Lo spettacolo di Charlie Sheen è una schifezza

Critica e pubblico stroncano il debutto a Detroit: l'attore è stato costretto a lasciare il palco per i fischi

Dopo una vita intera costellata da episodi tra l’eccentrico e l’eccessivo, Charlie Sheen ha recentemente attirato l’attenzione della stampa internazionale per la spirale di eventi che l’ha portato a perdere la custodia dei figli, la parte nella sitcom di successo Due uomini e mezzo e la possibilità di avvicinarsi alla ex moglie. Ma quella che sembrava la fine della sua carriera ha generato un tale interesse nel pubblico – il suo recentissimo account Twitter ha talmente tanto seguito che si dice abbia fatto aumentare il valore della società – da farla apparire quasi un nuovo, incredibile rilancio.

Sulla scia delle chiacchiere Charlie Sheen – che ha fatto della frase «la sconfitta non è contemplata» il suo nuovo motto – ha deciso di darsi al teatro, programmando un tour che dovrebbe toccare le principali città degli Stati Uniti: lo spettacolo si chiama appunto My Violent Torpedo of Truth – Defeat is Not an Option (Il mio violento siluro di verità – La sconfitta non è contemplata) e ha debuttato a Detroit due giorni fa. E lo si potrebbe definire, senza esagerare, una sconfitta.

Stando ai resoconti di chi lo ha visto, lo spettacolo è un lungo sfogo rabbioso, e lo è diventato sempre di più in seguito alle rumorose manifestazioni della crescente insoddisfazione del pubblico. Scrive il New York Times:

Si potrebbe dire che Charlie Sheen e il suo pubblico si siano delusi a vicenda. Chi ha pagato il biglietto non ha poi dimostrato all’attore “l’amore e la gratitudine” a cui sentiva di avere diritto, e allo stesso tempo gli spettatori non hanno ricevuto il tipo di intrattenimento per cui pensavano di aver pagato. Ma si può anche dire che attore e pubblico si meritavano a vicenda. […] Cosa pensava di fare Charlie Sheen? E tutti gli spettatori che hanno acquistato i biglietti, che altro si aspettavano?

Le battute, di una volgarità piatta e gratuita, non solo risultavano offensive per il pubblico ma anche poco ispirate; le parti più gradevoli dello spettacolo erano costituite dalla proiezione di spezzoni di film famosi dell’attore e di interviste, facilmente reperibili su YouTube. A causa dei crescenti fischi del pubblico, Sheen ha infine lasciato il palco. Sempre dal New York Times:

Il problema però non era che il materiale di Sheen era offensivo. […] Il problema era che non aveva davvero nessun materiale su cui lavorare, e certamente nulla di nuovo. […] E Sheen, le cui capacità recitative e la cui professionalità sono rimaste inalterate nonostante i continui attacchi dei tabloid alla sua vita personale, ha provato di non essere abbastanza agile e fantasioso per tenere viva l’attenzione del pubblico durante un’esibizione dal vivo.

Questa è l’interpretazione tecnica di ciò che è successo sabato: lo spettacolo non era buono, e il pubblico ha protestato. Ma c’è da fare un’analisi culturale, che risulta vagamente più interessante. Charlie Sheen non è la prima celebrità che confonde l’interesse morboso e isterico con l’adorazione, o che pensa di poter estendere la propria fama trovando il giusto equilibrio tra autoironia, bravate e finto populismo. La sua esibizione, così com’era, alternava dichiarazioni sentimentali di vicinanza al pubblico a dichiarazioni della propria superiorità. […] Gli spettatori hanno lasciato il teatro indignati, sentendosi moralmente superiori all’uomo che avevano pagato per vedere e che sembrava provare lo stesso sentimento verso di loro.

L’Hollywood Reporter riporta i pareri della critica, che non è stata più generosa del pubblico:

David Rooney ha definito la serata un «crollo nervoso in diretta», sottolineando che le continue garanzie da parte dell’attore che sarebbe migliorato non si sono mai realizzate.

Steve Johnson del Chicago Tribune ha sintetizzato la serata come «un confusionario disastro».

Neanche Charles McNulty, del Los Angeles Times, mostra comprensione per Sheen: «Non ha portato nulla di buono, e neanche i suoi tentativi ruffiani di coinvolgere gli spettatori con la favoletta del “tutti insieme contro i troll” li ha convinti del contrario». (ndr: Charlie Sheen ha più volte definito “troll” coloro che gli sono andati contro nell’ultimo periodo).

Hadley Freeman, del Guardian, sembra provare per Sheen più pena che altro […]: «Era un classico fraintendimento: lui pensava che lo amassero per la sua onestà senza remore; ed è così, ma solo per quanto riguarda il suo abuso di droga e pornografia. […] Il pubblico l’ha sempre incoraggiato ad essere il cattivo ragazzo dello schermo, ma l’ha apprezzato molto meno una volta messo di fronte a ciò che si diventa quando si fa il cattivo ragazzo per decenni».