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  • Giovedì 13 novembre 2014

Il commento di Rosaria Capacchione sulla condanna dell’avvocato Santonastaso

Per le minacce ricevute insieme con lo scrittore Roberto Saviano dai boss dei Casalesi

Roberto Saviano e Rosaria Capacchione (LaPresse/Marco Cantile)
Roberto Saviano e Rosaria Capacchione (LaPresse/Marco Cantile)

Il tribunale di Napoli lo scorso lunedì 10 novembre ha giudicato Antonio Iovine e Francesco Bidognetti, boss dei Casalesi, non colpevoli di minacce «aggravate dalla finalità mafiosa» contro lo scrittore Roberto Saviano e la giornalista Rosaria Capacchione, oggi senatrice del PD. È invece stato condannato per le minacce l’avvocato Michele Santonastaso, con pena sospesa.

Roberto Saviano aveva commentato su Twitter:

Oggi sul sito del Messaggero è stato pubblicato un articolo scritto da Capacchione con un suo commento alla sentenza.

Mi è venuto in mente solo dopo, dopo la lettura del dispositivo. Ci ho pensato perché buona parte delle arringhe difensive erano state dedicate alla sterile discussione sulla parola “proclama”.

Termine che i giornali avevano utilizzato per definire l’istanza di legittima suspicione che tanti anni prima l’avvocato Santonastaso aveva letto nell’aula bunker del carcere di Poggioreale in difesa dei suoi clienti camorristi. Tutta la questione era sul parallelismo impossibile con i comunicati letti dalle Brigate Rosse detenute. Così quando, più tardi, il presidente Esposito ha letto il dispositivo della sentenza che condannava l’avvocato Michele Santonastaso e assolveva i suoi assistiti di altissimo rango mafioso, Francesco Bidognetti e Antonio Iovine, ho ricordato un’intervista a Renato Curcio sul suo consenso all’omicidio di Aldo Moro.

Diceva, il capo storico delle Br, che quella morte aveva spiazzato i terroristi detenuti, che mai avevamo discusso dell’eventualità di uccidere il prigioniero; che, anzi, quella decisione li aveva lasciati perplessi. Ma che alla fine si erano associati per non dare l’idea di una spaccatura tra il mondo delle carceri e quello esterno: appartenendo loro al primo e non sapendo bene cosa accadesse nell’altro.

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