ISBN edizioni ha pubblicato il libro di Jorge Valdano Le undici virtù del leader. Il calcio come scuola di vita, tradotto da Pierpaolo Marchetti. Valdano, ex calciatore argentino campione del mondo nel 1986, è stato poi allenatore e dirigente del Real Madrid, e in questo libro sfrutta le sue conoscenze del mondo del calcio per descrivere quelle che secondo lui sono le undici virtù fondamentali a distinguere un leader, sia nello sport che in qualunque altra professione. In questo capitolo Valdano affronta lo stile che deve mantenere un leader per essere unanimemente riconosciuto come tale.
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Nel mondo del calcio il risultato è incontestabile. Il suo effetto è contundente al punto che il vincitore non ha neanche bisogno di parlare. E se parla, è inconfutabile. Colui che vince non soltanto ha ragione, ma gli danno la patente di intelligente, di furbo (che non è la stessa cosa) e, già che dobbiamo consacrarne la figura, perfino di vero maschio. Se necessario, gli viene attribuita pure una strategia a corto, medio o lungo raggio, anche se il suo successo è stato occasionale e sia dipeso, in gran misura, dalla fortuna o dal talento naturale di giocatori straordinari. Per questa corrente di pensiero, senza dubbio dominante, lo stile è cosa da romantici.
Stando così le cose: viva lo stile
Per il mio gusto, lo stile è tutto. È la differenza, la distinzione, è ciò che ci rende unici. Se non siamo diversi dalle altre imprese, come faremo a essere riconoscibili? Di cosa ci sentiremo orgogliosi? Di cosa ci vergogneremo? Lo stile è il modo di essere, e questo è importante per una persona come per una squadra sportiva o imprenditoriale. La differenziazione è uno dei grandi vantaggi competitivi delle organizzazioni del nostro tempo. L’orgoglio di appartenere ha a che vedere, soprattutto, con la cultura di un’organizzazione, con i valori che la identificano, con lo stile.
Nell’infinito mondo del calcio, tutti gli stili sono accettabili, ci mancherebbe altro. Ma correre per conquistare non è come correre per fuggire; sforzarsi per cercare l’avventura non è lo stesso che farlo con lo spirito di un burocrate; aspettare la partita successiva come un’illusione non è lo stesso che aspettarla come una minaccia. Bisogna ripetere molte volte che «non è lo stesso», perché è nel diritto a essere diversi e nell’aspirazione alla grandezza che risiede la battaglia concettuale tra quelli che vengono con ammirazione chiamati «seguaci del risultato» e quelli che in modo sprezzante vengono definiti «romantici». Personalmente, non mi piace che qualcuno mi dica come devo pensare relativamente ai miei gusti, e allo stesso modo non pretendo di trascinare nessuno verso la mia sensibilità. Ho sempre vincolato il modo di giocare al modo di vivere e, senza alcuna esitazione, preferisco coloro che vivono con coraggio, eleganza morale e grandezza nelle loro decisioni.
Quando nella stagione 2011/2012, nell’ambito dell’Europa League, l’Athletic Bilbao fece visita al Manchester United, Marcelo Bielsa si sentì un gran privilegiato a potersi confrontare con un uomo dalla carriera di Sir Alex Ferguson e una squadra che aveva una simile storia alle spalle. Durante quel viaggio Bielsa, che è un curioso di professione, cercò di scoprire nei piccoli dettagli in che cosa il Manchester facesse la differenza. Nulla lo colpì tanto come un cartello che scoprì in uno spogliatoio dopo l’allenamento che diceva: NON C’È MEDAGLIA O TROFEO MIGLIORE CHE L’ESSERE RICONOSCIUTO PER IL PROPRIO STILE. Quando commentò con i suoi amici l’impressione che gli aveva causato la frase, Bielsa lo fece con ammirazione. Aveva pienamente ragione: aveva appena scoperto che alla base della conoscenza collettiva che il Manchester United aveva accumulato in oltre un secolo di gloriosa esistenza, lo stile era sempre venuto prima del risultato. Non perché sia più importante, ma perché quello è l’ordine che poi ci permette di sentirci orgogliosi dei trionfi ottenuti. Lo ripeto: lo stile non vale più del risultato, semplicemente viene prima.
Più di cinquant’anni fa, nel 1958, l’aereo che trasportava la squadra del Manchester United cadde su Monaco. Sopravvissero pochissimi giocatori. Quella tragedia, ricordata il 6 febbraio di ogni anno, mette ancora i brividi a vecchi e nuovi tifosi della squadra. Ma proprio dopo quel tragico episodio, il club britannico divenne mito.
Perché il dolore contribuì a creare una specie di complicità mondiale e perché giusto dieci anni dopo il Manchester, rinato dalle proprie ceneri, alzava al cielo la sua prima Champions League. Una prova che la personalità dei club, come quella degli esseri umani, non si costruisce solo nei momenti felici. Ma c’è una cosa indiscutibile: una volta che la storia ti premia per aver difeso un modo di essere, quella personalità istituzionale non deve essere negoziabile. Metterla a rischio, quale che sia la ragione, è una forma di alto tradimento della storia. Il Manchester United lo ha dimostrato quando Ferguson ha annunciato il suo addio alla panchina. Invece di ingaggiare una figura celebre o l’ultimo vincitore di moda, ha reso nota la firma di David Moyes, che per dieci anni era stato allenatore dell’Everton senza vincere un solo titolo. Ma il motivo della scelta era molto intelligente: somigliava al Manchester United perché ne comprendeva i valori. Anche se i risultati non sono stati positivi.
Perché il Barcellona di Guardiola è diventato una squadra ammirata e, per molti, unità di misura del mondo? Soprattutto, perché la squadra è riuscita a mettere a punto uno stile riconoscibile, attraente ed efficace che l’ha differenziata da tutte le altre. Ha seminato successi che l’hanno fortificata, ha avuto giocatori che le hanno dato caratura mondiale, ha goduto sicuramente della dose di fortuna che sempre bacia il campione… Ma alla base di tutto c’è un modo di fare le cose che comincia a La Masia, scuola di calcio e di comportamento, e finisce in prima squadra, dove viene rispettato fino all’esagerazione ciò che il vivaio ha insegnato. Il più grande orgoglio, immagino, sarà verificare come, nei grandi campionati, quello stile che tempo addietro risultava una sorta di controcultura, poco a poco comincia a essere imitato da alcuni grandi club e anche da diverse Nazionali.