago di Como.
Basta seguire il fiume, ammirare le conche disegnate da Leonardo da Vinci nel famoso Codice Atlantico, i castelli viscontei, le prime centrali idroelettriche del Novecento, pedalare sotto il ponte di Paderno d’Adda, ardita opera di ingegneria che con un’unica campata di ferro collega le due rive della gola, e a Imbersago salire sul traghetto disegnato dal maestro del Rinascimento, l’unico ancora in funzione che sfrutta il movimento dell’acqua.
Per poter godere di tutto questo, basta arrivare in fondo a via Melchiorre Gioia, all’altezza di Cassina de’ Pomm, la vecchia locanda col glicine rampicante dove oggi si trova il Caffè Martesana. Qui il vecchio Naviglio riemerge a cielo aperto, fiancheggiato dalla pista ciclabile. Viene chiamato anche Naviglio Piccolo e in 38 km affronta un dislivello di 19 metri, che veniva superato dalle imbarcazioni gra- zie al sistema delle conche leonardesche.
La barca entrava in una roggia laterale, le porte si chiudevano e veniva immessa o tolta acqua fino a raggiungere lo stesso livello del canale esterno. Il tratto fino a Cassina de’ Pomm fu inaugurato nel 1471, mentre quello che entrava in città (attualmente interrato) collegandosi alla navigazione interna al Tombòn de San Marc (Brera), fu ultimato nel 1496.
Erano gli anni in cui Leonardo era ospite degli Sforza. Nel Cinquecento il Naviglio nella campagna lombarda era come la ferrovia nel Far West americano dell’Ottocento. Cascine, borghi, ville patrizie e locande cominciarono a sorgere una dopo l’altra fino a disegnare il paesaggio di oggi, apprezzato nel weekend da intrepide famiglie di ciclisti.

Indirizzo: Via Tirano, 20125 Milano | Mezzi pubblici Gioia/Tirano (bus 43, 81)
Un suggerimento: In via Cristoforo Gluck 45 si trova il Museo del Manifesto Cinematografico Fermo Immagine, luogo di ritrovo per appassionati che propone incontri, mostre e rassegne cinematografiche. All’interno c’è il Caffè degli ignoranti, una biblioteca e un archivio permanente di poster che hanno colorato il paesaggio urbano entrando nel nostro immaginario (www.museofermoimmagine.it, orario: mar-dom 14-19).

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La terrazza del 39° piano
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La terrazza del 39° piano

La sfida dei grattacieli all’ombra della Madonnina
I lavori della Veneranda Fabbrica del Duomo, cominciati alla fine del XIV secolo, si considerarono conclusi solo nel 1774 quando in cima alla guglia più alta venne posizionata una Madonnina dorata, da subito considerata il simbolo della città.
I milanesi nutrirono e nutrono tutt’ora una speciale venerazione per la “signora”, al punto che venne stabilito che nessuno avrebbe potuto costruire un edificio più alto del Duomo. La cosa fu addirittura sancita nero su bianco da una legge emanata negli anni Trenta del secolo scorso: un vincolo non da poco, dato che ha impedito alla torre Branca nel ’33 e alla torre Velasca nel ’58 di superare i fatidici 108,5 metri di altezza.
Solo nel 1960, grazie all’inarrestabile incalzare dell’architettura moderna e a un astuto stratagemma, si riuscì finalmente a infrangere la regola. Gio Ponti aveva progettato per la Pirelli un grattacielo alto 127 metri, noto ai milanesi come il “Pirellone”, che all’epoca prometteva addirittura di essere l’edificio più alto d’Europa. Per non smentire il primato d’altezza della Madonnina, il 4 aprile 1960, giorno dell’inaugurazione, se ne pose una copia sulla terrazza del grattacielo: il simbolo era salvo.
Recentemente una terza Madonnina è stata posizionata al 43° piano del palazzo della Regione Lombardia, grattacielo di 161 metri che sorge a Porta Nuova, nel quartiere ormai trasformato da avveniristiche architetture, tanto per non smentire il detto milanese per il quale ogni cosa avviene “all’ombra della Madonnina”.
Dal 39° piano di questo palazzo si gode una spettacolare veduta a 360 gradi della città e, se si ha un binocolo, si può osservare la Madonnina numero 2 poco sotto il tetto del vecchio Pirellone. In realtà, contandole tutte, le madonnine sono 15. Una si trova tra le case popolari di via Val Bona 2.
C’è persino chi l’ha portata in Himalaya, sul tetto del mondo, e chi a Gerusalemme sul tetto dell’università ebraica.

