Perché amiamo ancora le canzoni della nostra adolescenza

Non solo perché ce la ricordano, ma anche per via della neurochimica e del funzionamento del nostro cervello

di Mark Joseph Stern – Slate

Mentre mi trascino stancamente verso i trent’anni, ho notato che mi sta accadendo una cosa strana: la musica che ascoltavo da adolescente mi trasmette molte più cose adesso di quanto non facesse prima. Tuttavia, ogni anno che passa, le nuove canzoni che sento per radio mi sembrano sempre più fastidiose e senza senso. Razionalmente so che questa cosa non ha senso. Non è possibile affermare seriamente che “Rollout” di Ludacris sia un prodotto artistico superiore a “Roar” di Katy Perry. Eppure adoro ogni secondo del primo pezzo e ritengo il secondo una cosetta stridula. Quando ascolto le dieci migliori hit del 2013 mi viene il mal di testa. Quando ascolto quelle del 2003 sono felice.

Perché le canzoni che ascoltavo quand’ero ragazzo mi sembrano migliori di qualsiasi cosa ascolti ora? Sono stato contento di scoprire che la colpa può non essere interamente attribuita alla mia scarsa attitudine alla critica musicale. Negli ultimi anni, psicologi e neuroscienziati hanno confermato che quelle canzoni mantengono un’enorme influenza sulle nostre emozioni. Alcuni studiosi hanno trovato delle prove che suggeriscono che i nostri cervelli si legano alla musica che ascoltavamo da ragazzi in maniera più salda rispetto a qualsiasi altra cosa ascoltiamo da adulti: un legame che fra l’altro non si indebolisce col passare degli anni. La nostalgia musicale, in altre parole, non è solo un fenomeno culturale: è un ordine comandato dal nostro cervello. E non importa quanto i nostri gusti siano diventati sofisticati: la nostra testa può rimanere bloccata su quelle canzoni a cui ci ossessionammo durante le nostre tormentate vicende dell’adolescenza.

Per capire per quale motivo cresciamo con uno specifico legame con certe canzoni, è utile spiegare la relazione che lega il cervello e la musica in generale. Quando ascoltiamo una canzone per la prima volta, la corteccia uditiva del nostro cervello viene stimolata e converte il ritmo, la melodia e l’armonia in una cosa sola. Da qui in poi, la nostra reazione dipende dal modo in cui interagiamo con essa. Canticchia una canzone dentro la tua testa, e attiverai la corteccia premotoria che aiuta a gestire e coordinare i movimenti. Balla, e i tuoi neuroni si sincronizzeranno con l’andamento della musica. Presta attenzione al testo e ai singoli strumenti, e attiverai la corteccia parietale, che aiuta a spostare e mantenere l’attenzione per individuare stimoli diversi. Ascolta una canzone che ti fa venire in mente dei ricordi personali, e la tua corteccia prefrontale – che conserva informazioni rilevanti riguardo alla tua vita personale e alle tue relazioni – entrerà in azione.

Ma i ricordi non sono nulla senza le emozioni: e a parte l’amore e le droghe, nulla provoca una reazione emotiva come la musica. Uno studio sulla scansione delle attività cerebrali ha mostrato che le nostre canzoni preferite stimolano le regioni del cervello che regolano il piacere e che rilasciano dopamina, serotonina, ossitocina e altri elementi neurochimici che ci fanno sentire bene. Più apprezziamo una canzone, più veniamo condotti verso una felicità indotta neurochimicamente, che invade il nostro cervello grazie agli stessi neurotrasmettitori che cerca di attivare la cocaina.

La musica provoca questa reazione in tutti noi, come una specie di scintilla. Nei giovani, però, questa scintilla si trasforma in uno spettacolo di fuochi d’artificio: fra i 12 e i 22 anni il nostro cervello subisce veloci sviluppi neurologici, e la musica che apprezziamo in quel periodo sembra restare legata al nostro sistema nervoso per sempre. Quando costruiamo dei collegamenti neurali a una certa canzone, creiamo anche una traccia mnemonica che diventa carica di emozioni amplificate anche grazie a un’eccessiva produzione di ormoni della crescita. Questi ormoni, in pratica, dicono al nostro cervello che ogni cosa è incredibilmente importante: specialmente quelle canzoni che formano la colonna sonora dei nostri teenage dreams (e anche dei nostri disagi).

