Thailandia, fotoreporter Polenghi fu ucciso da proiettile esercito

Bangkok (Thailandia), 29 mag. (LaPresse/AP) – Il fotografo italiano Fabio Polenghi fu ucciso da un proiettile ad alta velocità in dotazione dell’esercito thailandese e che proveniva dalla direzione in cui si trovavano i soldati impegnati nella repressione della protesta delle camicie rosse nel 2010. È quanto ha stabilito oggi un giudice della Corte criminale di Bangkok, enunciando l’esito dell’inchiesta condotta sulla morte del reporter 48enne. Il tribunale afferma però che non è chiaro chi abbia sparato e non ha attribuito esplicitamente la responsabilità all’esercito, cosa che invece chiedono da tempo numerosi gruppi per la tutela dei diritti umani. Polenghi si trovava a Bangkok per documentare la rivolta delle camicie rosse e la repressione dell’esercito sotto il governo dell’allora primo ministro Abhisit Vejjajiva. Durante quei due mesi di proteste di strada e violenze a Bangkok morirono almeno 91 persone.

 

PROIETTILE DELL’ESERCITO. Le indagini, ha spiegato il giudice, hanno dimostrato che lo sparo mortale che ha raggiunto Polenghi “è stato esploso dalla direzione delle forze di sicurezza” ed è probabile che il fotoreporter italiano sia stato ucciso da un proiettile di calibro .223 che era usato con i fucili M-16 e HK33 in dotazione dei soldati impegnati in città quel giorno. L’inchiesta era stata avviata a luglio scorso e dalle testimonianze è emerso che il proiettile ha colpito Polenghi alla schiena e ha attraversato il lato sinistro del petto. Il giudice ha aggiunto che ha colpito il cuore, un polmone e il fegato, portando un eccessivo sanguinamento fino a quando l’italiano è morto in ospedale il 19 maggio del 2010.

 

LA PROTESTA DELLE CAMICIE ROSSE. L’inchiesta su Polenghi è una delle otto avviate dalle autorità thailandesi per indagare su persone morte nell’ambito di quella repressione. In passato il tribunale di Bangkok aveva stabilito che cinque persone erano state uccise da pistole utilizzate dal personale militare, mentre altre due indagini non avevano raggiunto alcuna conclusione sui responsabili. Il governo Abhisit aveva approvato l’utilizzo di munizioni vere per l’esercito in casi limitati e aveva dispiegato tiratori scelti e cecchini per “proteggere le forze di sicurezza e il pubblico” durante le manifestazioni. Il governo vicino alle camicie rosse che prese il posto di quell’esecutivo si è accordato l’anno scorso per pagare risarcimenti a tutte le vittime delle violenze, in modo da promuovere una riconciliazione politica.

 

I FAMILIARI DI POLENGHI. “È positivo ma non è la soluzione”, ha detto la sorella del reporter, Elisabetta Polenghi, commentando l’esito dell’inchiesta. “La soluzione arriverà quando al responsabile sarà richiesto di lasciare l’incarico che ricopre, lasciando una posizione in cui può ferire delle persone”, ha aggiunto. Nato in Italia nel 1962, Polenghi era stato per molti anni un fotografo di moda ed era poi diventato fotoreporter. Elisabetta Polenghi, 48 anni, è fra i 13 testimoni sentiti nell’ambito dell’indagine e oggi era accompagnata in tribunale dalla madre e dalla sorella più grande.

 

L’avvocato della famiglia Polenghi, Karom Polpornklang, parlando con i giornalisti ha detto che l’inchiesta sarà utilizzata in futuro in un’azione legale contro l’ex premier Abhisit e il suo vice di allora, Suthep Thaugsuban, che controllava un centro gestito congiuntamente da governo ed esercito responsabile delle operazioni per sedare le proteste. “Va provato che gli ordini alle forze di sicurezza di avanzare venivano da Suthep e Abhisit, non possono negare la loro responsabilità e non possono essere messi da parte in questo caso altrimenti un incidente come questo potrebbe accadere di nuovo”, ha affermato Karom. L’anno scorso il dipartimento per le indagini speciali ha avviato un’indagine per omicidio su Abhisit e Suthep, ma le accuse non sono arrivate in tribunale.

Pubblicato il 29 maggio 2013
© Copyright LaPresse – Riproduzione riservata