Indirizzo: Ingresso dal nucleo NIP, piazza Città di Lombardia (ang. via Francesco Restelli), 20121 – tel. 0267651 | Mezzi pubblici Gioia (M2 Verde), Isola (M5 Lilla); Gioia/Galvani (bus 43, 60) | Orari Dom 10-18
Un suggerimento: In via Melchiorre Gioia 35 sotto al grattacielo della Regione, c’è il nuovo locale Backery, con uno chef internazionale e maestro pasticcere di scuola siciliana. Particolarità, i giardini verticali all’interno (lun-sab 7-24,
dom 7-18:30).

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San Maurizio al Monastero
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San Maurizio al Monastero

Tutti i colori della clausura
Costrette a una vita da recluse all’interno del convento, le erudite monache del monastero benedettino di San Maurizio rallegravano la loro esistenza appartata viaggiando con gli occhi sulle magnifiche scene affrescate che rivestono le pareti interne della chiesa.
Entrando nella chiesa, si comprende immediatamente come mai venga definita la “Cappella sistina” di Milano. A due passi dal Cenacolo di Leonardo da Vinci (il maestro era allora impegnato a dipingere la Vergine delle rocce), il monastero di San Maurizio aveva richiamato per le sue decorazioni i migliori artisti della scuola lombarda allora disponibili, tra i quali Bernardino Luini. Non c’è da stupirsi, dato che tra gli sponsor del convento c’era Ippolita Sforza, nipote del duca di Milano Ludovico il Moro e moglie di Alessandro Bentivoglio, che aveva destinato alla clausura ben quattro delle sue figlie femmine. C’è invece da stupirsi di non trovare la fila all’ingresso di fronte a un tale capolavoro di pittura rinascimentale. Interamente colorato a tempera, il ciclo di affreschi raffigura numerose scene bibliche, paesaggi agresti, episodi riferiti alla storia della Chiesa o a personaggi potenti del casato della badessa.
La migliore aristocrazia femminile venne rinchiusa in questa prigione d’oro che comunicava con l’esterno tramite un unico sportellino posto nella parete divisoria. La chiesa, infatti, di cui una pietra riporta la data del 1503, era costituita da un’unica navata interrotta a metà da un tramezzo dipinto, che tuttavia non arrivava fino al soffitto, in modo che le monache potessero assistere alla messa senza vedere né essere viste all’esterno. Viceversa, da fuori si ascoltavano i canti polifonici delle voci femminili del coro, accompagnate dall’organo a canne dell’Antegnati, cinquecentesco anche lui. Un destino di clausura che sembra perseverare ancora oggi, dato che molti ignorano la bellezza che si cela al di là del muro.

Indirizzo: Corso Magenta 13, 20123 | Mezzi pubblici Cordusio e Cairoli (M1 Rossa); Cadorna (M2 Verde); Meravigli (tram 16, 27); Largo D’Ancona (bus 50, 58, 94) | Orari Mar-dom 9:30-17:30
Un suggerimento: Di fronte c’è la bella facciata barocca di Palazzo Litta, costruito a metà del Seicento da Francesco Maria Richini per il conte Bartolomeo Arese, uno degli uomini più influenti di Milano. All’interno un sistema di cortili e un sontuoso scalone d’onore che conduce al piano nobile, oggi sede delle Ferrovie dello Stato.

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Terme di Milano
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Terme di Milano

Relax stile liberty tra le mura spagnole
A Porta Romana, nel traffico caotico di macchine, semafori e tram che cigolano sulle rotaie dissestate, nulla farebbe immaginare l’esistenza di un luogo di grande relax dietro le mura spagnole, un vero e proprio giardino del benessere.
Costruita a fine ’800 come deposito per i tram, poi teatro e sala da ballo, la palazzina liberty delle terme si nota a stento, con la sua architettura modesta, appena ingentilita dai fregi in ferro battuto. Dentro però la musica cambia.
Dall’androne si snoda un corridoio con un via vai di coppie in svolazzante accappatoio bianco e infradito ai piedi, quindi si passa all’elegante sala da tè dove viene servito un buffet all’insegna di frutta, yogurt e tisane rilassanti con qualche aggiunta gustosa all’ora dell’aperitivo. Ma prima di concedersi innocenti peccati di gola, comunque light, conviene scendere i gradini e immergersi nei fasti dell’antica Roma.
Si comincia dal tiepidarium per passare al calidarium, le vasche geyser, e finire nella piscina che misura il relax in base ai colori cangianti. Da un ambiente all’altro, molte le possibilità per trascorrere ore piacevoli: dai fanghi ai massaggi, dall’hammam alla sauna, dalle cascate d’acqua all’idromassaggio. Tutto accompagnato da charme e musica classica di sottofondo.
Nelle belle giornate il dehors all’aperto, circondato dalle possenti mura cinquecentesche, è un’affollata prigione dorata con tre differenti piscine, molte sdraio e asciugamani per prendere il sole che purtroppo a Milano, dato lo smog, non è un granché. A ripulire l’aria ci pensano però le aiuole fiorite e i ciuffi di piante aromatiche, allori, rosmarini e rose.
Ma cosa ci fa un vecchio tram arancione parcheggiato in mezzo al prato? È in realtà una bio-sauna che raggiunge i 70°. Voglio proprio vedere se dopo la sauna ce la farete poi a tuffarvi nella piscina all’aperto di 15°. Certo, farà anche bene alla circolazione, però...

