• Libri
  • Martedì 3 marzo 2015

John Cheever, americano a Roma

Feltrinelli ha pubblicato le lettere del grande scrittore americano, tra cui quelle che scrisse in Italia negli anni Cinquanta

Feltrinelli ha pubblicato il libro Le lettere di John Cheever, che raccoglie la corrispondenza privata di uno degli scrittori americani più importanti del Novecento curata dal figlio Benjamin. Nell’intenzione di Cheever le lettere – tradotte nell’edizione italiana da Tommaso Pincio – non dovevano essere destinate alla conservazione, ma essere eliminate da parenti e amici dopo averle lette. Forse proprio per questo la sua scrittura in questi testi ha una leggerezza e una sincerità ancora maggiori di quelle che si trovano nelle pagine dei suoi diari, e attraverso le lettere si compone una specie di autobiografia involontaria dell’autore.

Di seguito alcune lettere scritte da Cheever durante il soggiorno in Italia tra la fine del 1956 e l’autunno del 1957, introdotte dalle note del figlio Benjamin.

***

Avevo otto anni quando prendemmo la nave ed ero completamente all’oscuro della crescente fama di mio padre. Conobbi una giovane donna in uno dei bar a bordo e mi pagò dei ginger ale. Appena udì quale fosse il mio nome – e può darsi che lo sapesse già, il che spiegherebbe i ginger ale – volle accertarsi se mio padre non fosse per caso “John Cheever, lo scrittore”. Io pensavo di no. “Scrive racconti per il ‘New Yorker’?”
Non ne ero sicuro. Aveva una macchina da scrivere, questo lo sapevo.
Be’, disse lei, Cheever non è un nome comune, se ha una macchina da scrivere e vive a New York, deve essere John Cheever “il famoso scrittore”.
“Oh no,” dissi io. “Non può essere lui.”
Quando arrivammo in Italia, Phil Boyer ci spedì alcune lettere firmate da Ezekiel, il nostro Labrador nero.

 

Via del Plebiscito 107 Roma. 17/11/56

Cari Phil e Mini,
Zeke sa scrivere, questo è sicuro. Era dai tempi di Mark Twain, credo, che una stella non brillava nel firmamento letterario. I bambini hanno letto la lettera e riso fragorosamente per circa mezz’ora, quindi sono scoppiati in lacrime e hanno pianto per il resto della serata, gridando: Vogliamo Zeke, vogliamo Zeke.
Al mattino Susie è scesa in uno dei salotti della pensione, pieno di brutti quadri e con l’immancabile servizio da tè mai usato. Aveva portato con sé la lettera e l’ha letta ridendo e piangendo così forte che il direttore le ha chiesto cosa ci fosse che non andava. “È una lettera del nostro cane più piccolo”, ha spiegato Susie e quello stesso pomeriggio ci siamo trasferiti.
Siamo nel Piano Nobile – nell’ala del 17mo secolo – di Palazzo Doria, che è stato costruito per i giganti. C’è soltanto una sedia del salone sulla quale possa sedermi e toccare coi piedi il pavimento e ci sono due sedie dove i miei piedi non pendono nemmeno dal bordo. A volte sembra uno scherzo. A volte sembra un errore madornale. A volte sembra bellissimo. A Mary piace, ovvio. Si distende su queste sedie enormi e sospira; può darsi che stia meditando di scrivere la sua autobiografia. È mezzogiorno di sabato e mi mancate. Andrò nel ripostiglio delle scope e mi farò un cicchetto di gin romano.

Come sempre,
John

***

Francia, Inghilterra e Israele erano in guerra per il Canale di Suez. La rivoluzione in Ungheria fu soffocata dai carri e dalle truppe dell’Unione Sovietica. Mio padre parla dell’Accademia americana di Roma.

