La vita quotidiana in Italia ai tempi del Silvio – Episodio 15

Ultimo episodio del libro di Enrico Brizzi pubblicato dal Post: «Io? Io bado al lavoro, e di politica non mi occupo».

Arriverà  un’altra primavera, nonostante il Silvio e tutte le televisioni, e il paese rifiorirà dalla Vetta d’Italia a Capo Passero.
La neve che oggi ammanta le montagne ingrosserà per settimane i ruscelli, e si tingeranno d’una nuova qualità di verde i paesaggi a onde delle Langhe e della Valdorcia, la piramide del Vesuvio e l’altra, immane e misteriosa, dell’Etna che scalda e squassa la terra.
Simili a specchi saranno le risaie del Vercellese e della Lomellina, e contro il profilo del Monte Rosa si leveranno in volo gli aironi; immensa è  l’Italia, a misurarla a suon di passeggiate, e ancora sconfinato è lo spazio fra due città come Torino e Milano, o fra la prima capitale e Genova, la vecchia repubblica incorniciata fra mare e Appennino.
Si riempiranno di voci i Murazzi e il Sempione, le Cascine di Firenze, Villa Ada e Trastevere; al sabato tornerà la folla sulla spiaggia del Poetto, all’Argentario e sui lidi dell’Adriatico, e si popoleranno uno ad uno anche le mille cale e golfi del Tirreno, i lidi dell’Elba e delle isole minori.
I ragazzi ricominceranno a fare tardi, e torneranno a vivere le mille piazze, portici e scalinate d’Italia dove è ancora consentito fare conversazione, innamorarsi e scambiare opinioni senza dover pagare un biglietto.
Chi è in cerca di compagnia si presenterà alla solita panchina, giù alla villa comunale, o scenderà a prendere l’aperitivo sul corso; altri stazioneranno davanti ai pub, la birra in una mano e la sigaretta nell’altra; in primavera fa buio tardi e, se gli amici sono quelli giusti, si può proseguire la baldoria a cena, o anche più in là.
Chi suona in città, stasera? E chi s’è visto ieri?
Marracash ha fatto l’alba coi ragazzi davanti al Praga, Davide detto Boosta ha firmato un centinaio di autografi non appena si è seduto al tavolino, e Fabri era di ritorno a Senigallia dopo il suo viaggio televisivo per l’Italia; alla serata rockwild del Wake Up c’era mezza Pescara, a Bologna il Covo era stipato, mentre a Catania, alle quattro del mattino, c’erano ancora liceali in giro che giuravano di avere visto Manuel Agnelli, mentre altri dicevano che no, era quello delle Vibrazioni.
Peccato solo che Federico si sia convinto di avere inghiottito polvere di vetro, che Lelio abbia pisciato nella hall dell’albergo, e che al batterista degli Zen Circus qualcuno abbia fregato il portafortuna.
«…Certo, ma peccato soprattutto che abbiano fermato proprio noi, alle tre e quaranta del mattino, lanciati sul tratto Civitavecchia-Livorno dell’Aurelia. Da una parte mezza band sprofondata nel sonno dei giusti nonostante lo stereo a palla, dall’altra giubbotti antiproiettile, mitragliette e poca voglia di scherzare. All’inizio è stata brutta: pila puntata in faccia ai dormienti, sveglia, giù tutti, e mani in vista! Cosa siete, musicisti? Dico di sì, e quelli cominciano a controllare il furgone come avessi risposto ‘Sbagliato, signore. Siamo il gruppo di fuoco della banda Baader-Meinhoff’. All’inizio è una rottura, poi non viene fuori che uno di loro è un fan degli Iron Maiden? Allora tutti noi a dire quanto spaccano, i merdosi Iron, tanto per creare un dialogo. E alla fine com’è andata? Così così, ma poteva andare peggio.»
Fortuna che oggi è un altro giorno, e stasera un’altra notte.