Di per sé, questi fuochi artificiali neurologici sarebbero sufficienti a fissare certe canzoni nella nostre teste. Ma ci sono altri elementi che contribuiscono a far rimanere impressa praticamente per sempre nella memoria l’ultima canzone suonata al ballo delle medie. Daniel Levitin, l’autore del libro This Is Your Brain on Music: The Science of a Human Obsession, scrive che la musica della nostra adolescenza è inevitabilmente intrecciata alle nostre vite sociali: «quando siamo giovani, scopriamo per la prima volta nuova musica per conto nostro, spesso attraverso i nostri amici. Ascoltiamo la stessa musica che ascoltano loro: come un lasciapassare, una specie di segno di appartenenza a un certo gruppo sociale. Questo fa sì che mescoliamo la musica al nostro senso di identità».

Petr Janata, uno psicologo della University of California-Davis, è d’accordo con questa teoria, e spiega che la nostra musica preferita «si lega solidamente alle memorie emotive di quegli anni formativi». Aggiunge inoltre che potrebbe esserci anche un terzo fattore: il cosiddetto “reminiscence bump”, il fenomeno per il quale ricordiamo meglio alcune cose che sono accadute quando eravamo adolescenti rispetto ad altre, anche durante la vecchiaia. Secondo questa teoria, abbiamo tutti una specie di ricordo biografico – condizionato dal contesto culturale – che funziona da “racconto” della nostra vita passata. Quando ci guardiamo indietro, insomma, i ricordi che dominano questo racconto hanno due cose in comune: sono quasi sempre positivi e si concentrano attorno alla nostra adolescenza o alla prima età adulta.

Perché i ricordi relativi a quegli anni sono così vivaci e duraturi? Nel 2008 alcuni studiosi dell’Università di Leeds hanno fornito una spiegazione convincente: gli anni interessati dal “reminiscence bump” coincidono con quelli in cui avvertiamo «la progressiva affermazione di una personalità solida e duratura». In altre parole, il periodo fra i 12 e i 22 anni è quello in cui tu diventi proprio tu. Ha senso, allora, che i ricordi dei fatti che contribuirono a questo processo diventino stranamente importanti per il resto della tua vita. Non hanno semplicemente contribuito a costruire l’immagine di te stesso: sono diventati parte dell’immagine di te stesso, una parte importante di come ti percepisci.

La musica, durante questo processo, interpreta due ruoli. Per prima cosa, alcune canzoni compongono un ricordo di per sé, e quindi si fissano spontaneamente nella memoria. Molti di noi si ricordano perfettamente la prima volta che sentirono una certa canzone dei Beatles (o dei Backstreet Boys), la stessa che decenni più tardi cantiamo ancora nelle serate di karaoke. In secondo luogo, poi, queste canzoni hanno formato la colonna sonora di quelli che ci appaiono come gli anni più attivi e importanti della nostra vita. La musica che suonava di sottofondo al nostro primo bacio, durante il nostro primo ballo, o il primo tiro di sigaretta, resta attaccata a quel ricordo e guadagna un po’ del suo significato. A posteriori, potremmo realizzare che quel ballo non fu poi tanto significativo. Ma anche quando l’importanza del ricordo stesso svanisce, il senso di piacere relativo a quella cosa resta attaccato alla musica che c’era in sottofondo.

Per quanto queste teorie possano essere divertenti, la loro conclusione razionale – non apprezzerai mai più una canzone nel modo in cui apprezzavi quelle della tua giovinezza – è un po’ deprimente. Non è del tutto una cattiva notizia, però. I nostri gusti di adulti non sono più scarsi di quelli di una volta: sono semplicemente più maturi, e ci permettono di apprezzare la complicata bellezza estetica di alcune cose su un piano intellettuale.

Per quanto maturi possiamo diventare, poi, la musica rimane sempre una via di fuga dai nostri cervelli verso la grezza e genuina passione della nostra giovinezza. Il senso di nostalgia che provoca l’ascolto delle nostre canzoni preferite non è solamente un effimero ricordo di quegli anni; è un portale neurologico che ci dà un assaggio di quando i nostri cervelli sprizzavano gioia durante l’ascolto delle canzoni che ci hanno definito.

Quegli anni saranno anche passati, ma ogni volta che ascoltiamo una canzone che abbiamo adorato, la gioia che provocò in quei giorni ci investe di nuovo.

©Slate 2014