Via del Plebiscito 107
Roma, Italia
24 novembre

Cara Josie,
alla fine ci siamo sistemati a Roma, scrivimi tue notizie. Durante il viaggio sono capitate tante di quelle cose che ancora fatico a comprenderne il senso. Riesco a scrivere su argomenti molto specifici quali le rose: la guerra: il gin: le burrasche nell’Atlantico: il sesso: il gioco delle sedie: le rovine, ecc. ma qualunque quadro d’ordine generale trascende le mie possibilità. Penso molto alla guerra quando piove e all’imbrunire, ai romani l’Ungheria sembra molto vicina, ovvio. Parecchi giornali hanno pubblicato mappe nelle quali si mostra come la Russia potrebbe devastare l’Europa in un mese e le storie di evacuazione, occupazione e imprigionamento sono così familiari per gran parte della gente, che la loro ansia può anche essere frutto di una forma di isterismo ma è naturale e intensa. I giornali sono pessimisti e dipingono quadri angosciosi; la gente è bella e allegra; e forse farei meglio a parlare di rose.
Nei Fori le rose sono ancora in fiore e c’è un albero di rose in fiore sul pendio tra Santa Maria Aracoeli e la scalinata che porta al Campidoglio. Sono tuttavia le ultime, l’autunno è arrivato, fa freddo, piove e il cielo non è più luminoso del cielo di New York a dicembre. C’è una grande colonia americana. È divisa in due fazioni: l’Academy e la non-Academy. In entrambe è possibile trovare ottime persone e anche gente fasulla e io sono parecchio intollerante con la gente fasulla. Costa parecchio venire quaggiù e trovare una sistemazione, perciò quando sento qualche idiota fatto e finito cominciare a raccontare storie sull’ultima estate a Cape Cod mi sento come se mi avessero venduto un biglietto per la destinazione sbagliata e mi irrito parecchio.
Troverò comunque il modo di rilassarmi e, nel frattempo, mandami tue notizie.

Saluti,
John

***

La Rocca è una fortezza di pietra; si trova a Port’Ercole.

Via del Plebiscito 107
24 novembre

Caro Bill,
 ero determinato a non scriverti una lettera finché non avessi terminato un racconto, ma ho deciso ti scriverti comunque, visto che il rigore che mi sono imposto nella vita non mi ha mai ripagato. […] Mi manchi. Mi manca la tua persona e i tuoi consigli. È stata una vera gioia ricevere la tua lettera e leggerla sul Corso, come fanno tutti gli americani. Qui gli americani portano tutti il berretto e leggono la posta in strada.
Non c’è persona alla quale mi piaccia più scrivere eppure sembra che mi risulti difficile scriverti una lettera decente. Venendo ai fatti: Ben ha un amico di nome Ronald Aung Din. Credo agli Aung Din piaccia Ben per via della sua carnagione. Sono birmani e non fanno che carezzarlo e dargli pizzicotti. Ben ha passato con loro il Ringraziamento; riso, pesce crudo, brandy e vino. Gli è piaciuto da pazzi. Noialtri abbiamo mangiato panini col salame in cucina e Susie ha pianto. […] Allora ho deciso di comprare un tacchino, il che ha reso tutti felici. Ieri sono andato di nuovo a Grosseto in macchina insieme ai Warren, pioveva. Siamo passati sotto le mure di Tarquinia ma il paesaggio era tetro. Tutto è cambiato una volta giunti sulla penisola dove si erge la Rocca. Era solitaria, simile a quel che mi aspettavo di vedere. Un’anziana signora ci ha preparato un po’ di carne su un braciere e ci ha raccontato della visita di re Farouk a Port’Ercole. Ha sbriciolato col proprio peso il primo orinale su cui si è seduto. Al che una richiesta di orinali si è sparsa per il villaggio. Molti ne sono stati prodotti e provati, ma nessuno è risultato adeguato. Poi, dal porto, è giunto un enorme pentolone di ferro decorato con lo stemma reale. La gente del posto lo ha trasportato per le strade fino all’albergo del re. Risate e lacrime in quantità. Ho passeggiato attorno alla Rocca. I fantasmi sembrano più tangibili dei fantasmi dei Fori. Gli squilli di tromba, il cambio della guardia, il gridìo delle puttane alla Festa delle lavandaie, ecc. Poi ci siamo inerpicati fin sulla Stella, un’altra fortezza, e siamo tornati a Roma nella grandine e nella pioggia.
Un pensiero affettuoso a Emmy e alle bambine, nella speranza che abbiate avuto modo di riposarvi un po’.