Allora che si fa, uh?
Come ci si veste? E all’Osteria del Sole viene anche l’amica carina di tua sorella?
A Fidenza c’è lo spettacolo di Bebo Storti; a Parma il cinema in piazza; a Correggio il monologo di Travaglio, a Carpi Frankie Hi-Nrg; all’Arena del Sole arriva Guzzanti, fortissimo lui lì, al Rock Island si esibisce la cover-band dei Nirvana con mio cugino Caio alla batteria, mentre alla Duna degli Orsi va in scena un gruppo di musica surf spet-ta-co-la-re. No, non californiani. Di Vicenza, ma suonano che è un piacere, e poi ci scappa come niente il bagno di mezzanotte.
E il MiAmi Festival com’è stato, quest’anno? Solite perle in mezzo alle zanzare dell’Idroscalo? E a ItaliaWave chi suona? E ad Arezzo, a Lecce, al Sunsplash? E all’Heineken, al Mtv day, al Neapolis? E l’Independent Days… C’è ancora? E le serate folgoranti al teatro Le Cave, sotto la volta stellata dell’Adriatico? E Rock in Idro, il Beach Bum, il festival al Lazzaretto d’Ancona?
Perdiamo colpi, altri ne mettiamo a segno, ma qualcuno conosce già le date precise del Mei dell’anno prossimo? E anche, magari, dove si comprano i biglietti per il Premio Tenco?
Comunque mi ha scritto un kid dalla provincia di Brescia per organizzare una data; a me la santa ragazza che gestisce la Cantina Mediterraneo a Frosinone; a me, invece, la casa della cultura di Novoli, Lecce: sta’ a vedere che si organizza un piccolo tour prima che sorga l’estate.
Non si fermerà il rock ’n’ roll, con le sue testate Marshall e Orange, le Gibson e i Jazzmaster, le batterie da caricare in solitudine, i microfoni che costano un fottìo, i fiumi di birra e le schiene tatuate delle ragazze-angelo.
Non si fermerà l’amore che nasce sull’erba tenera, non si spegnerà la forza delle madri, né l’amicizia più forte di ogni legge.
L’Italia sarà sempre l’Italia, con Silvio o senza, e questa è forse l’unica rivincita che il paese reale saprà prendersi ai danni del leader.
Che faccia avremo dopo il Silvio, e con quale voce parleremo, però, possiamo solo provare a immaginarlo.


Sempre risorge, identico a se stesso, il ghignante Gattopardo.
Ci invita alla pigrizia e alle recinzioni, alla chiusura mentale e alla diffidenza verso i forestieri, i diversi, i dissenzienti, e anche per quelle brutte facce spuntate in paese verso mezzogiorno – anche se, a ben vedere, devono essere solo escursionisti con lo zaino.
Se invece sono stranieri in cerca di un ingaggio onesto, magari privi di permesso di soggiorno, comincia la festa!
Dopo che ci siamo spaccati la schiena in prima persona, magari a fare il cameriere in Svizzera o Germania, adesso siamo noi i padroni che fanno prezzi e orari, che stabiliscono mansioni, avanzamenti ed eventuali trattenute di stipendio.
Ancora ieri avevamo la terra attaccata alle scarpe, ma oggi vogliamo tutti il Suv; a ricordarci che siamo ancora umani, di tanto in tanto ci assale il senso di colpa nel vedere un nero trascinare il suo borsone sotto la pioggia, o quando i nostri fari illuminano una schiera di ragazze dell’Est allineate lungo uno squallido marciapiede. A volte, per rimediare, li avviciniamo offrendo loro un poco del nostro denaro. Più spesso alle ragazze che ai venditori ambulanti, per la verità.
(Non è anche questo un segno della nostra mantenuta umanità, sub specie di vigore sessuale?)
Anche il tema del vigore sessuale, tanto caro al Silvio, potrebbe finalmente uscire di scena.
