La storia del ragazzo a cui fu sospesa la patente perché gay

E della sentenza della Corte di Cassazione che ha ora riconosciuto “un vero e proprio comportamento omofobico” nei suoi confronti

La Stampa ha raccontato venerdì la storia di Danilo Giuffrida, catanese di 34 anni a cui quindici anni fa era stata sospesa la patente per “disturbo dell’identità sessuale”: a 19 anni Giuffrida si presentò all’ospedale militare di Augusta, in Sicilia, per la visita del servizio di leva e disse a un medico di essere gay.

«Io gli ho detto subito la verità, che ero omosessuale». E quelli gli risposero sbuffando: «E noi come facciamo a crederci?». «Ma se ve lo dico io…». «No guardi», fa il medico, serissimo, «si iscriva all’Arci gay». Cooosa? «All’Arci gay. Così attesta la sua omosessualità». Danilo ha 19 anni, è un ragazzino. Fa come gli hanno detto: non capisce perché, ma si iscrive all’Arci gay. Due mesi dopo arriva una lettera della Motorizzazione: c’è scritto che lui non ha le capacità piscofisiche per ottenere la patente e che quindi deve sostenere una visita speciale. «Non capivo perché. Mi sono fatto accompagnare da mia madre in questo posto che era tipo un centro di igiene mentale ed ero lì in mezzo a uno senza un occhio, a della gente senza un braccio, ad altri che erano sordi. Mi fanno questa visita e salta fuori che io sono omosessuale e che la Motorizzazione è stata informata dalla Marina Militare. Poi mi danno questo documento che dev’essere rinnovato ogni anno, come a vedere se io guarisco o peggioro, che ne so. E’ quando ho visto quello che mi sono infuriato».

Giuffrida contattò l’avvocato Giuseppe Lipera: fece prima ricorso al TAR, che gli restituì la patente. Poi avviò una causa legale contro i ministeri della Difesa e dei Trasporti per violazione della privacy e discriminazione sessuale. In primo grado un tribunale di Palermo ha stabilito un risarcimento di 100mila euro, poi ridimensionato a 20mila euro dalla Corte d’Appello di Palermo. Giovedì 22 gennaio, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha riconosciuto che c’è stato “un vero e proprio comportamento di omofobia” e ha rinviato il caso, che ora sarà valutato dalla Corte d’appello di Palermo. La Cassazione ha riconosciuto che «il diritto al proprio orientamento sessuale, cristallizzato nelle sue tre componenti della condotta, dell’inclinazione e della comunicazione (coming out) è oggetto di specifica e indiscussa tutela da parte della stessa Corte europea dei diritti dell’uomo fin dalla sentenza Dudgeon/Regno Unito del 1981».

 «Se al posto mio, che ho una famiglia comprensiva e forte alle spalle, ci fosse stato un altro ragazzino solo e spaurito, non so se avrebbe avuto la forza di metterci la faccia. E se non ce la mettevo, non andava così».