Come sempre,
John

***

Via del Plebiscito 107
Roma, ecc.
25 novembre

Caro Malcolm,
ci siamo sistemati qui, nel freddo mediterraneo, che è spaventoso quanto mi avevi preannunciato. Quando splende il sole, è magnifico, ma senza il sole il cielo è scuro quanto i cieli della Grand Concourse e il vento è uguale al vento che soffia sul Riverside Drive. Tossisco e starnutisco mentre me ne vado per la Sacra Via. […]
Harpers mi dice che le bozze del libro saranno pronte la prossima settimana e gli ho chiesto di spedirtene una copia. Se ti piacerà sarò ovviamente contento e se non ti piacerà sono certo che avrai le tue buone ragioni e in ogni caso ti sarò più che grato per avergli dato un’occhiata. Quando l’ho finito mi piaceva, ma è passato molto tempo da allora.
Questo viaggio a Roma è stata la cosa migliore che abbia mai fatto malgrado sia costosa. I bambini hanno sofferto di nostalgia ma adesso è passata. Susie studia come esterna in un convento dove la fanno rigare dritto e Ben frequenta una scuola internazionale dove va d’accordo perlopiù col birmano. Si parla molto di guerra e ora in città abbiamo gli sfollati dal Cairo e i rifugiati da Budapest, la mia conoscenza dell’italiano è però così approssimativa che non riesco a farmi un’idea di quel che succede.
Un pensiero affettuoso a Muriel.

Come sempre,
John

***

Via del Plebiscito 107

Cari Phil e Mimi,
nulla ci rallegra quanto l’avere notizie vostre e di Zeke. Niente grandi pianti stavolta. […] Mi preparo ancora la colazione in mutande in questa specie di Palazzo di Giustizia o Biblioteca Infestata e all’imbrunire la combinazione di lampade dalla luce fioca e gin romano mi fa sentire molto strano. Il gin è terribile. Lo fanno a Torino. La città è volubile: col sole e le fontane che sfavillano è incantevole, quando piove pare di vedere la sequenza di un vecchio film: Capitale Europea alla Vigilia della Guerra. Ognuno ha con sé un ombrello bagnato, ci sono folle ansiose attorno a ogni chiosco di giornali, le sale d’attesa del consolato sono piene di egiziani evacuati che aspettano la posta o una qualsivoglia notizia. L’atmosfera di ansia e desolazione è densa.
È un posto assai poco adatto per fare conversazione, l’eco è tremendo e non puoi SENTIRE nessuno. Al mattino fingo di lavorare e al pomeriggio visito le rovine. Castel San Angelo è la mia meta preferita, ma mi piacciono anche i Fori, che sono molto vicini. È un buon periodo dell’anno per visitare le bellezze locali perché a quanto pare siamo i soli turisti rimasti. Può capitare di imbattersi in un gruppo di tedeschi tenaci, ma sono apparizioni rare e anche un po’ tristi, come le grida delle oche. Le gallerie d’arte sono vuote e così buie che si può camminare per un chilometro senza distinguere la forma di un piede.

Come sempre,
John

***

La raccolta che “Time” avrebbe bastonato si intitolava Stories. Farrar, Straus & Giraud la mandò in libreria nel dicembre 1956 e incluse lavori di Bill Maxwell, Denny Fuchs e Jean Stafford, oltre che di mio padre. Era stato chiesto a J.D. Salinger di fare parte del libro, ma lui declinò l’invito e propose Bill.