Una volta si diceva: «Chi lo fa non lo racconta in giro, e chi lo racconta in giro non lo fa».
La gente appariva forse più misteriosa, ma anche meno ridicola.
Si lasciassero le sembianze e le pose da pornostar alle vere pornostar, che il loro mestiere lo sanno fare benissimo.
In attesa del processo per la rissa col barista, Iuri osserva il paese e cerca di piazzare i suoi fondi esteri ai grulli.
«Tanto, se non danno i soldini a me li regalano a qualche cartomante» si è giustificato l’ultima volta che l’ho visto. «Regalo sogni, io, non solide certezze. E proprio per questo mi affidano i loro risparmi. Non li vedi, in coda per giocare al lotto, o a grattare con la moneta su qualsiasi tesserina che promette di farti diventare ricco?»
Li vedevo eccome.
«Non siamo francesi, o tedeschi» puntualizzò Iuri. «Qui la gente campa di sogni. È questo che la Sinistra non ha mai ca­pito.»
«Una volta, forse, lo capiva fin troppo bene» lo corressi, poi ammisi: «Adesso, però, sembra essersene scordata».
«Peggio per voi» scrollò le spalle Iuri. «Te lo dico in amicizia», e mi baciò su entrambe le guance.
Mentre risaliva sulla sua Classe A mi avvidi che la sua nuca era spolverata di capelli bianchi.
Nato da una famiglia di lavoratori, ci aveva messo mezza vita per comprarsi a rate una macchina da ragazzo ricco; di ogni chilometro percorso, nel suo intimo, ringraziava il Silvio, e per difendere quel po’ di benessere era pronto a colpire e imbrogliare. Purtuttavia, si sentiva nel proprio diritto.
Chi ricco lo era sempre stato, invece, come LucaPietro Niccolis, si agitava alla disperata come un pesce tratto fuor d’acqua: la Creatura che li aveva salvati dai comunisti adesso era fuori controllo. L’autoritarismo sembrava dietro l’angolo, sotto specie di regime ad personam; avvertendo l’incrinarsi del mito, i seguaci del Silvio serravano le file.
Il ministro della Difesa in persona si occupò di alzare le mani su un contestatore che rivolgeva al Silvio domande impertinenti; ormai poteva accadere che, nella stessa giornata, si rischiasse seriamente un incidente aereo che avrebbe coinvolto il presidente della Camera Fini, e che meno di due ore più tardi partisse l’allarme-bomba per un presunto ordigno – inesistente – sull’aereo del Silvio, il tutto alla vigilia della presentazione della nuova corrente politica dello stesso Fini, espressione del dissenso interno al Pdl.
I talk show erano sospesi d’imperio sino alle regionali; il Popolo della Libertà aveva manifestato a Roma dichiarando un milione di partecipanti a fronte di una valutazione della Questura che parlava di centocinquantamila presenti.
Il governo agiva con prepotenza manifesta, e alla cosiddetta società civile mancava la forza di esprimere con nettezza il proprio dissenso.
D’altronde la nostra società civile è composta da gente perbene come la famiglia Niccolis; stimati professionisti inclini al compromesso, membri di una classe sociale che, per propria natura, non dimentica mai la prudenza. Altrimenti mica si può restare sulla cresta dell’onda sotto papi, re, dittatori e presidenti.
Meglio nicchiare e covare la propria rabbia, piuttosto che esporsi in piazza a gridare contro l’imperatore prima ancora che venga deposto.
Nel caso, si pensa, per festeggiare c’è sempre tempo.
In certi ambienti, per il momento, è ancora meglio affidarsi alle allusioni e alle mezze frasi; se ci si trova smascherati, tocca salvarsi in corner sostenendo che il Silvio, se non altro, è ancora simpatico.
Oppure con la frase che torna popolare ogni volta che l’Italia conosce simili frangenti d’incertezza: «Io? Io bado al lavoro, e di politica non mi occupo».