Indirizzo: Piazzale Medaglie d’Oro 2 (ang. via Filippetti), 20135 – tel. 0255199367, www.termemilano.com | Mezzi pubblici Porta Romana (M3 Gialla, tram 9 e bus 62, 77) | Orari Lun-gio 9:30-23, ven 9:30-0:30, sab-dom 8:30-0:30 con prima colazione a buffet
Un suggerimento: Porta Romana era uno dei sei varchi principali lungo il perimetro dei bastioni che, visti dall’alto, formano un cuore la cui punta è qui. Secondo la leggenda, la porta venne eretta da Filippo III di Spagna in omaggio all’arrivo della futura sposa Margherita d’Austria (1596).
(111 luoghi di Milano che devi proprio scoprire, di Giulia Castelli Gattinara, Casa editrice Emons)

La Rotonda della Besana
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La Rotonda della Besana

Il colosseo dei bambini nell’antico cimitero
È strana Milano, gli edifici architettonici più rappresentativi della città sembrano essere i cimiteri. Comunque, qualunque sia la sua storia, la Rotonda della Besana è un capolavoro di eleganza e proporzioni con quel porticato ellittico che circoscrive la piazza intorno alla chiesa di San Michele ai Nuovi Sepolcri. Anche se venne costruita all’inizio del Settecento come foppone (“grande fossa”) del vicino Ospedale Maggiore.
Dall’esterno pare un anfiteatro romano, con un perimetro di mattoni privo di spigoli che chiude la vista all’interno. Ma se fosse possibile osservarlo dall’alto ci si accorgerebbe subito che non è un cerchio, ma un quadrilatero con gli angoli arrotondati. E una vera meraviglia ci coglie se ci affacciamo all’interno, dove scopriamo una successione di colonne e archi che scandiscono lo spazio perimetrale. Una lezione del Bramante? No, un edificio tardo barocco progettato dagli architetti Attilio Arrigoni e Francesco Croce come cimitero dei poveri, poi trasformato da Napoleone in caserma, fienile, scuderia, cronicario e magazzino.
Tornato infine alla città, oggi è la sede del MUBA, il museo laboratorio per i bambini, ma è aperto a chiunque abbia voglia di godere un po’ di pace dentro le mura isolate dal traffico che scorre intorno.
Dentro c’è un caffè, il bistrot e la libreria dove cercare per i propri figli un libro intelligente che non sia il solito Peppa Pig. Tantissime le iniziative, dall’atelier del design al laboratorio della narrazione, dalle scatole della memoria alle sperimentazioni teatrali.
Frugando nei contenitori disposti sugli scaffali si trovano un’infinità di materiali, perline, colle, cartoni, pezzi di ferro, legnetti, fibre con cui creare collage e solleticare le antenne dei cinque sensi. Stimoli sonori, associazioni cromatiche, riutilizzo di elementi di scarto: ecco gli utensili per una sfida alla creatività e per passare un pomeriggio in cui saranno i bambini ad accompagnare gli adulti.

Indirizzo: Via Enrico Besana 12, 20123 – tel. 0243980402, www.muba.it | Mezzi pubblici Monte Nero/Spartaco (tram 9); Corso Porta Vittoria/Camera del Lavoro (tram 12, 23, 27 bus 60, 73); Besana (bus 77, 84) | Orari Lun 9:30-15:30, mar-ven 9:30-18:30, sab-dom 10-19 (per i laboratori consultare il sito)
Un suggerimento: In piazza Cinque Giornate 4 c’è la storica Gelateria Umberto, un’istituzione per i milanesi. Pochi gusti e molta qualità, se non è troppo affollata ci si riesce pure a sedere (mar-dom 14-23).
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Il quartiere Maggiolina
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Il quartiere Maggiolina