Via del Plebiscito 107
Roma
7 dicembre [1956]

Caro Bill,
[…] Credo che la sala sia grande quanto tutto il Century Club. Anche la nostra stanza da letto è grande e ha un bel soffitto, ma non molto altro. Alle spalle della sala c’è un lungo corridoio e un grande salotto con una scalinata e uno specchio. Le stanze dei bambini sono piccole e si arriva in cucina attraverso un intrico di cunicoli bui. Non abbiamo aiuto in casa, il che significa che io o Mary spazziamo la sala, apriamo la porta al lattaio, rifacciamo i letti e prepariamo da mangiare nella cucina male illuminata. Tuttavia ieri è venuta una cameriera e ora la si può vedere sollevare biblici nuvoloni di polvere in mezzo alla sala. L’italiano di Mary è splendido – buono al punto che può nascondermi molte cose. Vado a studiare in un posto chiamato La Società Nazionale Dante Alighieri. L’insegnante è una donna tarchiata e dai capelli grigi, indossa un vestito con una grossa spilla di ametista e ha una gamba offesa. Neppure il tempo di arrivare a metà lezione e lei è già ricoperta di polvere di gesso dalla testa ai piedi. Per imporre il silenzio, fa psssst.
Mary adora il palazzo e non ha le nausee. I miei sentimenti riguardo il luogo sono ancora contraddittori. Il posto scoraggia qualunque descrizione anche solo pacatamente spiritosa della sua vastità e dei suoi fastidi. Chi viene resta sempre impressionato – il che mi dà gusto – ma in generale non ci do peso. In una lettera di ieri spedita da Philadelphia, una signora – un’estranea – mi ha detto che Time ha bastonato i miei racconti e se così è spero che gli altri inclusi nella raccolta non ne abbiano sofferto. Ho fatto una passeggiata fino a Piazza esedra e ho comprato una copia del Time, ma era il numero sbagliato e così non saprò mai. La città è mutevole. Ieri il vento soffiava dalle montagne – c’era una nebbia triste e avrei tanto voluto fare le valigie e tornare a casa. Oggi, col sole, è una meraviglia. Sembra di essere in maggio e tutte le finestre sono aperte. Nel giro di un paio di giorni dovrei finire un racconto; me ne torno al lavoro.

Come sempre,
John

***

Questa lettera era indirizzata a Mary Dirks. John e Mary sono amici di famiglia da molto tempo. Il padre di John creò la striscia a fumetti Bibì e Bibò e John la proseguì fin quando non è andato in pensione. John è anche uno scultore e faceva parte del gruppo di uomini coi quali mio padre pranzava regolarmente. Il gruppo era noto come il Club del Venerdì. Mary Dirks e mia madre insegnarono insieme al Briarcliff College.

Via del Plebiscito 107
Roma
17 dicembre

Cara Mary,
ci hai scritto una bella lettera rendendoci tutti felici, ed è a questo che dovrebbero servire le lettere. Di solito siamo abbastanza felici ma non è come a Scarborough e cercherò di dirti quel poco che so della vita sociale nella Vecchia Roma. Per cominciare, ce n’è fin troppa e non sono certo della sua qualità ma può darsi che io sia una persona troppo negativa per fare considerazioni adeguate ma ci proverò. Ieri, per esempio. Siamo stati a una festa di Natale data da certe persone che chiameremo gli Snodgrass e vivono in un palazzo del quindicesimo Secolo che chiameremo Palazzo Snodgrass. Questi Snodgrass sono di Chicago e pieni di soldi. Era una festa per adulti che hanno bambini. Era stato chiesto al topolino di Ben di esibirsi, perciò ho portato Ben prima. Gli Snodgrass vivono vicino al nostro palazzo, in pratica svoltato l’angolo, e per arrivarci bisogna passare davanti ai resti di un tempio. Lo specifico per dare una nota di colore. A ogni modo arriviamo sul posto alle quattro e vi troviamo la padrona di casa e gli amici più stretti che ripassano le battute di uno spettacolo, una specie di commedia dell’arte con marionette veneziane. Non ci sono parole per descrivere questi palazzi. Le stanze si estendono per chilometri e non c’è soffitto sul quale non sia stato dipinto qualcosa. Da bere c’era un fiacco punch allo champagne. Come segnalatoci dalla padrona di casa, i maggiordomi italiani non vengono a servirti da bere. Sei tu che devi andare alla scodella. È poi entrato un pianista assoldato dagli Snodgrass che ha cominciato a suonare musica da cocktail. La roba che senti a Manhattan est, all’altezza della cinquantesima, la suonano anche a Roma. Io ho preso posizione accanto alla scodella del punch e a poco a poco gli altri ospiti hanno cominciato ad avvicinarsi. A ogni bambino è stato dato un berretto di pelliccia e un cono gelato. Quasi tutte le donne erano divorziate. Qui quest’anno vanno i vestiti molto stretti e sarebbe bastata la tensione dei busti di un’unica sala a eguagliare la potenza di un’esplosione atomica. Se avessi lasciato cadere un migliaio di dollari sul pavimento non ci sarebbe stata signora in grado di chinarsi per raccoglierli. Attorno alle sei ha avuto inizio la commedia – in italiano, s’intende. Poi si è esibito il topo di Ben, dopodiché si è chiuso il sipario, a scatti, come in ogni teatrino di marionette. Si è poi riaperto su uno scenario innevato nel quale aleggiava un angelo, al che ci siamo alzati in piedi e abbiamo cantato Silent Night e Jinglebells. È stato bello, folle e triste – tutte quelle voci americane stridenti che si levano verso le travi dorate alle note di Jinglebells. Qualche divorziata ha pianto. Dopodiché le luci si sono accese e la festa, per così dire, è cominciata ma io ero annoiato e sono tornato a casa. Ci siamo fermati in un fornaio per comprare qualche cornetto per colazione. Il fornaio ha tirato fuori dalla gabbia il topo di Ben per spaventare la moglie. Era un autentico donnone e non s’è spaventata affatto, ma ha comunque concesso un gran numero, si è nascosta dietro i banconi lanciando grida che hanno indotto a entrare un bel po’ di passanti; è stato divertente. Questa, coi suoi alti e bassi, è una tipica serata dalle parti di via del Plebiscito.
Un felicissimo anno nuovo. I Boyers sono dove vorremmo essere noi. Mandiamo un mondo d’amore a tutti e, per cortesia, pensate a noi quando suonerà l’ora.

