Un’età da David Bowie

Ian Buruma racconta come invecchia una rockstar: dai suoi costumi di scena esposti a Londra all'ultimo album uscito a marzo

Oggi su Repubblica c’è un articolo, pubblicato qualche giorno fa sulla New York Review of Books, dove lo storico e politologo olandese Ian Buruma ripercorre la carriera di David Bowie partendo dai suoi costumi di scena, esposti in una mostra al Victoria and Albert Museum di Londra, e arrivando all’ultimo album, pubblicato lo scorso marzo.

Che David Bowie abbia cambiato il modo di apparire di tante persone, negli anni ’70, ’80 e ’90, è fuori discussione. Ha ispirato stilisti come Alexander McQueen, Yamamoto Kansai, Dries van Noten, Jean-Paul Gaultier. I suoi straordinari costumi di scena, dalle tute in stile Kabuki al travestitismo à la Weimar, sono leggendari. Ragazzi di tutto il mondo hanno cercato di vestirsi come lui, di apparire come lui, di muoversi come lui (con risultati, ahimè, piuttosto discontinui). Non a caso il Victoria and Albert Museum di Londra propone (fino all’11 agosto, ndr) la colossale mostra dei suoi costumi da scena, con in più video musicali, manoscritti con il testo delle canzoni, brani di film, opere d’arte, copioni, storyboard e altri materiali presi dal suo archivio personale. Oltre a tutto il resto, l’arte di David Bowie è fatta di stile, alto e basso, e lo stile è una faccenda seria.

Il rock è innanzitutto una forma di teatro. Le rockstar inglesi in questo sono particolarmente brave, anche perché molte di loro hanno tratto ispirazione dalla ricca tradizione del teatro di varietà. Ma c’è anche un’altra ragione: poiché il rock and roll era nato in America, i musicisti inglesi spesso cominciavano scimmiottando gli americani. Anzi, peggio ancora: i ragazzi inglesi bianchi, specialmente negli anni ’60, imitavano gli americani neri. E poi c’era la questione di classe: proletari inglesi che si atteggiavano a damerini aristocratici e giovani borghesissimi che ostentavano accenti cockney. E poi c’era l’ambiguità di genere: Mick Jagger che dimenava i fianchi come Tina Turner, Ray Davies dei Kinks che faceva la checca come la vecchia delle pantomime natalizie, David Bowie che si vestiva come Marlene Dietrich e strillava come Little Richard. Il rock, e in particolare il rock inglese, in certi momenti sembrava una colossale e sfrenata festa in maschera. E nessuno più di David Bowie, nessuno con così tanta immaginazione e così tanta audacia come David Bowie, ha interpretato il rock in questa maniera. Come dice lui stesso: «Non concepisco l’idea di uscire sul palco in jeans e avere un’aria il più normale possibile di fronte a diciottomila persone. Insomma, non è normale!».

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