Che fine ha fatto il metal?

È un genere che scava nel torbido e lo mette in musica, dice l'Atlantic: e attraversa tempi difficili

A partire dagli anni Sessanta, diversi gruppi rock iniziarono a suonare in modo più rumoroso e potente. I suoni della chitarra venivano pesantemente distorti con l’uso di apparecchi elettronici; gli accordi erano suonati in modo ritmico e ripetitivo, mentre in altri momenti lo strumento era usato per linee più melodiche che spesso servivano a mostrare l’abilità tecnica del chitarrista: gli assoli. La batteria aumentò di velocità e i suoi suoni più pesanti la fecero diventare la spina dorsale dei pezzi, insieme alla chitarra. Non era più rock, ora si trattava di hard rock, come notavano i critici musicali.

Nel 1971, una band di Birmingham dal funereo nome Black Sabbath pubblicò il suo terzo album, Master of Reality. Avrebbe venduto cinque milioni di copie. Musicalmente, non era molto diverso dai suoni dell’hard rock, ma qualcosa di diverso c’era: i testi delle canzoni erano cupi e introspettivi, spesso si ispiravano ai film dell’orrore e parlavano di un mondo in cui l’uomo era immerso in una difficile lotta tra il bene e il male. Il bassista che scriveva i testi, Geezer Butler, un vegetariano attratto dal misticismo e, in gioventù, dai voti sacerdotali, affidava al cantante Ozzy Osbourne una religiosità piuttosto manichea e sicuramente sofferta. Negli anni successivi, questo spirito pessimista aumentò la solennità della musica e la ricerca di suoni ancora più potenti e distorti, allontanandosi dal fondo blues del rock’n’roll più tradizionale. Il nome del nuovo genere fu usato per la prima volta in una canzone degli Steppenwolf, “Born to Be Wild”, che faceva parte della colonna sonora del film Easy Rider (ed era riferito a una motocicletta): heavy metal.

Tra gli anni ’70 e i primi ’80 l’heavy metal si declinò in una varietà di modi e di atteggiamenti, tenendo fissa la volontà di suonare forte e distorto: da quella esibizionista e glam dei Kiss alla semplicità accessibile degli AC/DC. Non tutti erano così interessati alla religione, ma sicuramente tutti erano attenti a quello che succedeva nel frattempo nel mondo della musica, ad esempio imparando il modo di accelerare ancora i ritmi dal punk. I suoni aggressivi si accompagnavano spesso a testi altrettanto d’impatto, guadagnando al genere una cattiva fama e le accuse di ispirare suicidi e azioni violente. Nel 1990 i Judas Priest, uno dei gruppi heavy metal più celebri di sempre, furono citati in giudizio (e successivamente assolti) per presunti messaggi subliminali contenuti nei loro testi.

Oggi, come nota James Parker sull’Atlantic, quel tipo di musica attraversa – dopo altre evoluzioni – un momento di stanca. Malgrado sotto il nome di metal si produca ancora moltissimo, ne affiora molto meno di un tempo e i suoi ascoltatori sono sicuramente una nicchia. Che fine ha fatto il metal?

Secondo Parker, il metal mantiene, ieri come oggi, la sua funzione di scavare nel cupo e nel torbido di ciascuno, trasformandoli in una finzione liberatoria: e questo è un merito del metal che gli manterrà sempre il suo seguito. Ma forse ci sono ragioni più legate a quello che è successo all’heavy metal dopo la stagione d’oro degli anni ’70 e ’80. Il genere si è tenuto fedele alle sue poche parole d’ordine, ma in quei campi ha fatto parecchia strada, creando una quantità di sottogeneri. Alcuni gruppi hanno iniziato a suonare velocissimo: nel power metal, la batteria è diventata come il suono di un calabrone che fa da sfondo a tutti i pezzi. Altri hanno seguito la strada della complessità delle composizioni, e sono nati pezzi con chitarre distorte e tastiere lunghi venticinque minuti. Quanto alla pura potenza rumorosa della musica, gli americani Jackyl hanno preso in mano una motosega ancora nel lontano 1992.

Anche l’interesse per l’immaginario horror e per il religioso del lontano Master of Reality ha trovato, nel tempo, i suoi appassionati e il modo di replicarsi. Di qui il proliferare di gruppi dichiaratamente satanisti o di band che, fin dalle copertine dei dischi, mostrano immagini violente e urtanti. Dal punto di vista musicale, diversi gruppi hanno iniziato a usare molto le tastiere, che assicurano una grande varietà di suoni e permettono di accrescere la solennità e la cupezza delle atmosfere. Anche la voce ha subito una evoluzione: a partire dalla fine degli anni Ottanta sempre più gruppi hanno fatto un uso intenso del growl, una tecnica che fa emettere al cantante un vero e proprio ruggito.

Quando nacque, le parole d’ordine dell’heavy metal erano poche: bastava suonare forte, suonare tanto e suonare veloce. Forse il metal e i suoi sottogeneri hanno esaurito tutte le possibilità di farlo.

Foto: Christopher Polk/Getty Images