John

***

Peter e Ebie Blume erano amici dei Cowley e dei Cheever. Peter è un pittore.

Via del Plebiscito 107
7 gennaio

Caro Malcolm,
erano lettere davvero generose, le tue, e te ne sono grato. Ci sono un sacco di domande senza risposta nel libro e la ragione di ciò è che sono un cocciuto idiota. I quesiti sono stati sollevati col garbo dovuto, ma io mi sono rifiutato di rispondere, nella convinzione che per una volta dovessi restare sulle mie e non avrei cambiato o spiegato una sola parola. […] Ventisette anni sono troppi per Melissa e forse su questo posso intervenire nella prova di stampa. Scrivere il libro è stato un divertimento e non so dirti quanto sia contento che ti sia piaciuto leggerlo. È stata una lunga tirata e tu ti sei dimostrato attento e disponibile dall’inizio alla fine.
Abbiamo visto i Blume. Sembrano persone trasparenti, dolci e visionarie come chiunque altro abbia mai conosciuto. Abbiamo discusso parecchio della possibilità che tu venga insieme a Muriel. Vi piacerebbe un mondo e tu potresti fare molto per movimentare l’academy. […]
Il palazzo in cui viviamo è smisurato, pieno di spifferi e di buon gusto. Ha un’ampia sala e soffitti dorati ma a quanto pare non sono in grado di descrivere né il palazzo né Roma. Avendo vissuto per tanto tempo in un posto dove una partita di touch football o un pettegolezzo qualunque ti risolvono la giornata, gli eventi degli ultimi due mesi mi hanno steso. Tornando da scuola questa mattina (studio italiano in una fondazione per stranieri) sono finito nella piazza antistante il Pantheon, era inondata di sole, piena di gente e di acqua, e poi mi sono fermato in un vicolo, gelido come la morte, dove c’erano un enorme piede di marmo – i resti di un colosso – e un forte odore di pane caldo. Ieri c’è stato il Capodanno con gli elefanti a Piazza Venezia e dopo avere dato a Susie il bacio della buonanotte ho guardato fuori della sua finestra e ho visto la Principessa Doria nel cortile, che agitava le mani assieme a una processione di suore olandesi. La principessa era un’antifascista e ha trascorso l’occupazione a Trastevere, nascosta in una cantina. È una lunga storia, ma nulla di paragonabile alle lunghe storie di Scarborough.
Un saluto affettuoso a Muriel da me e Mary, che è molto tranquilla e non ha preoccupazioni. I bambini stanno bene.