Le case fungo, un singolare esperimento abitativo
Nel tratto dei viali extraurbani che vanno verso nord, realizzati all’inizio del Novecento per collegare Milano a Monza, si trova un’area residenziale che sorprende per la bellezza e la stravaganza delle sue case: la Maggiolina e l’attiguo Villaggio dei Giornalisti, così chiamato perché a costruirlo fu una cooperativa di editori, scrittori e giornalisti.
Tutto nacque in seguito a un polemico editoriale pubblicato nel 1911 dal direttore de Il Secolo, nel quale si denunciava come l’attenzione del governo fosse concentrata solo sulle masse operaie e sull’urbanistica popolare, mentre scarseggiavano i quartieri della media borghesia.
Oggi la Maggiolina è una pittoresca città giardino con le stradine silenziose su cui si affacciano belle villette liberty, i muri decorati da arabeschi, i giardini e gli alberi ormai cresciuti che incorniciano torrette e balconi. Qui si respira un’atmosfera d’altri tempi, lontana, psicologicamente e acusticamente, dal traffico e dai chiassosi centri commerciali del vicino viale Zara.
Villa Mirabello è un magnifico esempio di cascina suburbana del Quattrocento, ora sede di uffici privati, fortunatamente visibile dall’esterno girando intorno alla recinzione. L’esperimento urbanistico più originale è però in via Lepanto, a ridosso dei binari della ferrovia, dove l’ingegnere Mario Cavallè costruì nell’immediato dopoguerra delle casette a forma di fungo e di igloo.
Il progetto era meno bizzarro di quanto oggi possa sembrare. L’idea era infatti quella di costruire unità abitative provvisorie, per dare una risposta veloce ai bisogni delle famiglie sfollate la cui casa era stata bombardata. Ma le casette a cupola con intorno il giardinetto erano talmente graziose che rimasero. Sono tutt’ora abitate benché negli anni Sessanta se ne sia paventata la demolizione. Fu l’architetto Luigi Figini, che abitava nello stesso quartiere, a mobilitarsi per evitare che venissero abbattute.

Indirizzo: Via Lepanto e via Villa Mirabello, 20125 | Mezzi pubblici Marche e Istria (M5 Lilla); Farina (bus 42); Zara/Laurana (tram 5, 7)
Un suggerimento: A pochi metri dalle case fungo, in via Perrone di San Martino 8, l’architetto Luigi Figini progettò negli anni ’30 la sua villa in stile razionalista, detta “Palafitta” perché eretta su pilastri.

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Ostello Bello
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Ostello Bello

Incontrarsi al Carrobbio
Se via Torino è diventata una delle strade più commerciali della città, da Zara a Muji, da Fnac a McDonald’s, molte sono le tracce che qui più che altrove ricordano la vecchia Milano. Alcune botteghe resistono con una sola vetrina, dal cartolaio all’orologiaio, anche se fanno quasi tenerezza, mentre la vecchia carrozza gialla del tram, presente dal 1881, cigola sulle rotaie sconnesse aggiungendo decibel al traffico già caotico.
Il quartiere del Carrobbio, considerato malfamato ai tempi del Manzoni, oggi si trova in pieno centro a due passi dal Duomo, ed è talmente affollato che si fa fatica perfino a camminare a piedi. Il nome proviene dalla parola latina quadrivium, cioè incrocio, perché qui s’incrociavano le strade che univano la periferia al centro cittadino.
Oggi è meta di shopping, coi marciapiedi che traboccano di ragazzi e qualche borseggiatore pronto ad approfittarne. Per questo il richiamo della stradina che conduce all’Ostello Bello è irresistibile: una viuzza silenziosa e priva di vetrine, quasi unmiracolo. Si entra nell’ostello e ci si siede su casse di legno da imballaggio che contengono asciugamani e lenzuola, mentre le pareti sono tappezzate di pagine di giornale incollate e graffiate in un vero e proprio collage. Geniale strategia per mascherare i muri sporchi, come spiega Pietro, uno dei ragazzi che gestisce l’ostello.
Dieci stanze con bagno e aria condizionata, 56 posti letto, tre terrazze e un salottino underground con chitarre, ping-pong e calcio balilla. Il tutto arredato con originale minimalismo. Ambiente fric- chettone che all’ora dell’aperitivo si riempie di avventori, soprattutto forestieri stanchi dopo aver camminato per ore in giro per la città.
Si è sparsa la voce che il buffet dell’happy hour sia abbondante e addirittura gratuito per i clienti dell’ostello, tanto che gli ospiti l’hanno battezzato la “cena gratis”. Ecco, questa è l’ospitalità del Carrobbio.

Indirizzo: Via Medici 4, 20123 – tel. 0236582720/3342610356, www.ostellobello.com | Mezzi pubblici Duomo (M1 Rossa e M3 Gialla), S. Ambrogio (M2 Verde); Correnti/ Carrobbio (tram 2, 14)
Un suggerimento: In via Torino, vicino al n.32, c’è il Tempio Civico di San Sebastiano con gli stemmi dei rioni della città, chiamati porte: Romana (rosso), Ticinese (panchetto), Venezia (leone), Vercellina (fascia rossa e bianca), Comasina (scacchi rossi e bianchi), Nuova (4 riquadri b/n), Città di Milano (croce rossa su sfondo bianco).

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La copertina del libro

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Il Post è una testata registrata presso il Tribunale di Milano, 419 del 28 settembre 2009 - ISSN 2610-9980