La storia della Stella

La ristampa di un vecchio libro racconta come la stella a sei punte sia diventata un simbolo ebraico

Holding up their national flag, thousands of Israelis gather to attend a rally on the 10th anniversary of the assassination of former Prime Minister Yitzhak Rabin, in Tel Aviv, 12 November 2005. Thousands of Israelis flooded into the Tel Aviv square where a Jewish extremist murdered premier Rabin 10 years ago, to commemorate the anniversary of his killing. The general-turned-peacemaker, who inspired both admiration and hatred for signing the 1993 Oslo autonomy accords with the Palestinians, was shot in the back on November 4, 1995 after a peace rally in a square now bearing his name. AFP PHOTO/YOAV LEMMER (Photo credit should read YOAV LEMMER/AFP/Getty Images)
Holding up their national flag, thousands of Israelis gather to attend a rally on the 10th anniversary of the assassination of former Prime Minister Yitzhak Rabin, in Tel Aviv, 12 November 2005. Thousands of Israelis flooded into the Tel Aviv square where a Jewish extremist murdered premier Rabin 10 years ago, to commemorate the anniversary of his killing. The general-turned-peacemaker, who inspired both admiration and hatred for signing the 1993 Oslo autonomy accords with the Palestinians, was shot in the back on November 4, 1995 after a peace rally in a square now bearing his name. AFP PHOTO/YOAV LEMMER (Photo credit should read YOAV LEMMER/AFP/Getty Images)

La pagina di apertura della Cultura di Repubblica è dedicata lunedì alla recensione di Susanna Nirenstein di un libro del 1948 – oggi ristampato – che raccontava storia e miti di come la “Stella di David” sia divenuta un simbolo associato, e rivendicato, all’ebraismo.

L’associazione è immediata: la Stella di David, in ebraico il Magen David (Scudo di David), vuol dire “ebrei”. Campeggia sulla bandiera d’Israele, sulle sinagoghe degli ultimi secoli, sui libri di preghiera, nelle comunità, al collo dei fedeli, l’abbiamo vista come marchio di vergogna e di condanna a morte durante il nazismo, e ancora oggi gli antisemiti la bruciano, la sfregiano. Ognuno, davvero ognuno, è convinto che racchiuda il mondo, il cuore di questo popolo, da sempre, anche se ha fatto la sua comparsa in altre culture. E invece no.
Un interessantissimo libretto appena uscito del grande filosofo israeliano Gershom Scholem (nato in Germania nel 1897, immigrato a Gerusalemme nel 1923) che allo studio del misticismo e al sionismo ha dedicato la vita, ci dice il contrario: al di là di quello che è diventato, perché è indubbio che oggi rappresenti Israele e l’ebraismo, e vedremo come ci è arrivato, l’esagramma, documenta Scholem, non è un simbolo ebraico, non esprime niente della carica spirituale dell’ebraismo, della sua eredità intuitiva, e nemmeno della sua storia: non parla affatto di un supposto sigillo di Salomone, come si è spesso detto, o delle guerre del regno di David, non rappresenta l’armonia della Creazione descritta nella Torah, né l’unione dei contrari e della loro neutralizzazione nell’unità, nel Dio unico, non richiama alcunché dell’ebraismo biblico o rabbinico. Anzi, è tutt’altro. Non è che un segno magico di protezione, una sorta di talismano diffuso in numerosi popoli, fenici, assiri, indiani, tra gli zoroastriani… e molto più tardi, come sappiamo, nelle chiese bizantine, e anche nelle moschee. In una delle sue prime comparse nel mondo ebraico, quella sulla sinagoga di Cafarnao nel II o III secolo, è un evidente ornamento, sottolinea Scholem, niente meno che messo accanto a una svastica! E così in molti altri luoghi, magari vicino a una stella a cinque punte.

(continua a leggere sulla rassegna stampa Treccani)