Come sempre,
John

***

Via del Plebiscito 107
25 febbraio

Caro Bill,
e perché non dovrei raccontarti una storia su Irwin Shaw e la sua padronanza delle lingue? Mi è stata raccontata da una giovane donna romana che ha bevuto con lui all’Excelsior prima di andare a cena. Lasciando l’albergo, Irwin si è fermato al ricevimento e ha chiesto in italiano se ci fosse posta per lui. Farfugliava a tal punto che la giovane si è offerta di fargli da interprete ma lui ha detto che non sarebbe stato necessario. L’istitutrice di suo figlio, le ha spiegato, era italiana ed era per questo motivo che lui parlava la lingua con tanta scioltezza. Irwin ha avuto la sua posta – un cospicuo malloppo – e sono usciti, dirigendosi verso la macchina con autista che Irwin ha sempre a sua disposizione quando è a Roma. “Chiedo all’Autista di tenermi la posta,” ha spiegato, dopodiché ha sferrato un nuovo assalto alla bella lingua. “Si, si,” ha detto l’autista una volta che Irwin ebbe terminato, “si signore.” A quel punto, mentre Irwin si accomodava soddisfatto nel sedile posteriore, l’autista è andato di corsa in fondo alla strada e ha infilato la posta di Irwin in una cassetta delle lettere.
Ho sentito Irwin che molto gentilmente mi ha chiesto di andare a Klosters ma non posso lasciare sola Mary in questa fase. In un primo momento il dottore aveva detto che Mary ha la tossiemia, poi un edema nascosto. Poi le ha prescritto una dieta di spinaci – nient’altro che spinaci – e delle pillole. […] Sembra stia bene adesso, ma il momento è ormai vicino e non posso andarmene. Ho fatto un salto a Napoli per salutare i Warren e ho pure portato Susie a Firenze per un fine settimana ma adesso non andrò da nessuna parte finché non sarà arrivato il bambino. Ieri, ai Fori, il Ministero delle Finanze ha fatto eseguire la settima di Beethoven. Ho pensato che ciò potesse indurre il bambino a darsi una mossa: e invece no. Non sono bastate né la settima né la selezione da Lucia De Lammore suonata dopo.
Il lavoro è la sola cosa di cui mi preoccupi ma supponiamo che cominci a lavorare meravigliosamente, che fine faremmo? Non torneremmo mai più a casa, Susie finirebbe a bere gin a Port Said e io morirei a Rapallo. Non faccio quanto dovrei qui, soprattutto perché il soffitto è troppo lontano dalla cima della mia testa. I miei pensieri o saltellano verso l’alto picchiando contro gli intagli o volano basso: mai che restino a galla. È un po’ come imparare di nuovo a camminare, per dirla alla maniera degli invalidi. Dopotutto finora non mi era mai capitato di dover descrivere un vescovo che cade dalla scalinata di Assisi mentre infuria un temporale. E poi ci sono il bambino, il libro e i miei sforzi con la lingua italiana; ma prima di ogni cosa il libro, direi. Non ho scritto niente di che dopo averlo finito e mi sentirò molto meglio quando sarò fritto.

Con affetto,
John

***

Via del Plebiscito 107
Roma
26 febbraio

Caro Malcolm,
Mary non ha ancora avuto Il Bambino e siamo in grande attesa. Potrebbe nascere in qualunque momento e vorrei che lei stesse alla larga dai tram. Che è quanto desiderano anche i bigliettai dei tram. Ma Mary sta passando un buon momento e non vede il fondo di un lavello da dicembre. […]
Ho chiesto a Harpers di spedirti una copia rilegata del libro. Hanno fatto davvero un buon lavoro sotto ogni aspetto. Ho ricevuto la mia ieri e adesso che il libro è stampato sembra davvero andata. Ed era ora. L’ho finito sette mesi fa e da allora ho combinato davvero poco a parte sedermi sulla tavoletta e ricevere complimenti immaginari.
Un pensiero affettuoso a Muriel. Mary vi saluta entrambi con amore e io vi scriverò non appena avremo Il Bambino. Sarebbe fantastico avervi qui.

