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  • Mercoledì 30 maggio 2012

Perché crollano i capannoni

Lorenzo Salvia sul Corriere racconta una storia di regole non aggiornate, incentivi fiscali e una bolla già scoppiata

Italian firefighters search the debris of a collapsed factory in Mirandola, northern Italy, Tuesday, May 29, 2012. A magnitude 5.8 earthquake struck the same area of northern Italy stricken by another fatal tremor on May 20. (AP Photo/Marco Vasini)
Italian firefighters search the debris of a collapsed factory in Mirandola, northern Italy, Tuesday, May 29, 2012. A magnitude 5.8 earthquake struck the same area of northern Italy stricken by another fatal tremor on May 20. (AP Photo/Marco Vasini)

Lorenzo Salvia sul Corriere della Sera racconta oggi dei capannoni industriali, delle leggi che ne regolano la costruzione e del perché in Emilia ne siano crollati diversi a causa dei terremoti degli ultimi giorni, spesso uccidendo e ferendo gli operai che ci lavoravano.

Shoe box, li chiamano gli americani, scatole di scarpe. Oltre alla morte, alle macerie e alle famiglie scaraventate nelle tende, stavolta il terremoto ha portato la paura dei capannoni, venuti giù come nemmeno le casette medievali. Cemento grigio, 1.000 metri quadri di media, in Italia ne abbiamo più di 700 mila. E di questi, secondo l’ultimo rapporto dell’Agenzia del Territorio, oltre 80 mila sono proprio in Emilia Romagna. Da lì vengono fuori merci che conquistano i mercati stranieri, il 30% diventa export. Solo da Modena e Ferrara arriva l’1% del nostro Pil, il prodotto interno lordo. Sono il cuore dell’economia di quella terra e dell’Italia intera, i capannoni. Rappresentano uno dei simboli di un Paese che lavora.

Ma adesso ci accorgiamo che sono anche l’anello debolissimo di un patrimonio edilizio che già di suo non è il massimo della sicurezza. «Sono edifici molto semplici – spiega Bernardino Chiaia, professore di Scienza delle costruzioni al Politecnico di Torino – formate da pochi pilastri e travi. Riescono a resistere solo a sollecitazioni verticali mentre in caso di sollecitazioni orizzontali, come quelle provocate da un terremoto, possono venire giù come un castello di carte». Castello di carte, proprio così. Sembrano le parole di chi ha appena sentito la terra tremare e sta tremando pure lui, di chi è scappato tra la polvere di uno di quei colossi venuti giù. E invece è il pacato ragionamento di un esperto del settore, che siede anche nel consiglio d’amministrazione dell’Ingv, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. Il punto è che le travi sono poggiate sui pilastri, a tenerli insieme è solo una cerniera, nulla di più. Se la terra trema, la trave può perdere l’appoggio del pilastro. E allora viene giù, insieme al tetto. Possibile? Possibile che strutture dove lavorano ogni giorno migliaia di persone siano fatte «seguendo il modello dei Lego», come dice un altro ingegnere, il bolognese Guido Cacciari con 20 anni di esperienza nelle zone sismiche?

Prima del 2003 quel pezzo di Emilia Romagna non era considerato zona a rischio. Solo dopo il terremoto di San Giuliano di Puglia la cartina, in realtà pronta dal 1999, è stata modificata. Fino ad allora i capannoni sono stati costruiti come se la terra non avrebbe mai tremato. «Non c’è un problema di violazione delle regole – dice Gaetano Maccaferri, presidente di Confindustria Emilia Romagna – semmai una questione di aggiornamento delle regole. Ma non dimentichiamo che in questa zona l’ultimo terremoto forte risale al 1500. Chi poteva dirlo?».

(continua a leggere sul sito del Corriere)

Le foto del terremoto in Emilia

foto: AP Photo/Marco Vasini