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La speculazione e i prezzi del cibo

Si discute molto tra gli economisti delle accuse alle banche e alla finanza di aver causato l'aumento del prezzo delle materie prime alimentari

di Davide Maria De Luca – @DM_Deluca

Mercoledì scorso Barclays, una banca inglese tra le più grandi del mondo, ha fatto sapere che sta considerando la possibilità di ritirarsi dal mercato delle materie prime alimentari per tutelare la sua reputazione. Insieme alle altre grandi banche d’affari, Barclays è stata accusata di speculare sul mercato delle materie prime alimentari, causando un rialzo artificiale nei prezzi del cibo e carestie nei paesi più poveri del mondo.

L’accusa è arrivata proprio in questi giorni dalla Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo e il Commercio (UNCTD). Parallelamente 25 ONG e altri gruppi di pressione, in particolare il World Development Movement, hanno intensificato le loro campagne per chiedere una limitazione o il divieto della speculazione sulle materie prime alimentari. Sia le accuse dell’UNCTD che le campagne delle ONG vanno avanti da quando, all’incirca nel 2008, i prezzi delle cosiddette commodities alimentari sono cominciati a crescere.

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Negli ultimi mesi queste campagne hanno prodotto i primi risultati. Sette diverse banche, tra cui due delle più grandi banche del mondo (Deutsche Bank e Barclays), hanno annunciato che si ritireranno da quel mercato. Il problema è che, se è vero che negli ultimi anni il prezzo degli alimenti è cresciuto, tra gli economisti non c’è affatto accordo sul perché sia successo e quindi su come si possa invertire la tendenza. Dall’altra parte, vietare completamente gli investimenti sulle materie prime alimentari potrebbe avere l’effetto opposto rispetto a quello desiderato.

I dati
Come si può vedere dal grafico sotto, i prezzi del cibo sono cresciuti molto negli ultimi anni. Dal 2006 ad oggi in termini reali – cioè a parità di potere d’acquisto – i prezzi sono aumentati del 50%, con picchi, nel 2008 e nel 2011, di quasi il 70%: questo ha causato proteste in molti paesi del mondo. I prezzi però non hanno mai raggiunto il livello toccato alla fine degli anni ’70 e durante gli anni ’80: a tutti gli effetti oggi mangiare è meno costoso di 40 anni fa. Secondo i dati della FAO, infatti, la malnutrizione è diminuita negli ultimi 40 anni. Se alla fine degli anni ’60 le persone sottonutrite erano il 24% della popolazione mondiale, nel 2010-2012 sono scese al 12%.

L'indice dei prezzi del cibo FAO dal 1990 ad oggi. In giallo i prezzi reali, in arancio i prezzi nominali.

Dal grafico si deduce anche un’altra cosa: a partire dal 2008, l’indice sembra essere salito sulle montagne russe. Nel 2008 salì molto rapidamente a un picco storico, per poi crollare quasi ai minimi degli ultimi vent’anni. Nel 2011 tornò di nuovo a salire, solo per ricominciare a discendere nei primi mesi del 2012 e quindi ricominciare la salita negli ultimi mesi. Questa variazione continua è per gli economisti una specie di mistero e in molti hanno provato a cercare una spiegazione. Secondo alcuni, come l’UNCTD e molte ONG, il principale se non l’unico responsabile è la “speculazione”. Ma che cos’è la speculazione e perché dovrebbe causare un aumento dei prezzi?

La speculazione
Sul sito del World Developmennt Movement c’è un’infografica che cerca di spiegare come le banche abbiano fatto aumentare i prezzi delle materie prime alimentari grazie alla speculazione. Alla base di tutto ci sarebbero i futures, un tipo di titolo derivato. I futures, spiega il WDM, molto tempo fa erano uno strumento utile per i contadini, poiché permettevano loro di stabilire oggi il prezzo a cui avrebbero venduto il loro raccolto domani, mettendosi così al sicuro dai rischi. Il sito spiega che però da allora il mercato è passato nelle mani degli “speculatori” e che questo è stato un male.

Non viene detto molto altro per spiegare chi siano questi speculatori e come abbiano operato. A dare qualche dettaglio in più è stato Riccardo Moro, professore di politiche dello sviluppo all’Università degli Studi di Milano, durante una puntata della trasmissione di Radio24 Focus Economia. Il punto, secondo Moro, è che negli ultimi anni molti investitori hanno usato i contratti futures sui beni alimentari senza nessuna intenzione di scambiarsi realmente il prodotto sottostante.

Facciamo un esempio: due investitori si accordano per acquistare l’uno dall’altro una tonnellata di frumento, tra un anno, a 100 euro. Un mese prima della scadenza stracciano il contratto e controllano a quanto sono arrivate le quotazione del frumento. Se è inferiore ai cento euro alla tonnellata, il “compratore” paga al venditore la differenza e viceversa. Se molti investitori sottoscrivessero questo tipo di contratti, senza nessuna intenzione di scambiarsi il prodotto sottostante, allora si creerebbe, secondo Moro, una domanda artificiale di prodotti alimentari che ne gonfierebbe i prezzi.

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