Come sempre,
John

***

Via del Plebiscito 107
22 marzo

Caro Bill,
Federico – si chiama così adesso – è stato registrato come cittadino romano nei libri del Comune di Roma. Volevamo chiamarlo Frederick ma ovviamente l’alfabeto di queste parti è sprovvisto di K e dopo un paio d’ore ci ho rinunciato. Cheever è un’impresa, devo sillabarlo ogni volta. Ci acca e ancora e vu e erre. Gli uffici del Comune, che gestiscono gli affari di due milioni di persone, non dispongono di una macchina da scrivere né di un casellario. È come in Gogol. Ci sono migliaia e migliaia di impiegati armati di anello col sigillo che scrivono tutto il giorno. Le registrazioni vengono raccolte in libri giganteschi oppure in faldoni legati con una cordicella. Questo sistema, seppure incantevole, non è per nulla efficiente. Mi ci sono voluti quattro giorni per legalizzare il povero Federico – comunque è un bel ragazzo, affascinante e con una testa ben modellata. Non ci dà la minima noia o quasi.
Mary è rimasta in sala parto per circa mezz’ora. Le suore, con le loro vesti bianche e la voce gentile, ci hanno soddisfatto. Mary ha ottenuto una stanza che dominava Villa Sciarra (usignoli e pavoni) e, più in lontananza, questa città dorata o color zucca, a seconda della luce. Il tutto è costato molto meno di quanto sarebbe costato a Casa. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta che avevamo avuto tra i piedi un neonato che mi ero dimenticato di quanto fosse divertente. I figli lo adorano e io lo porto in giro, malgrado a volte il povero Ben abbia l’aria di chi sente puzza di bruciato, senza contare che qui gli manca la sua grande consolazione, la campagna.
Dovrei lavorare ma sono in attesa delle recensioni. E non soltanto le aspetto: le scrivo. Le ho scritte tutte, perfino quella dell’Albany Times-union. Se il New Yorker lo recensisse, Tom potrebbe spedirmi il ritaglio per posta aerea. Ma questa follia finirà presto. Credo che comprerò un’auto con la quale andremo alla Rocca di Eleanor in estate. […] Irwin si è trattenuto abbastanza a lungo da prendere una Alpha-R e dare una cena. Ora esco e vado a comprare un regalo per Mary e poi mi metto a studiare i verbi irregolari. Ti spedirò anche una targhetta romana, per la porta.

Come sempre
John

***

Nel 1957 mio padre scrisse nel suo diario un paragrafo dedicato ai dipinti che si trovano in una villa di Caparola. Le sue congetture sul modo in cui questi artisti vivessero il loro lavoro dice molto riguardo i sentimenti di mio padre per il suo: “Il dipinto, come gran parte dei dipinti nella villa, si distingue per fascino e abbondanza. C’era così tanto da dipingere – i soggetti non sarebbero mai mancati – e quale delizia deve essere stata per i pittori ritrarre se stessi, mogli e amanti e bambini nei panni di santi, apostoli e membri della corte di Francia e di Spagna. Deve essere stato un bel divertimento”.
Saul Bellow aveva appena avuto un figlio di nome Adam. Anche Adam è uno scrittore.

Via del Plebiscito 107
Roma
28 marzo [1957]

Caro Saul,
Mike Bessie mi ha inoltrato la tua lettera e sono molto contento che tu abbia finito il libro e ti sia piaciuto; contento e grato. Buona Condotta è giusto. Hai avuto il premio per l’uomo con maggior talento e la migliore condotta nell’esplorarlo.
E felicitazioni per tuo figlio. Noi ne abbiamo avuto uno più o meno nello stesso periodo e chissà che i pargoli non possano unire le loro forze una volta cresciuti. Bellow & Cheever. Una scuderia. Un’agenzia marittima. Un negozio di liquori. Niente antologie.

Con cordialità e gratitudine,
John

 

© Benjamin Cheever, 1988. All rights reserved
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano